16 gennaio 2011

UN SACCO BELLO

 
di pier luigi sacco

In una biennale veneziana di qualche edizione fa, nel padiglione brasiliano era presentata un’opera dal titolo Foi um prazer, ovvero È stato un piacere. L’opera consisteva nella messa in mostra di tutti i biglietti da visita accumulati nel corso delle relazioni che era stato necessario intraprendere da parte dell’artista per giungere a esporre a Venezia in quel padiglione...

di

Era una quantità di biglietti davvero impressionante. E
quindi era in un certo senso giusto e coerente che l’opera fosse proprio
quella: dopotutto, anche se ciascun incontro fosse durato relativamente poco,
veniva seriamente il dubbio che l’artista non avrebbe comunque avuto tempo di
fare nient’altro, tantomeno produrre un’opera che non fosse il calco materiale
di quel sistema di relazioni. Ho sempre più spesso la sensazione che nell’arte
contemporanea di questi anni l’opera degli artisti, la traccia reale del
percorso, finisca per essere sempre e comunque un elenco: in genere, l’elenco
dei luoghi in cui si è esposto, che nella maggior parte dei casi chi legge o
ascolta non ha avuto né avrebbe potuto avere occasione di visitare
materialmente, se non in via eccezionale e sporadica, approfittando di qualche
coincidenza fortunata (o meno). Quello delle collezioni, che in molti casi
restano lontane e impenetrabili. Quello delle commesse pubbliche, ancora più
disperso e remoto delle stesse mostre. E così via.

L’opera non c’è più, al massimo c’è una fotografia. Resta
l’elenco. L’artista stesso, che ha a che fare con gente che spesso ha da
concedergli uno spazio d’attenzione limitato e distratto, non parla più del suo
lavoro, elenca i luoghi in cui ha esposto e quelli in cui esporrà.

Leandro da Costa - Untitled - 2007 - oggetto di Leandro da Costa - cm 28x20 - photo Ding Musa
Alla fine, forse, non sarà più necessario nemmeno esporre
le opere, dare i pezzi alle collezioni, portare a compimento le commesse, si esporrà
soltanto una lista di cartoncini, gli inviti delle mostre, magari, o le schede
di deposito delle collezioni, o le lettere dei committenti. Alla fine, forse,
non sarà più necessario esporre niente, si racconterà soltanto, e vincerà chi è
più bravo a raccontare, a prescindere. Alla fine, forse, quel momento è già
arrivato, e forse persino da un pezzo, e non se ne sono accorti. Alla fine,
forse, quel momento è arrivato, se ne sono anche accorti, e gli sta bene così.
Alla fine, forse, quel momento è arrivato, se ne sono accorti, gli sta bene
così, e non importa niente a nessuno. Purché si abbia qualcosa di cui parlare.
Sì, dev’essere così. Contenti loro.

pier
luigi sacco

pro-rettore alla comunicazione e all’editoria e direttore del dipartimento
delle arti e del disegno industriale – università iuav – venezia


*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 68. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

6 Commenti

  1. Se il linguaggio subisce un appiattimento e una standardizzazione, quello che sembra contare nel creare valore di gusto e di mercato, sono le relazioni e i luoghi che sostengono l’artista X o la opera X.

    Anzi, definire l’opera-standard X è ormai diventato facilissimo: basta ricercare il riferimento o la citazione migliore su wikipedia e formalizzare il tutto secondo uno stile mainstream (basta sfogliare mousse o kaleidoscope) ormai accessibile a chiunque. Possiamo ben capire su quale bolla speculativa poggi il mercato della giovane arte italiana o estera (e non c’è premio Furla che regga…). Collezionisti avvisati.

    Ovviamente è preferibile che questo standard sia di qualità: meglio le elaborazioni che Tadiello fa di Nicolai, piuttosto che quelle che Basilè può fare pensando a Bill Viola.

    Nell’aprile 2009 ho cancellato velocemente alcune opere da una foto che presentava alcune opere installate nella vecchia sede della Galleria Zero di Milano:

    http://whitehouse.splinder.com/post/21620921/_

    Dopo poche ore, dal sito della galleria erano sparite le foto di documentazione delle opere ed erano rimasti solo i curriculum vitae. Oggi, una volta rilevata questa cosa, il sito è diventato ancora più ermetico e minimale:

    http://www.galleriazero.it/

    Il mio progetto presso la galleria zero non aveva nulla di polemico. La reazione della galleria è stata perfetta: togliere le opere dal sito e lasciare solo i CV, precipitati di luoghi e relazioni. La galleria ,per evitare ulteriori manipolazioni, aveva riaffermato la mia operazione. Ma non si trattava di cancellare le opere, non si trattava di un vuoto, forse di un sovraccarico formale (come mi è stato suggerito). Come se potessimo sovrapporre visivamente tutte le opere che passano da una galleria. E come se questo fosse totalmente inutile e indifferente.

