10 febbraio 2003

Promemoria su ArteFiera2003

 
Che questa dovesse essere un'edizione interlocutoria, tra Artissima e Miart, sulla strada della Biennale, lo si sapeva. Si è chiusa la prima fiera dell'arte del 2003: se è certo che le carte buone le gallerie se le sono giocate soprattutto a Torino, è invece probabile che a Milano si farà un po' di chiarezza…

di

Per questo Bologna non poteva che fare ciò che le riesce meglio: puntare su valori consolidati, esporre pezzi di buona qualità, vendere quelli di seconda scelta, probabilmente sull’onda anche di quelle voci di saldi di fine stagione che si erano diffuse, forse non a caso così insistentemente, nei giorni che hanno preceduto l’evento.
A dar credito alle cifre ufficiali delle presenze, dovrebbe essersi compiuto il superamento di Artefiera ad opera di Artissima (38.000 contro 40.000); ha forse ragione Politi a giudicare gonfiate tali cifre e tuttavia una tendenza è chiara: Torino è in crescita vetiginosa, Bologna in fase di stallo.
Marco NeriLa ragione è semplice: Torino oggi presenta una fiera altamente qualificata, dedicata alle nuove tendenze, che si rivolge ad un target di collezionismo altamente specializzato che la stessa Artefiera di Bologna sbandiera, allestendo però l’evento più generalista che ci sia. Bologna è come il sussidiario d’arte delle medie, per il quale l’arte contemporanea va dall’impressionismo ai giorni nostri e il tentativo di organizzare i padiglioni per settori è solo un pallido ripiegamento dai risultati spesso contraddittori.
Peccato, perché è inutile nascondersi dietro un dito: la sperimentazione in arte contemporanea proviene dalle gallerie private; premi, biennali e musei arrivano sempre buoni secondi. In Italia gli investimenti pubblici in cultura non possono che rivolgersi allo sterminato patrimonio artistico storico sempre a rischio. Soldi per il contemporaneo non ce n’é; e allora ben vengano le gallerie private ed il mercato, ben vengano le gallerie civiche che, dalla voce dei loro direttori, ammettono e chiedono di lavorare con le gallerie private e dialogare con il mondo del collezionismo. Al pubblico spetta di premiare o bocciare le politiche culturali e le scelte scientifiche; se volete, la famosa “dittatura dello spettatore” di Bonami. In questo contesto, il concetto stesso di “fiera” deve essere messo in discussione, per assecondare la vocazione di questi eventi a trasformarsi da mero appuntamento di mercato in eventi culturali.

padiglioni 31 e 32
Nei padiglioni, più ambìti, 31 e 32 si sono viste molte opere di qualità, molte di grandi dimensioni, con una prevalenza della pittura, tipicità che Bologna deve mantenere per preservare il suo target, almeno nei gusti un po’ stagionato. Intendiamoci, la pittura sta vivendo una stagione assai buona; imporre un’idea di prevalenza di tale tecnica sulle altre è quantomeno fuorviante.
Marco Neri (Fabisaglia) conferma di essere forse tra i pochi pittori in Italia che riesce a reggere, per qualità, il confronto con la super star Ryan Mendoza (Minini) il quale, dal canto suo, si ha un bel dire che, in fondo, lavora mixando i vari Warhol, Richter, Bodanza Basquiat, Baechler, ecc.: poi, quando te lo ritrovi davanti, alzi le mani e ti arrendi all’evidenza di una classe cristallina.
Antonio Riello mostra forse una leggera flessione che, tuttavia, sa ben celare nelle grandi dimensioni dell’installazione di Bagnai anche se, proprio in fatto di grandi dimensioni, la pur già vista colonna tortile rossa di Tony Cragg da Tucci Russo (presente anche con lavori recenti di Piscitelli) era un avversario davvero impegnativo per qualunque lavoro plastico, fatto salvo forse solo per il troppo spesso sottovalutato Moore italiano, Alberto Viani (Lorenzelli). Da apprezzare anche l’iniziativa di Niccoli con l’antologica di Emilio Isgrò. Lavori freschi di Paolo Chiasera da Minini con l’intrigante versione tridimensionale della prospettiva giottesca. Da Lipanjepuntin un ottimo ma ripetitivo Andrea Chiesi deve lasciare il passo alle pruriginose cinesine di Gerald Van der Kaap e alla sfrontata supereroina di Bodanza, mentre Continua nasconde le carte di Loris Cecchini per la personale appena inaugurata esponendo i pezzi vAntin ecchi e invece mostra quelle giganti (di carte) del lavoro Good Stuff di Bruno Peinado. Va sul sicuro senza strafare De Carlo con Airò, Marisaldi, Holler e Stingel. Allo Studio G7 c’è il fratellino minore di Neri e Chiesi, Fabio Torre , da Sergio Tossi una bella serie di Giacomo Costa che, controllando con maggior rigore la distorsione prospettica fa un bel salto in avanti e distanzia i già troppi epigoni.
Convincente lo stand di Perugi , che potrebbe anche non mettere il nome: ha una sua ricerca, ben definita e riconoscibile, che piaccia o no.
Faraonici infine, gli stand di Cardi, con Tom Sachs, una mini personale di Warhol e splendidi Schnabel e Baechler di grandi dimensioni, e di Sperone, cui sarebbe bastato da solo il 244×320 di Peter Halley, ma che ha portato anche il Vik Muniz visto da poco alla G.A.M., Delvoye, Schnabel e Bertozzi e Casoni. Tra gli stranieri però, colpisce soprattutto Gasser & Grunert (NY) con Laurie Simmons, i suggestivi canarini gialli di Ann Craven e le cose recenti della Ahtila.

