15 settembre 2009

Nicola Spinosa consegna il testimone del Polo napoletano alla prima donna Soprintendente

 

di

Nicola SpinosaTanto è stato fatto e tanto c’è da fare. In sostanza è questo il messaggio che Napoli lancia alla nuova Soprintendente del Polo museale napoletano, Lorenza Mochi Onori, giunta dalle Marche e già in carica da qualche giorno.
Le affidiamo miserie e nobiltà di questa città” dichiara il Soprintendente uscente Nicola Spinosa, inanellando sforzi, impegni e traguardi dei suoi tanti anni di dirigenza in un discorso colorato e commovente. Fa luce sulle cose fatte, sulle tante e importanti mostre che hanno spinto l’immagine culturale di Napoli nel mondo richiamando visitatori e turisti, e illustra le tante altre cose non finite e ancora da fare. In particolare ricorda il grande allestimento in preparazione sul Barocco, nel quale continuerà ancora a spendere energie, il progetto in itinere del Museo del Novecento a Castel Sant’Elmo, da lui fortemente voluto pur tra mille difficoltà con il coinvolgimento diretto di artisti e galleristi, e non ultimo il meraviglioso ristorante a San Martino a picco sul golfo di Napoli, ormai in dirittura d’arrivo, realizzato coi fondi Cee e slegato dagli orari del Museo. Una testimonianza vitale di come la cultura possa diventare il traino più grosso per l’economia di una città in difficoltà.
Lei, tranquilla, annuisce non mancando di sottolineare di essere la prima donna alla guida del timone napoletano, che con grande onore e uno stile più diplomatico manovrerà nel segno della continuità, puntando alla realizzazione di belle mostre, rivolte a richiamare l’attenzione sul nostro patrimonio e ad aggiungere novità scientifiche al meraviglioso mondo della storia dell’arte. (ivana porcini)

[exibart]

6 Commenti

  1. Neanche una parola sul fatto che Spinosa si è scagliato contro il Pan, definito “un museo ad ore”, una “pagnotta” per “le esposizioni degli amici”, contro la Piedigrotta “che butta in pasto alla plebe materiali di consumo” e alla fine la stoccatina al Madre non l’ha risparmiata. Quello di Spinosa è stato decisamente un addio al vetriolo

  2. sono daccordo con il commento precedente. mi sembra un temino piuttosto che una cronaca di quanto si è detto in conferenza stampa. “belle mostre”? ma quali? sono stati fatti dei nomi, delle proposte? e la polemica con madre e pan perchè non sono citate? a cosa serve essere così benevoli con il soprintendete uscente?
    e cosa farà spinosa adesso? le voci circolano qui a napoli, la porcini non ne è al corrente?

  3. Ma provate ad andare a vedere le mostre fatte dalla Soprintendenza di Napoli negli ultimi trent’anni e scoprirete che è l’unica Soprintendenza in Italia ad aver realizzato un così alto numero di esposizioni di rilievo internazionale. Nei tanti momenti bui che Napoli ha attraversato negli ultimi anni le mostre organizzate dalla Soprintendenza di Spinosa sono spesso state le uniche cose di cui la città poteva vantarsi. Se l’arte antica napoletana ha ottenuto visibilità e prestigio è anche grazie al lavoro di valorizzazione che la Soprintendenza ha attuato. I napoletani tutti dovrebbero essere orgogliosi e riconoscenti.

  4. che un soprintendente “inanelli” l’elenco di tutti gli sforzi compiuti purtroppo non è una novità…
    ma che un articolista “inanelli” un testo del genere è una cosa che non avremmo mai voluto vedere…

  5. LEGGO e RIDO!
    Il Sen. Vallone scriveva:
    “..se il Ministro in indirizzo sia in grado di spiegare la procedura con la quale é stata esperita la gara d’appalto di cui in premessa, alla luce della circostanza in base alla quale nella giornata del 10 ottobre 2002 la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma annunciava che alcune ditte erano state invitate alla gara d’appalto e, con seconda nota in pari data, la stessa Soprintendeva comunicava ai signori Streccioni che tale gara era già stata aggiudicata e che era stato financo stipulato un contratto con tale impresa ISARM..”

    Sono i “CAPOLAVORI” di “URGENZA” di ADRIANO LA REGINA e RITA PARIS a Roma, dove recentemente, brucia uno sfascio di 1200 macchine nel loro “Parco dell’Appia Antica”?

