28 marzo 2002

Beni culturali e opere d’arte, tra legge, prassi e senso comune

 
Le dichiarazioni dell’onorevole Vittorio Sgarbi in merito alla scottante vicenda dei supposti falsi Cascella venduti da Telemarket, ci offre il destro per una piccola indagine ricognitiva sulla nozione di “bene culturale” offerta dal nostro ordinamento giuridico...

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Che rapporto c’è tra la nozione di “opera d’arte” e quella di “bene culturale”? La tutela offerta dalla legislazione sui beni culturali riguarda ogni opera d’arte? Non sempre. Vediamo perché.
Il Sottosegretario ai Beni Culturali Vittorio Sgarbi, intervistato più volte da la Repubblica, riguardo ad un suo ipotetico coinvolgimento, almeno morale, quale esperto e garante di Telemarket nell’affaire della vendita delle supposte false opere di Michele Cascella, afferma a sostegno della tesi dell’insussistenza o quanto meno della natura bagattellare del reato ascritto a Giorgio Corbelli che : “I carabinieri hanno scambiato il falso con la riproduzione. Ogni litografia è una riproduzione e che la tiratura sia limitata o illimitata è questione diversa dal falso. Tra l’altro la nostra amministrazione non persegue i duplicati ma i falsi di opere che hanno più di cinquant’anni di vita“.De Chirico Ma le opere d’arte non sono tutte “beni culturali”? Assolutamente no, per quanto strano ciò possa apparire. Lo sono solo quelle che presentano i requisiti indicati dalle leggi sui beni culturali e in primo luogo quindi il Testo Unico sui beni culturali (d.lg. 29 ottobre 1999 n.490). Questo dato di fatto apparentemente incontrovertibile permette quindi di affermare abbastanza singolarmente, che le opere di Cascella,- tra l’altro litografie vendute a modesto prezzo (“costavano quanto un foulard”)- “non sono opere d’arte” in senso stretto. Ne consegue l’assenza di tutela, sotto questo profilo, almeno da parte della legislazione dei beni culturali (art. 127 T.U.). Questo ovviamente non significa però che la vendita di opere d’arte “false” create da meno di 50 anni, sia giuridicamente irrilevante. E’ un comportamento che lede una serie di diritti soggettivi molto rilevanti e in primo luogo quelli che derivano dalla corretta esecuzione del contratto di vendita (c’è evidentemente un vizio nel consenso dell’acquirente, dovuto ad un errore essenziale sulla natura del bene acquistato), come pure quelli derivanti dalle norme sul diritto d’autore nonché in subordine il diritto al nome (per l’artista in vita, eredi e aventi interesse), e il diritto all’integrità del patrimonio (se compro una tela tagliata di Fontana ha un valore, se è falsamente attribuita non vale assolutamente nulla). Dalì Aspetti questi che potranno essere più o meno agevolmente fatti valere sul piano della responsabilità contrattuale che extra-contrattuale (celebre il caso di De Chirico costretto a risarcire un acquirente che aveva comprato da altri un’ opera da lui in un primo tempo autenticata, e poi successivamente dichiarata falsa). Potranno poi emergere eventualmente dei profili penalistici qualora siano integrate le fattispecie previste. Truffa (art.640 c.p.) qualora l’induzione in errore sia determinata con “artifizi o raggiri”, come pure, a seconda dei casi, dovrebbero potersi applicare la Contraffazione di segni distintivi di opere dell’ingegno (art 473 c.p.) oppure il Commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.) . L’opera d’arte per sua natura è quindi semplicemente una opera d’ingegno e gode delle garanzie per queste previste.
Ritornando all’affaire Telemarket, dalle dichiarazioni dell’on.Sgarbi sembra che siano state realizzate delle “riproduzioni” su fogli in bianco firmati dallo stesso Cascella prima di morire. La firma, che è per le opere d’arte l’elemento identificante, sarebbe quindi autentica, mentre il contenuto grafico pur essendo stato realizzato una volta morto l’artista, non dovrebbe essere diverso dalle opere realizzate quando l’artista era in vita, essendo generalmente queste opere d’arte, riproduzioni seriali affidate a terzi. In sostanza in questi casi l’artista con la sua firma e l’indicazione della tiratura effettuata, garantisce l’acquirente sulla paternità dell’opera e sul suo potenziale valore.Corbelli Risulta ovviamente scorretta da parte dell’artista l’autorizzazione di una riproduzione post mortem e in tiratura oltre i limiti indicati nell’opera, e nel caso il venditore ne sia a conoscenza e non lo riveli, vi può essere il rischio di ricadere nelle ipotesi sopra richiamate. E’ per questo ad esempio che terminata la tiratura l’artista stesso a garanzia dell’unicità delle sue opere, per quanto esse possano essere delle riproduzioni calcografiche o litografiche anche realizzate in concreto da terzi (“stampatori”), di norma ordina o esegue la “biffatura” della lastra, cioè produce uno o più segni indelebili in modo tale da rendere inutilizzabile la lastra stessa.