padiglione 34
Un veloce excursus anche su quello che è, per tutti, il padiglioncino. Da Brancolini il giovane Carone, con uno spadone inLinkegestibile che ricorda un po’ la nota sciabola della Galegati, un bel mortaio fatto di metri da muratore snodati e libri accoltellati. Meglio il Gonzato dei pannelli pixelati che quello più recente delle strutture trash a terra da Studio Legale, galleria che furbamente ha cavalcato la personale dell’artista inaugurata nei giorni della fiera allo Studio Ercolani e ha portato i disegni di Mendoza , che sono belli e costano poco.
Bene da Luigi Franco Yumi Karasumaru (bello pure il suo sito http://digilander.libero.it/yumika ) e bene pure, da Hollenbach, la pittura informal-pop di Sturgis, esponente di una ricerca in voga in america ma ancora prematura per l’Europa.
Sontuosa la presenza di Raffaella Cortese con Roni Horn, Ross Sinclair, MarcelloPlessiMaloberti e Zoe Leonard, anche se molto successo sembra aver avuto l’immaginario caotico di Jessica Stockholder . Non sono plastici quelli ritratti nei c-print del bravissimo Gefeller di Eikelmann, ma riprese a tempi lunghi, poi rielaborate a comporre una realtà artefatta e metafisica. Restando alla fotografia, hanno convinto molto le chromogenic print di Eleanor Antin, ed il suo neoclassicismo pop così vicino a Koons. Accudisce Sissi come fosse la mamma Carole Biagiotti: foto sul catalogo, cornici alla Mattew Barney allo stand, pensando che nessuno se ne accorga. Bellissimo il Malizia mal presentato dal Magazzino d’arte moderna, ben altra cosa dal giusto risalto che dà la Marabini ad Armin Linke e le sue “Wheels”. Davanti a The box sorge spontena una domanda: non è che i lavori di Wurm siano rimasti a Bologna, dopo la mostra alla G.A.M., per prendere i classici 2 piccioni?
Voto di stima a Cannaviello, un po’ bazar con Karin Andersen, Presicce, Pusole, Vukoje e troppo altro. Da Segnalare infine la mirata e coraggiosa ricerca condotta sulla giovane pittura tedesca da Art Bug di Bassano.

padiglione 33
La vera Artefiera è qui, qui è la sua specificità: l’arte moderna. Perché i Guidi degli anni ’20 e ’30 li si vede da ContiniCalligaro e di rado nei musei, perché Tornabuoni ha dei Birolli e dei Baj di qualità, perché Farsetti può esporre i Picasso e Tega ha dei buoni Chia. Ottima la scelta di Sapone della doppia personale di Burri ed Hartung, che in giro si vede tanto, ma di rado con opere di qualità. Impegnata la presenza dello Scudo con gli Afro degli anni ’50-’60, ma molto belli sono anche le cose di Leoncillo. Punta sulle carte ed i disegni la Blu, ma con nomi eccellenti: Klee, Kandinskij, Schiele, Ernst, Nolde. Morone dà ampio spazio, e a ragione, al progetto di Christo per un intervento su New York mentre Marescalchi si permette di esporre perfino una “Vue de Roquebrune” di Monet, olio del 1884. La grande installazione di Plessi “La stanza del peccato” del ’90 è allestita dalla Galleria d’arte Maggiore e Zonca e Zonca ha tirato fuori dei Rotella d’annata.

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alfredo sigolo

[exibart]

7 Commenti

  1. Per quanto riguarda i saldi di fine stagione evidentemente si trattava solo di voci visto che i prezzi erano molto elevati (vi sembrano pochi 3000 euro per quadri piccoli di artisti poco conosciuti e praticamente senza mercato?) Per quanto riguarda invece l’evidenza di una classe cristallina di Mendoza, bè credo che questa debba ancora essere dimostrata. I suoi disegni non li ho trovati affatto belli, a meno che non diamo per scontato di trovarci dinanzi ad un nuovo Picasso o Basquiat e allora taciamo in religioso silenzio.

