27 febbraio 2004

Il capolavoro? E’ una sòla

 
di guglielmo gigliotti

Dicesi capolavorite la forma isterica di lancio pubblicitario che si manifesta nei titoli di molte mostre. Prendiamo spunto da Arezzo -dove per la imminente mostra Da Picasso a Botero sono addirittura annunciati capolavori mondiali (firmati Telemarket e garantiti Sgarbi)- per abbozzare una analisi sulla febbre da capolavoro, sul virus delle opere minori, sulla mania del Da… a…

di

Tutti ad Arezzo. E di corsa. Perché? C’è la mostra Da Picasso a Botero. Capolavori dell’arte mondiale del Novecento. Bumm!
Cosa vuol dire? Che dal 27 marzo al 6 giugno 2004 il Museo Civico d’Arte Moderna della città toscana sarà l’ombelico del mondo, perché lì -e non altrove- l’isteria da capolavoro, altrimenti detta capolavorite, raggiungerà il suo vertice mondiale. Con garanzie anch’esse mondiali: lo sponsor è Telemarket, la cura è di Vittorio Sgarbi e Giovanni Faccenda…
Sono svariati anni che il popolo delle mostre d’arte è bombardato da annunci da far venire i brividi. Ovunque e sempre sono garantiti capolavori di tutti. Una mostra di impressionisti? Potete essere sicuri che non ci sarà una sola opera vagamente debole. Quindi a partire dal titolo e dal sontuoso comunicato stampa, fino alle adoranti recensioni, ovunque la parola “impressionisti” sarà preceduta da “capolavori”, come una coazione a ripeterelocandina
E gli espressionisti? Anche loro hanno realizzato sempre e solo capolavori. Una mostra di espressionisti, siatene certi, avrà nel titolo un Da … a…, e poi l’immancabile capolavori espressionisti. Roba da far tremare i polsi e da far venire il senso di colpa se a quella mostra, magari lontana (Treviso? Maddai…), non ci si va. E il bello è che ci si mette tutti in fila, si prenota a distanza di mesi e quando arriva il momento del confronto solenne con i capolavori annunciati, molti, osservando le opere tra una folla di teste scoprono che -in fondo- Monet o van Gogh o Gauguin erano esseri umani anche loro, e che opere che non siano capolavori le hanno anche queste grandi firme.
Sono loro, le cosiddette opere minori (di cui le mostre da capolavorite sono piene, per definizione), importantissime per capire il percorso di un grande artista ma anche per avere più rispetto del termine “capolavoro”, oltre che dello sforzo e dei rischi che l’artista affronta realizzando nella vita quelle 5-6 opere che forse possono meritare l’appellativo di capolavoro.
Picasso, ad esempio. Sembra che il grande artista spagnolo, figura fondamentale del Novecento, non potesse toccare pennello senza fare un capolavoro. Una noiosissima perfezione durata tutti i giorni della sua lunga vita. Ma le cose non stanno così. Anche Picasso, udite udite, sbagliava eccome.
33701Ad Arezzo sarà esposta Le peintre et son modèle, del 1965. Nel ’65 il grande spagnolo aveva 85 anni e pica..-zzeggiava (oops!) stancamente ormai da lungo tempo, e i suoi capolavori risalgono a mezzo secolo addietro.
Di Matisse si avrà in mostra uno studio giovanile del 1893, una copia da Fragonard: un capolavoro mondiale di Matisse? Di de Chirico, tra le varie opere, una Piazza d’Italia, ma del 1955, ovvero un capolavoro di replica di quelle opere eccezionali che il Metafisico aveva realizzato quarant’anni prima …
A risvegliarci dal sonno della ragione che genera mostre, l’annuncio supremo che funge da acme drammatico del comunicato stampa aretino: “Presenti al gran completo i grandi Maestri italiani del Novecento: da M. Campigli a G. Severini, da O. Rosai a V. Guidi, da M. Marini a Manzù, da Guttuso a Borlotti (si presume Morlotti, ndr), da Michele Cascella a….”. E qua ci fermiamo.
E anche per i “capolavori mondiali” di Botero, artista citato nel titolo della mostra, vorremmo chiedere scusa al popolo dell’arte, di cui facciamo parte, perché tutti sappiamo che l’arte è una cosa seria e non un fenomeno da baraccone sostenuto da lanci pubblicitari mondiali che sanno tanto di provinciale.Modigliani e i suoi
Scuse le rivolgiamo alle culture non-europee, che fanno parte del mondo, ma la capolavorite è una malattia eurocentrica, loro non c’entrano nulla.
A Roma, da qualche anno assurta a caput mundi di mostre piene di capolavori solo nei titoli, inizia a serpeggiare, nella coscienza diffusa dei fruitori di grandi mostre pubbliche, la nozione di mostra-sòla; a Milano le chiamerebbero probabilmente mostre-pacco. Qual dir si voglia, sono e rimangono mostre-fregatura. L’antidoto per fortuna è semplice: essere consapevoli che l’incontro con qualche capolavoro che rimanga impresso nella retina e nella mente per anni avverrà. Si, ma non in mostre che non te lo urlano in faccia.