L’aspetto più interessante di questa vicenda è in fondo però lo sconcerto di molti nell’apprendere che un’opera d’arte che non abbia più di cinquanta anni non possa essere ritenuta un bene culturale, ritenendo erroneamente che le due espressioni dovessero essere coincidenti. Questo infatti detta il senso comune.
Le opere di Picasso dell’ultimo periodo non sarebbero quindi vere “opere d’arte” per il T.U.?Picasso E quelle degli ultimi anni di Giorgio Morandi, idem? E l’amato Schifano?
Cosa curiosa. Il fatto è che la legislazione sui beni culturali nasce con una precipua funzione di tutela. La legge “Bottai” del ’39 fa propria una concezione “estetizzante” secondo la quale la tutela è accordata solamente a quei beni che avessero avuto particolare pregio, rarità, o fossero di non comune bellezza. Quindi i beni culturali protetti non coincidevano con l’intero patrimonio culturale nazionale e comunque questo era un grandissimo passo avanti rispetto al vuoto del passato. La definizione normativa della nozione di “bene culturale” appare per la prima volta in realtà soltanto nel d.lg. 31 marzo 1998 n.112, in cui si afferma (art.148) che sono beni culturali “quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario” e che parimenti sono beni culturali gli “altri (beni) che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge”. Una definizione che chiaramente recepisce almeno in parte le risultanze della Commissione Franceschini del 1964, che tanto seguito aveva avuto sul piano delle discussioni dottrinali fino a quel momento.
Essa aveva individuato quale punto di partenza l’idea di bene culturale quale testimonianza materiale avente valore di civiltà, anche indipendentemente dal suo valore artistico. Lucio Fontana Aveva stabilito un richiamo implicito a discipline non giuridiche, considerando una imperdonabile forzatura rimettere allo Stato la enumerazione delle cose oggetto di tutela, perché quella di “bene culturale” è una nozione aperta e “in fatto di beni culturali ogni età vanta concezioni proprie”. Una concezione evidentemente influenzata dall’affermarsi in quegli anni delle discipline sociologiche e antropologiche. Il recepimento in toto di questa impostazione -apprezzabile certamente sul piano idealistico e libertario di una cultura svincolata dallo Stato- non sarebbe stato evidentemente possibile per un rischio, nell’applicazione concreta, di una genericità che avrebbe reso vana ogni effettiva tutela.
Il Testo unico sui beni culturali in vigore adotta così una sorta di “non definizione” di bene culturale che recupera in fondo come nucleo centrale l’impostazione della legge 1089 del ‘39, aggiungendo altre categorie di beni in parte già oggetto di disciplina normativa. E viene inoltre ribadita la disposizione secondo la quale “non rientrano nella disciplina del T.U. le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant’anni”. Il motivo dovrebbe essere quello di evitare di limitare la commercializzazione delle opere, che specie per l’artista vivente costituirebbe una indebita compressione dello sfruttamento economico del suo ingegno. D’altronde a ben vedere la tutela dei beni culturali opera soprattutto sul piano dei vincoli alla conservazione e alla vendita, mediante comunicazioni, controlli incrociati e quant’altro, di modo che la non inclusione delle opere d’arte contemporanea nel novero dei beni culturali non dovrebbe avere alcuna conseguenza sul piano del prestigio culturale dell’opera stessa. SgarbiMalgrado ciò, permane l’idea, specie da parte delle amministrazioni pubbliche, che la mancanza di tutela da parte della legislazione sui beni culturali renda privo di valore ciò che secondo il senso comune viene in realtà percepito come “opera d’arte”. Alcune amministrazioni pubbliche territoriali fanno ad esempio spesso presente di non poter accettare donazioni di opere contemporanee per la difficoltà di giustificare spese ed oneri correlati che secondo loro non troverebbero riferimento alcuno negli strumenti normativi.
Eppure bisognerebbe considerare che la nozione di “bene culturale” non ha di per sé una connotazione qualitativa esclusiva, e che l’opera d’arte è e rimane fondamentalmente un’opera dell’ingegno umano, tutelata dal diritto d’autore sin dalla sua creazione, e che godrà, trascorso un certo numero di anni, semplicemente di ulteriore tutela.