  2. Caro Vito, credo anch’io che la questione dei saldi fosse un po’ specchietto per le allodole. Appena c’è sentore di crisi, immediatamente l’arte diventa bene di rifugio, investimento sicuro, ecc. In realtà questo accade certamente sui nomi eccellenti o storicizzati. Per i giovani vige la rigida regola del coefficiente, con la possibilità di un certo grado di sconto giocato sulla percentuale delle tasse che, per solito, non viene corrisposta. D’altro canto la questione del mercato “in nero” per le opere d’arte è ben nota, per molti versi agevolata da una legislazione che, nel nostro paese, non favorendo gli investimenti in arte (attraverso la defiscalizzazione; il collegato alla finanziaria 2000 si riferisce solo alle erogazioni liberali) finisce per penalizzare proprio i giovani. E’ soprattutto per ciò che in Italia non si è mai riusciti a fare stime e statistiche attendibili sul mercato dell’arte.
    Per quanto riguarda Mendoza io riferivo la mia idea consueta: su di lui ho anch’io l’idea che ci siano cose più originali in giro (per quanto sono molto inferiori a quelle che a Mendoza si rifanno spudoratamente) e però, quando te lo trovi davanti, fai ben fatica a dire che non ha ragione lui. Sono belli, c’è poco da fare. Per quanto riguarda la sua affermazione, credo si sia consumata negli ultimi tempi, almeno in Italia; se non per le vendite almeno per le personali importanti (penso a Trento e a Napoli).

  3. Ho esposto i miei artisti sia ad Artissima che ad Artefiera.Mi permetto di dissentire totalmente dalla vostra valutazione sulle due fiere.1)Numero visitatori:Ad occhio Bologna fa quattro/cinque volte le presenze di Torino.Quarantamila visitatori ad Artissima non li ho visti neanche sommando 4 edizioni.A Bologna i visitatori ci sono,si vedono e comprano benchè quest’anno il mercato sia stato penalizzato dalla crisi delle borse.2)Gli spazi:a Torino molti stand sono ridicoli.Io,e molti altri,stavamo in una specie di sottoscala veramente penalizzante per le opere e per il nostro lavoro.In generale tutte le gallerie hanno meno spazio a disposizione ed infatti gli stand erano troppo “pieni”.A Bologna questo problema non sussiste neppure nel pad 34 che pure non ha l’ampiezza dei pad 31 e 32.3)Qualità delle opere esposte:Chi dice che a Torino si vedono cose più interessanti perchè non c’è la commistione con il moderno dice una solenne fesseria.Le gallerie presenti a Torino erano praticamente tutte presenti anche a Bologna tranne forse qualche straniero.Ed il problema del moderno chi vuole lo risolve facilmente saltando il pad 33 (o viceversa se non è interessato al contemporaneo).Tutti i collezionisti più esperti fanno così e non mi sembra davvero un problema.Forse a Torino si vede qualche foto in più ma sulla qualità effettiva (a prescindere dalla “confezione perfettina”)mi piacerebbe discutere seriamente.
    La mia considerazione finale è che Artefiera si conferma la migliore e più completa fiera italiana.Artissima continua ad essere una fiera con un ottimo ufficio marketing, ma per le gallerie “molto fumo e poco arrosto”.

  4. Bhe, una discreta presa di posizione. Complimenti a Tossi per la franchezza. E in bocca al lupo per le attività in quel bellissimo spazio a Firenze.

  5. per la prima volta eravamo presenti in fiera a bologna, sia come artisti/espositori che come spettatori. che il motorshow faccia più affluenza, forse è vero. ma complessivamente ci troviamo in linea con tossi. il sabato, e non solo, c’era moltissimo “pubblico”. persone appassionate, più o meno attente. che si debba discutere probabilmente più sulla specifica della qualità dei “pezzi” è probabilmente vero. così come questa non meglio specificata selezione di qualità delle opere dovrebbe avvenire prima dell’esposizione in fiera.
    gli stand sono decenti in tutti i padiglioni, anche se permarrà per molto altro tempo, probabilmente, il problema delle fughe fra i moduli dei preallestiti.
    c’è un po di tutto! è vero. ma ci non sembra un difetto. pensiamo, per esempio, ad un giovane studente che può tranquillamente aggiornarsi, vedendo dal vivo, i maestri come le ricerche più attuali. oppure provare a fare una personale classifica di gradimento fra le “cose” che preferisce. e che male c’è?

  6. Concordo con Vito di BOLOGNA.
    Mendoza?
    Ma quale super star. Se il massimo che riesce ad esprimere è quanto si è visto ad Artefiera per me è un grande bluff.
    In particolare sono rimasto colpito dall'”orrido” dipinto rappresentante un neonato(sfido chiunque a metterselo in casa).
    Poi per quanto riguarda i prezzi devo dire che erano molto alti, ad esempio per un collage di Baj anni 60 di medio piccole dimensioni chiedevano ben 25mila euro(a mio avviso aveva un valore di mercato di almeno il 25% in meno).Il massimo è stato quando ho riconosciuto un’opera del maestro Baj recentemente venduta in asta per 16 milioni di lire venduta ad arte fiera per oltre il doppio.
    Per non parlare delle carte di Picasso vendute a prezzi da capogiro, come pure i Fontana ecc…

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