29 maggio 2001

Biennale: anteprima del padiglione cileno

 
Dopo l’anteprima sul padiglione sloveno, secondo importante colpo: intervista di Exibart ad uno dei due commissari per il Cile alla Biennale di Venezia: Antonio Arèvalo…

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Come procede l’organizzazione del Padiglione Cileno alla Biennale? Chi presenterai sulla Platea dell’Umanità di Venezia?
Alla 49° edizione della biennale di Venezia il Cile parteciperà ufficialmente per la prima volta con un padiglione proprio.
A otto anni della sua morte, il Cile vuole rendere omaggio a uno dei precursori della video arte a livello mondiale, Juan Downey, un artista la cui opera visionaria – dove si combinano autobiografia, antropologia, aspetti sociologici e politici con la estetica – è ampiamente riconosciuta.
Downey diventa, grazie a questa scelta, “memoria di un esilio. E si deve intendere: un esilio non riducibile a certe specifiche contingenze”.
Siamo di fronte ad un artista che propone un modello di comportamento culturale ed etico imprescindibile per poter attraversare, “con energia oltre questi muri”, la scena mondiale dell’arte contemporanea.

Come sei arrivato a questa scelta. E’ significativo il fatto che l’artista sia già morto da tempo: l’arte di questi anni, in Cile, non ha prodotto artisti degni della Biennale?
Il Cile ha grandi artisti riconosciuti e presenti in eventi internazionali: Alfredo Jaar, Eugenio Ditborn, Jorge Tacla, tanto per nominare qualcuno. Ma il passaggio verso la contemporaneità passa per Juan Downey.

Raccontaci qualcosa della sua Arte.
Nel 1965 si stabilisce negli Stati Uniti, dove con la sua Arte sviluppa e interroga le visioni utopiche degli ideali architettonici, collegandole alla visione umanistica di una comunione tra Arte e Tecnologia, in quell’epoca sostenuta dagli artisti suoi contemporanei dell’avanguardia di New York.
In seguito, il lavoro nel campo della performance diventerà il punto focale della sua opera.
Il suo costante interrogarsi sull’“oggetto artistico” lo porta a privilegiare il processo, al di là del risultato concreto e oggettuale.
Le sue sculture elettroniche utilizzano come trasmettitori di energia invisibile circuiti che richiedono, per poter funzionare, la partecipazione o almeno la presenza di un pubblico.
La sua prima personale di scultura elettronica risale al 1969, presso la Corcoran Art Gallery di Washington D. C., poi riproposta dalla Howard Wise Galley di New York. Downey è dunque uno dei pionieri della video arte e della video installazione, insieme con Nam June Paik e Peter Campus.


Ci sarà un’opera principale dell’artista? Parlaci del lavoro di maggior richiamo presente nel padiglione.
Abbiamo pensato, insieme alla co-curatrice Marilys Belt di Downey, vedova dell’artista e presidente della Fondazione Downey a Ney York, di presentare la video installazione “About Cages”, realizzata nel 1987 e esposta per la prima volta al 6th World Wide Video Festival-Kijkhaus, La Haya in Olanda:
Una grande gabbia contiene quattro canarini vivi, con un monitor televisivo che mostra l’immagine video del Chirihue ingabbiato (che, nelle parole di Neruda, sarebbe il “rappresentante sonoro del Cile”), che con il suo isolamento e il suo inquieto movimento d’ali, i suoi nervosi tentativi di becchettare attraverso le sbarre della prigione, il suono disperato del suo canto, contribuisce a creare una sensazione di turbamento.
Nell’edificio che contiene l’installazione si ascoltano due racconti. “In ogni angolo c’è un altoparlante che diffonde nello spazio circostante o la voce di Anna Frank oppure la voce di un cileno che confessa ciò che faceva ad altri cileni. Così è possibile guardare l’installazione ascoltando il racconto della donna oppressa o quello di un oppressore”. Tuttavia l’aspetto più interessante è senza dubbio il senso di inquieto abbandono che si intensifica e afferra lo spettatore mentre osserva gli uccelli reali e ascolta i loro suoni insieme con le immagini e i suoni provenienti dal video al rallentatore.

Nell’istallazione di cui parli sono presenti notevoli valenze e connotazioni, problematiche politiche, etiche e sociali…
Downey è un artista con una coscienza latinoamericana, con una interiorità non europea, che sublima artisticamente un linguaggio soprattutto etico, poiché infatti, di fronte alla minaccia del nuovo, ci sollecita a voler sapere di più, ad avere maggior conoscenza della nostra condizione di abbandono cosmico.
Il lavoro poi rispecchia anche parte della storia cilena. C’è quindi un grosso legame dell’artista con il passato e con il suo Paese.
Nel 1973, dopo il colpo di stato militare in Cile, Downey soffre momenti di oscura inquietudine, che tuttavia non condizionano la sua intensa chiarezza e la sua maturità. In questo periodo l’artista introduce nella sua arte una vasta gamma di risorse tecnologiche, e comincia un viaggio simbolico attraverso i territori di varie popolazioni indigene delle Americhe. Arriva così a vivere per un anno nella selva amazzonica insieme agli Yanomani, la popolazione più grande e più antica, che risale all’età della pietra. Downey entra nella ritualità quotidiana partendo dallo shock culturale vissuto in prima persona. E questo sarà lo strumento che userà durante tutto il suo percorso successivo, e che lo segnerà definitivamente .


Hai pensato che gli animali in gabbia, facenti parte di un opera d’arte, potrebbero suscitare le ire dei movimenti animalisti?
Quest’opera è gia stata presentata in diversi luoghi del mondo: al World Wide Video Festival-kijkhaus, alla Haya in Olanda, a The Situated image, Mandeville Gallery University of California, San Diego, al The Jewish Museum, New York, al Museo del Barrio, New York, Al Museo Nacional de Bellas Artes a Santiago del Cile e al IVAM-Centre del Carme, Valencia, Spagna senza problemi. Certo bisogna prendere dei provvedimenti per che questi animali non soffrano. Ci sarà un veterinario che controllerà permanentemente…

Cosa farai dopo la Biennale? Cos hai in programma?
Dopo la biennale proseguirò il mio lavoro come curatore indipendente e dopo la mostra che ho portato in uno spazio museale a Santiago del Cile “Artisti Emergenti della Roma del 2000”, vorrei fare lo stesso con gli artisti emergenti Cileni che ho conosciuto da pochissimo e che mi sorprendono: Patrick Hamilton, Cristian Silva, Giancarlo Pazzanesse, Manuela Viera Gallo.
Voglio farli conoscere alle diverse Fondazioni italiane, lasciando loro la porta aperta per confrontarsi con l’arte internazionale.
A Ottobre ho la mostra di Guliana Cunéas al Museo Laboratorio dell’Università La sapienza di Roma. Qualcosa farò in Sicilia…


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Massimiliano Tonelli

[exibart]

4 Commenti

  1. Articolo ben fatto che mette in evidenza la figura dell’artista cileno Juan Downey precursore della video arte a livello mondiale. Artista che sublima artisticamente un linguaggio soprattutto etico e che nel suo lavoro rispecchia anche parte della storia cilena. Scelta ben fatta in omaggio all’artista Juan Downey. Grazie

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