leggi il Testo unico beni culturali Decreto legislativo 29 ottobre 1999
Testo unico beni culturali Decreto legislativo 29 ottobre 1999 (226 Kb)


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la riproduzione non è un falso”

Sito di Telemarket
Molte delle foto a corredo dell’articolo sono tratte dal seguente sito di falsi d’autore, che qui si ringrazia.

Ugo Giuliani

[exibart]

12 Commenti

  1. Sono appena stata a vedere il sito di Telemarket (in piena attività!).
    Vendono anche quadri del ‘400 ‘500. Ma dico vi sembrano autentici? Rassomigliano per caso vagamente a qualche cosa che si vede nei musei in cui siete stati? Diciamo la verità, sono delle croste spaventose…e i prezzi? Uno costa 213 milioni di lire! Un’altro 60 milioni.
    Per fortuna però esiste una prestigiosa perizia. Quello da 60 milioni è per il prof. Vittorio Sgarbi “uno pseudo Bramantino” (acciderba!una garanzia…), l’altro da 213 mln è invece “Attribuito a Marco D’Oggiono” (allora stacco l’assegno a colpo sicuro!’cidenti! E’ attribuito…).

    Un pensiero soltanto mi frena: C’è un mio amico che fa degli pseudo-raffaello, pseudo-rubens ecc. per molto meno (2-3 milioni), e vi assicuro che fanno miglior figura…ma certo, se proprio vi volete fare del male….

  2. Condivido pienamente. Sono d’accordo con te.
    Il guaio e’ che a questo mondo c’e’ ancora chi non sa come spendere i soldi e vuole solo prestigio prestigio prestigio. Io francamente del prestigio non so che farmene. Ebbene telemarket fa i soldi a palate come Wanna Marchi fa la maga e imbroglia i cosidetti creduloni. Ma perche’ se hanno tanti milioni da buttare via non aiutano le opere sociali e i paesi del terzo e quarto mondo. Sai quanto si sentirebbero meglio un giorno prima di morire. Quello si che sarebbe un bel gesto.
    Prestigio dei miei stivali!!!!!! Tasha

  3. Gentili Signore,
    ho l’impressione che affrontiate l’argomento con una certa “leggerezza”.
    Lei per esempio,Sig.ra Elena,cosa intende quando parla di pseudo-bramantino?
    Ha chiaro il significato? Da come si esprime mi sembra proprio di no!
    Lei alla parola Pseudo da il significato di falso:sappia che non é così.
    E mi sembra quantomeno ardito,sig.ra Tasha,l’accostamento fra Telemarket e Vanna Marchi(anche perchè,parlo dei presunti falsi, sull’argomento si è fatto un gran parlare senza avere cognizione di causa).
    Notino signore:”presunti” falsi:c’è una sottile differenza fra l’acclarato e il presunto.
    La stessa che ,da sempre è esistita ,fra una possibile condanna e una possibile assoluzione.
    Ma certo l’Italia è la patria degli eccessi: si crea il “girolimoni” per poi dire che,forse,poi in fondo era innocente.
    Saluti.
    Ed una Pasqua serena a tutti.