    C’è un problema di crisi della rappresentazione e fra gli operatori del sistema (privo di pubblico vero, privo di opinione pubblica) c’è un tacito accordo nel non dichiarare il re nudo. Basta visitare le recenti mostre a milano: gennari, cattaneo, caravaggio. Anche buone intuizioni, ma se pensiamo al percorso di questi artisti ci sembrano artisti storici, nati intorno al 1940….quale progressi rispetto a 1, 2 anni fà? Ci si ripete, esattamente come hanno imparato dover fare. E quì c’è un problema di professionalizzazione e creatività forzata a cui vengono paradossalmente e fatalmente sottoposti i “giovani” artisti. Non si vuole ammettere che l’arte, oggi, dopo ennesimi rigurgiti pop, deve uscire da certi rituali e certi codici. Pena il suo essere spuntata e condannata ad una continua autoreferenzialità (artisti come unici spettatori della loro mostra, o forse meglio: “arte senza artisti” e con soli spettatori e curatori..come teorizzava giustamente qualche tempo fa anton vidokle)

  2. Hai proprio ragione (anche se mi sa un po’ da populismo romantico).
    Non credi che sia pure interessante “che anche chi” non ha studi artistici alle spalle, non riesca ad elaborare strumenti per svincolarsi dalle omologanti opportunità offerte dal sistema?
    Prendi ad esempio

    Enrico Morsiani
    http://www.fondazionespinola-bannaperlarte.org/it/dettaglio_studente.asp?id=53

    Pur essendo laureato in scienze internazionali e diplomatiche (con indirizzo economico), vuole fare l’artista, e ha ceduto al fascino delle nuovi armi d’illusioni di massa: le residenze. Ha fatto la spinola banna, una residenza a nizza, ecc. Guarda ad esempio questo lavoro di morsiani, una composizione con oggetti trovati nel magazzino della galleria civica di monfalcone

    http://www.galleriaumbertodimarino.com/photo_see2.php?pageNum_Foto=8&totalRows_Foto=22&artistaid=32

    http://www.galleriaumbertodimarino.com/photo_see2.php?pageNum_Foto=9&totalRows_Foto=22&artistaid=32

    non ti pare l’ennesimo epigone di artisti stranieri (vedi i primi lavori di renggli, fischli e weiss, marchand, ecc._ allora meglio la alamarcegiu, gli originali_),la solita accozzaglia di cose trovate ed assemblate con una mesta rassegnazione postpostpostmodernista (come se morsiani dicesse: “che altro posso fare se non queste cose all’interno di una galleria _ umberto di marino_). È significativo che lo stesso morsiani abbia un blog vetrina in cui elenca lavori tipo portfolio: http://enricomorsiani.blogspot.com/. Sono una serie di opere in cui si evocano enigmatiche e rassicuranti azioni in un ambiente domestico (tipo morsiani che si sbizzarrisce in innocue parodie di lavori di altri artisti: es. i cento cinesi della pivi in una cucina… http://www.galleriaumbertodimarino.com/photo_see2.php?pageNum_Foto=0&totalRows_Foto=22&artistaid=32 insomma, ancora cose tipo blues noses od un bock che vuole fare il misterioso e l’autoriflessivo… ecc). MORSIANI HA FORSE QUESTA GRANDE SPINTA DENTRO?
    Questa creatività diffusa ci attanaglia non solo nella produzione iperbolica di fotografie e info, ma pure nella sterile diffusione di blog d’artisti. Non c’è nessun intento polemico verso morsiani (è il primo che mi è venuto in mente): non ha studi accademici alle spalle ma non mi pare rappresenti uno scarto rispetto i suoi colleghi di brera o iuav…

    è buffo ed interessante che dopo questo commento il blog sia stato rimosso:

    Come se potessimo sovrapporre visivamente tutti i post che passano per un blog. Come se questo fosse totalmente inutile e indifferente: un’operazione stanca e stancante che trascina senza dire nulla

  3. @mr murphy: mi sembri un po’ ossessionato. E anche fuori tema rispetto all’articolo.
    Morsiani è sicuramente all’interno di determinate logiche, che sono le uniche vie percorribili. Stiamo preparando insieme un dialogo e ti assicuro che ha una certa consapevolezza critica. Le opere definite pochi minuti prima della mostra con quello che il museo nasconde nel magazzino, non sono male; dal momento che eliminano ,per esempio, la pretenziosità di un processo ormai abusato: citazionismo e cura formale secondo canoni standard (moussoscope). O meglio, ironizzano e mettono in difficoltà questo processo. Le residenze sono armi di illusione di massa nel momento in cui vengono considerate un fine e non un mezzo.

  4. rossi: “Le opere DI MORSIANI definite pochi minuti prima della mostra con quello che il museo nasconde nel magazzino, non sono male; dal momento che eliminano ,per esempio, la pretenziosità di un processo ormai abusato:”

    QUINDI?

    ci sono altri 1000 “giovani” artisti che fanno queste cose. La realtà contemporanea è molto più avanti di Morsiani (nessun intento polemico verso quest’ultimo). Questo lavoro di Morsiani, come le corde che dalla galleria Prometeo escono in strada (“LINK”), sono banali trovate ultra didascaliche, opere che lasciano il tempo che trovano e che ambiscono a veicolare, con la necessaria stampella di un pretestuoso comunicato stampa, un (superfluo) significato.
    Insomma, i lavori di Morsiani sono come la ragazza/curatrice che offre i babbà nel museo napoletanio: cose di cui si può fare a meno, esercizi di stile che declinano stancamente una confusa, provinciale e compulsiva velleità espositiva. Ravviso in tutto questo una GRANDE MANCANZA DI NECESSITÀ.

    un trovata ultra didascalica, quasi da festa all’asilo)

  5. Gus è lecito da te sapere il motivo per cui tale Morsiani appare sempre cosi’ detestabile ?
    ti assicuro, nessuna mia vena polemica dietro la domanda; semplice curiosita’.

    Altra domanda se ti è possibile concedere ulteriore altra risposta : sono interessato sapere in cosa consista questa fantomatica realta’ contemporanea , si, insomma vorrei sapere se per caso è un traguardo da raggiungere , un luogo in cui permanere, una condizione di vita, una tendenza… un requisito di identita’…in sostanza ..se non si è realmente contenporanei cosa si e’?

    grato di tua eventuale risposta ti saluto.

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