31 maggio 2022

Il diritto d’autore e la riproduzione delle immagini delle opere d’arte, tra HD e NFT

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Un excursus tra alcuni dei recenti casi più significativi in materia di diritto d’autore e riproduzione delle immagini delle opere d'arte, da Michelangelo agli NFT

Patrimonio dell’umanità tutta, al di là del censo e della provenienza, eppure oggetto esclusivo ed escludente, di dominio pubblico ma anche rigidamente regolamentata, l’arte la vogliono tutti. Ma chi la possiede? Tenendo traccia delle ultime notizie e facendo i conti con la diffusione delle ultime tecnologie – dalle riproduzioni a suon di gigapixel agli NFT Non Fungible Tokens – nemmeno il caro, vecchio diritto d’autore e le solide norme sulla riproduzione delle immagini delle opere d’are aiutano a fare chiarezza.

Il vaso di pandora si è aperto qualche giorno fa ma la storia, in realtà, risale a tempi ancora non sospetti. A finire nel mirino delle trasmissione Le Iene è stata Cinello, società milanese che commercializza i DAW – Digital Art Work, cioè un multiplo digitale, in altissima definizione, di un capolavoro della storia dell’arte, prodotto in serie limitata, autenticato, numerato, certificato e protetto da un sistema brevettato di crittografia digitale su blockchain. Una copia? Forse sarebbe più corretto dire un sosia.

Sul sito di Cinello è disponibile un catalogo delle opere DAW da acquistare, realizzate in scala 1: 1 a partire dagli originali conservati in alcuni dei musei pubblici più importanti in Italia e nel mondo, dal Museo e Real Bosco di Capodimonte, a Napoli, alle Gallerie degli Uffizi, a Firenze, fino alla Pinacoteca di Brera, a Milano. Tra i partner, anche Fondazioni, come Monte dei Paschi di Siena, e corporate collection, come Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo. Con tutte queste istituzioni, Cinello ha stipulato dei contratti, per ottenere il permesso di riprodurre i capolavori conservati nelle loro collezioni per commercializzarne le riproduzioni, tra cui il Bacco di Caravaggio e il Tondo Doni di Michelangelo (Uffizi), La rissa in galleria di Boccioni e la Testa di donna di Modigliani (Pinacoteca di Brera). Il contratto prevede che i proventi vengano divisi al 50% del netto tra Cinello e il museo proprietario dell’opera originale ma, secondo Le Iene, la percentuale sarebbe penalizzante per lo Stato. E poi, trattandosi di musei pubblici, c’è la procedura necessaria della gara di appalto, per decidere tramite bando la società a cui affidare questo servizio.

Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, ha chiarito che il contratto con Cinello è scaduto nel 2021 e non è stato rinnovato ma ha poi aperto un’altra questione: la gara non è stata fatta perché le leggi in essere non lo prevedono. In attesa di linee guida da parte del MiC – Ministero della Cultrua, insomma, come accade spesso nella giurisprudenza e nella burocrazia, che reagiscono seguendo le necessità imposte dagli eventi, ancora non è prevista una regolamentazione nel diritto d’autore e nella riproduzione delle immagini che faccia i conti con le possibilità offerte dalle nuovissime tecnologie. Che ormai riguardano non solo la riproduzione e la diffusione ma anche l’autenticità e, quindi, richiudendo il cerchio, il possesso esclusivo dell’opera. E non è un caso che la vicenda sia partite proprio dagli Uffizi, che tra i musei italiani è quello più attento alla dimensione “relazionale” e ibrida delle nuove tecnologie, dai contenuti virali diffusi sulla pagina TikTok, agli influencer che entrano materialmente negli spazi espositivi, come Chiara Ferragni e, proprio pochi giorni fa, la pop star Dua Lipa.

«Traghettiamo l’originale nella sua dimensione digitale», ci spiegava, in una nostra intervistaFranco Losi, vicepresidente di Save the Artistic Heritage e fondatore e CEO di Cinello, in una nostra intervista nel febbraio 2020. Ma questo slittamento è stato – e sarà – più critico e radicale di quello che sarebbe potuto sembrare, dal punto di vista sia concettuale che strettamente linguistico, sortendo quindi, a effetto domino, ricadute significative ed essenziali anche negli apparati burocratici e normativi. «Oggi possiamo fare la spesa su internet, prenotare una visita specialistica, custodire ed investire il nostro denaro, scegliere una vacanza, leggere un libro, ascoltare tutta la musica disponibile al mondo, e soprattutto condividere la nostra vita privata. Chi considera il digitale un qualcosa di altro da noi forse non ha riflettuto sul fatto che ormai, tra digitale e realtà, non c’è più alcuna differenza. Era inevitabile che si trovasse una strada anche per l’arte», continuava Losi, sollecitato dalle nostre domande. Esattamente l’anno successivo, nel marzo 2021, esplose ufficialmente il fenomeno NFT, con la vendita all’asta da Christie’s dell’opera di Beeple, Everydays – The First 5000 days, aggiudicata per la cifra stratosferica di 69,3 milioni di dollari.

Beeple, Everydays – The First 5000 days

La parte più complicata degli NFT è il senso: perché pagare milioni di dollari per un’immagine digitale che posso scaricare facilmente sul pc, addirittura screenshottare? Riguarda, appunto, la sottile differenza tra il possesso dell’opera e la sua riproduzione. Il collezionista di NFT sa di essere l’unico proprietario di una Bored Ape o di Roccia, pagata precisamente 1,3 milioni di dollari. Anche se quell’immagine digitale – che è meglio chiamare oggetto (items, come si dice nei marketplace dei videogiochi e dei metaversi) per includere e riconoscere quella sfumatura di “concretezza” imprescindibile per comprenderne la “reale” consistenza – potrà essere copiata e incollata con la semplice pressione combinata di ctrl+c / ctrl+v, il proprietario ufficialmente riconosciuto dall’infallibile blockchain e, quindi, dalla comunità dei collezionisti, sarà sempre uno e uno solo.

Non ci sono però norme sul diritto d’autore e sulla riproduzione delle immagini che però impediscono di fare uno screenshot e di usare quell’immagine come avatar per il nostro profilo sui social network. Continueranno a non esserci? Sarà necessario l’intervento di un’autorità centrale per regolamentare la possibilità di utilizzo e di diffusione di un’immagine/oggetto digitale? Per non parlare della commercializzazione, che apre la voragine senza fondo del black market, e senza considerare la manipolazione dell’immagine che, con gli strumenti a disposizione, amplia le possibilità di intervento e modifica ben al di là dei concetti giuridici di falsificazione e appropriazione.

Sono stati molti, però, i casi di giurisprudenza a fare la storia dell’arte. Per esempio, se volessimo approfondire la ricerca artistica del grande Andy Warhol, una buona strada potrebbe essere quella di seguire la causa, iniziata nel 2017, tra la fotografa Lynn Goldsmith e la Andy Warhol Foundation. Dopo una lunga querelle ed emozionanti ribaltoni, la Corte di Appello degli Stati Uniti ha giudicato Andy Warhol colpevole di violazione del copyright: per realizzare una sua famosa serie, usò senza permesso una fotografia del cantante Prince scattata da Goldsmith, pur reinterpretandola nel suo stile inconfondibile.

«La nuova vita di un’opera d’arte», si legge sul sito di Cinello. Una vita ancora tutta da scoprire, per nuove regole da immaginare.

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