  4. Seconso me Elena ha ragione, queste formulette ambigue “pseudo Tal dei Tali” “probabile scuola ecc.” “attribuibile a X” sono, in questo contesto (vendita al pubblico), un abile sotterfugio per dire e non dire, da un lato il personaggio famoso, dall’altro la televisione che ha un potere di condizionamento enorme…

    Le perizie serie sono concludenti. Sono queste sì come un processo: colpevole/innocente…vero/falso…e se non ci sono elementi sufficienti per il giudizio ci si dovrebbe astenere, soprattutto perchè erroneamente su certe formulette (pseudo qui pseudo là) molti potrebbero fare affidamento.

  5. Su questa vicenda c’è molta confusione e non tutti sono adeguatamente documentati, vorrei ricordare che Telemarket tramite la quale io artista vendo le mie opere è un mezzo che offre serietà e garanzie assolute, porta l’arte e gli artisti italiani nei musei di tutto il mondo, ha circa quattrocento dipendenti e numerosi collaboratori esterni i presentatori sono tutti critici d’arte, periti o laureati, cosi come sono laureate le centraliniste che rispondono alle persone. Questo solo per fare capire il tenore dell’azienda, a dispetto di chi fa paragoni con altri televenditori. Vorrei ricordare inoltre che le 27.000 serigrafie di cui si parla non sono mai state poste in vendita sequestrate già dall’anno 2000 dalla procura di Bari per verificarne l’effettiva autenticità e che come già detto in diverse occasioni rappresentano meno del 2% del fatturato di Telemarket.
    Un ultima cosa chi è appassionato di arte dovunque la comperi conosce bene le quotazioni di mercato dell’artista che gli interessa.
    Inoltre conosco tanti collezionisti che fanno anche opere di auito sociale.

  6. Egr. Sig. Aurelio,
    specifico meglio.
    Mi sembra che da parte vostra si fraintenda il significato di Pseudo.
    Quando si parla di PseudoBramantino non si parla di un quadro più o meno somigliante ma di una persona (appunto lo PseudoBramantino).
    E’un pittore di cui non si hanno notizie storiche,sicuramente della cerchia del Bramantino,ben identificato però per le sue opere e per il suo stile.
    Per quello che riguarda i prezzi delle opere,sicuramente il quadro che vende telemarket a 60.000.000 è molto meno bello di qualcosa d’altro che è possibile vedere nei musei. Ma ricordo che ,spesso,
    quello che si vede nei musei,non é in vendita. E se lo è,forse il prezzo (60.000.000)non è in vecchie lirette ma in euro.
    Detto questo mi accodo all’invito di Massimo Sansavino di documentarvi prima di “sparlare”.
    Saluti.

  7. Per Sansavini e amanti della “vera” ARTE di Telemarket…

    Tutto questo entusiasmo e poi 27’000 lito sequestrate non vi fanno sorgere qualche dubbio su certe vendite?

    27 mila copie non è la tiratura di un’opera d’arte seriale ma di un piccolo quotidiano di provincia. La sola quantità è eloquente!

  8. Caro Cavillicus le 27.000 serigrafie sono sicuramente tante ma non penserai mica che rappresentino tutte lo stesso soggetto!!!!
    sono oltre 100 disegni differenti e anche questo è stato più volte detto.
    Vi sono artisti che per il loro modo di lavorare hanno prodotto tantissimo, Wharol può essere un riferimento, oppure possiamo discutere sui lavori di Picasso stimato in una produzione globale di circa 80.000 opere (di quasi un secolo fa!) ti consiglio di guardarti anche l’ultimo “Arte In” dove Kostabi spiega come fa a produrre i suoi lavori. Sta nella sensibilità di ognuno di noi accettare e apprezzare o meno questo tipo di arte. Vorrei inoltre ricordarti che non tutti gli artisti di Telemarket hanno produzioni “esagerate” e che gli stessi artisti che vedi in televisione li trovi anche in tante gallerie d’arte italiane.