guglielmo gigliotti

*la scelta delle immagini ad illustrazione dell’articolo è stata casuale tra le locandine di mostre presenti nel nostro archivio
[exibart]

12 Commenti

  1. Condivido in pieno quanto sostenuto dall’amico Guglielmo!!
    A Roma , città di “GRANDI MOSTRE” siamo pieni di capolavori:….nei MUSEI, NELLE CHIESE, NELLE STRADE!!! ….meno nelle GRANDI MOSTRE!
    Raffaello Paiella

  2. ottimo articolo, però vorrei vedere il catalogo per un giudizio obiettivo. in effetti nelle piccole province arrivano solo opere di 2° classe

  3. Perfettamente d’accordo con l’articolo!
    Ne ricordo una per tutte… Renoir e la luce dell’impressionismo… camera dei deputati a Roma nel 2002.4 interminabili ore di fila al freddo (pioveva anche!) per poter entrare…. ed erano quasi tutti esclusivamente bozzetti… percarità è stata comunque una mostra istruttiva ed interessante ma di CAPOLAVORI non ne ho visti… vorrà dire che prima o poi me ne andrò in Francia..

  4. Faccio i complimenti a G. Gigliotti per il suo testo: ha delle idde da esprimere e le esprime bene, un pezzo piacevole e su cui riflettere.
    Le auguro buon lavoro.
    Giuliana Mazzola

  5. ottimo articolo di gigliotti condivido in pieno .ricordiamoci anche che scopo delle mostre sarebbe quello di fare ricerca e analisi delle correnti artistiche nella storia.invece accade quello che gigliotti ha ampiamente commentato ,oltretutto sottraendo pubblico ai musei che sprecando energie per queste inutili mostre evitano la politica delle nuove acquisizioni

  6. Per non essere d’accordo con Gigliotti bisognerebbe essere incapaci di intendere e di volere. A Roma la situazione è grottesca, specie per alcune sedi (una su tutte, il Vittoriano); ho ricordi agghiaccianti di pessima illuminazione, lampadine rotte, errori di ortografia nei pannelli esplicativi, per non parlare del livello qualitativo delle opere esposte. Almeno costasse poco l’ingresso…

  7. bello, bellissimo articolo, e non solo perchè sono pienamente d’accordo: BASTA CON LE MOSTRE SUGLI IMPRESSIONISTI E CO.!!!

  8. WOW!!! Bellissimo… L’epopea del fasullo… Mi spiace solo che si debba pagare il biglietto… Approposito e se si pagasse con euro fatti in casa?… Per carità era una battuta la mia, non faccio il falsario e non invito neanche ad atti di “delinquenza”…

  9. OK, mi correggo parafrasav0 una battuta del buon vecchio Grillo… Insomma, che dire… Il gusto é soggettivo, fra quei lavori di poco valore, forse qualcuno troverà il lavoro della sua vita… E aggiungo che la pubblicità ha i suoi canoni da seguire, siamo noi che dobbiamo decidere se essere pro o contro quel che la tale pubblicità ci sta raccontando…

  10. condivido in pieno l’articolo .vorrei solo aggiungere che queste mostre non apportano alcun contributo sul piano della ricerca e della analisi delle correnti artistihe,tolgono pubblico ai musei i quali si trovano nelle condizioni di organizzare mostre simili in velocita’senza per esempio occuparsi di nuove acquisizioni .

  11. Tanti anni fa, mi pare nel 1937, Goebbels a Monaco fece una mostra dal titolo, tradotto, “Arte Degenerata” (Entertete Kunst mi pare)dove Hitler fece un discorso dove disse nella sostanza che se il quadro di una pubblica mostra non piace e non viene capito dalla gente comune che ha pagato con i suoi soldi gli stessi quadri moderni esposti nei musei e nelle gallerie pubbliche, significa che l’Artista è un drogato o un truffatore e che chi ne ha deciso l’acquisto è un mascalzone e un idiota che crede così di gratificarsi a spese del popolo. Questa è una delle non poche ragioni per cui il popolo tedesco amava Hitler e in massa lo seguì fino alla fine. Ando Gilardi

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