  9. Egr.Cavillicus,
    chi vuol cavillare deve documentarsi:rischia altrimenti di fare solo la figura del”villicus”.
    Sappia che qualche giorno fa,sempre a nell’ambito dell’indagine,erano state sequestrate altre 900 litografie di Morlotti e Sughi:queste già restituite e dichiarate autentiche.
    Sappia che le litografie in questione(quelle di Cascella, intendo),almeno per quelle che sono le informazioni in mio possesso,sono state dichiarate autentiche dalla magistratura di San Marino.
    Sappia che la firma sulle stesse è autentica di Cascella.
    Sappia che il problema é se sono state stampate prima o dopo la morte dell’artista.
    Sappia che ,anche una volta acclararato questo, dovrà ancora essere dimostrato se telemarket fosse a conoscenza o meno della eventuale stampa “post mortem”….
    La mia posizione é molto semplice:Leggo sui giornali che sono stati venduti 40.000 quadri falsi,scopro che non si tratta di quadri ma di litografie,e scopro anche che non ne è stata venduta neppure una,che il sequestro è del giugno del 2000.
    Vedo che il primo che si alza la mattina comincia ad attaccare un’azienda che da lavoro a tanta gente,quasi godendo a farlo.Parla dei quadri del ‘600(mai messi in discussione da nessuno)come di falsi,mette in dubbio l’autenticità di quadri i cui autori(da Licata a Rabarama,da Sansavini a Manelli,da Arman a Pozzati)dichiarano autentici.
    Parla di Sgarbi come di un imbroglione ed un incompetente(mentre é solo,a volte,antipatico,).
    E’ la solita storia: la gogna e il fango….e solo per il sentito dire!!!
    Se è davvero “cavillicus” perchè questa volta non è andato a fondo e si è accontentato di “toccare il fondo”?
    Un affettuoso saluto e,anche se in ritardo,auguri di Buona Pasqua.

  10. Scusate tanto signori egregi. Io sono di poche parole. In vita mia ho comprato solo stampe gia’ incorniciate – ottimamente riprodotte – che non costano la luna . Cosi mi posso godere delle belle riproduzioni e disegni di un Renoir o Klimt per esempio. Anche alcuni dei disegni di Leonardo etc. I musei e gallerie ne vendono a bidoni e sono bellissimi a mio avviso. Ma quanto costa una litografia decente?
    Romacapoccia

  11. Nella riproduzione di un’opera d’arte attraverso mezzi tecnici come ancora per così dire artigianali quali serigrafia, litografia o calcografia un artista, o chi per lui, può fare tutte le copie che vuole, purché lo dichiari. Poi sta all’acquirente decidere se comprare o no, se investire quella certa somma o no. È ovvio che se la matrice da cui scaturisce la serie (tiratura totale) viene distrutta la singola copia ha più valore. L’inganno sta nel dichiarare numero di tiratura non veritiero (dire che esistono solo 200 copie poi invece se ne sono prodotte 2000). Per questo è obbligatoria la dicitura (oltre la firma) del numero progressivo e totale della tiratura (o quantità prodotta e messa in circolazione). Es. 3/10 se l’esemplare di riferimento è il terzo di 10 totali. L’inghippo sta soprattutto nelle famose Prove d’autore che generalmente non vengono numerate. E questo è un grave errore. Non essendo numerate non si potrà mai fare una verifica (conta) delle copie effettivamente prodotte. Ovviamente il valore commerciale di questo tipo di grafica scende di molto. Il collezionista serio non la prende in considerazione. Il discorso dei fogli in bianco (migliaia) con la firma di Cascella è tutto da vedere. L’artista serio sa cosa ci verrà stampato e ne controlla il procedimento per apportare eventuali correzioni o modifiche. Se l’opera grafica seriale riproduce un lavoro già fatto in altra tecnica (olio, pastello, tempera o che) il “duplicato” che ne deriva vale poco. Se un artista è già morto non potrà né decidere cosa riprodurvi su quei fogli né potrà farvi alcun intervento correttivo. Alcuni artisti sono i primi falsari di se stessi. Se un mercante gallerista non è disposto a ricomprare ciò che ha venduto, la cosa è molto sospetta.

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