    Bene, si buttano giù due mattoni di un “pollaio” chiamandolo “VILLA” a Gaucci, per salvare la faccia.
    Poi la “GRANDE TUTELA” “DEMOLISCE UN PARCHEGGIO ABUSIVO” di un ristorante, togliendo il brecciolino, perche le macchine, potrebbero rovinare i “REPERTI ARCHEOLOGICI”, e come riprististano i luoghi “SACRI”?

    Passandoci con un trattore e “ARANDO” !

    ADRIANO LA REGINA, abita senza titolo al Palatino da 4 anni, 130 metri quadri per 500 euro al mese.

    Massima acquisizione delle aree, ripetono da anni, forse servono altri “ALLOGGI DI SERVIZIO”?

    Signori si è rotto il “giocattolo”, a Roma ci sono 4 “SOVRINTENDENZE” solo contando le principali!

    BRUNETTA “SALVACI” da questi “TUTELATORI” !

    PIERO IANNELLI
    pierorm64@libero.

  6. Rispondo a “Re” su queste farneticazioni:

    «[..]esposizioni di rilievo internazionale” [??!][…]le mostre organizzate dalla Soprintendenza di Spinosa sono spesso state le uniche cose di cui la città poteva vantarsi [!!].Se l’arte antica napoletana ha ottenuto visibilità e prestigio è anche grazie al lavoro di valorizzazione che la Soprintendenza ha attuato. I napoletani tutti dovrebbero essere orgogliosi e riconoscenti».

    Il cancro di questa città, e dell’Italia tutta, (la cui politica culturale è uno specchio e non – ahimè – un faro nella notte) è ben esemplificato da queste parole, provenienti con ogni probabilità dalla claque che come sempre accompagna i potenti di turno.
    Secondo questi ultimi, protagonisti dell'”Italietta”, le esposizioni d’arte sono infatti qualcosa di cui vantarsi, come l’abito della domenica sfoggiato sulla via dello “struscio”, e non la tappa di un dialogo culturale con il pubblico.
    Ogni evento rappresenta prima di tutto, per tali organizzatori, un accrescimento di prestigio nella carriera personale.
    Ciò che conta di queste esposizioni è il numero dei visitatori e delle opere mostrate, che è infatti la costante sfoggiata nelle conferenze stampa e nelle pubblicità dell’evento. Non a caso, nella terminologia da essi adoperata, le opere sono sempre “capolavori”: questo appellativo contiene già in sè -preconfezionato e pronto per essere imboccato – il motivo per cui il pubblico-‘plebe’ deve andare a visitare, anzi ad “ammirare” (con tanto di bocca spalancata)le opere esposte “per la prima volta insieme/in assoluto” (rafforzativo motivazionale per i più refrattari). In quest’ottica paternalista, non è evidentemente contemplato nessun proposito di confronto con il pubblico, che infatti non viene mai interpellato (sul piano critico) nè coinvolto . La cultura, con una visione tanto antiquata quanto resistente, viene calata dall’alto, da chi solo può occuparsene, sulla massa ignorante e non è prevista interazione nè confronto sui contenuti, ma l’unica risposta prevista è il ringraziamento per la “munifica elargizione” [«I napoletani tutti dovrebbero essere orgogliosi e riconoscenti»]. In questo modo non si fa altro che perpetuare la rigida separazione tra chi “offre” cultura e chi la riceve, tra chi sta/si pone “in alto” rispetto a chi sta/è posto “in basso”, dimenticando opportunamente che i processi culturali sono interattivi, partecipativi piuttosto che monologhi a senso unico, e che essi non conoscono gerarchie e suddivisioni.

    Questo modo di intendere la cultura rispecchia pienamente una classe politico-sociale chiusa in se stessa e autoreferenziale, arroccata sulle proprie posizioni di potere e perciò assolutamente disinteressata a confrontarsi ed, ancor più, a mettersi in discussione.

    Una classe impegnata a difendere le proprie posizioni ed i propri affiliati (vedere le polemiche con le altre istituzioni museali napoletane) in lotte di potere tanto sotterranee, quanto efficaci. Se l’obbiettivo fosse la costruzione di un sistema culturale al servizio del pubblico, sarebbe infatti ricercata la cooperazione tra istituzioni.

    In quanto poi al “rilievo internazionale” delle esposizioni, l’unico fatto reale in tal senso è che esse,lungi dall’essere state programmate nell’ottica di un discorso culturale di respiro pluriennale, sono invece frutto di una compravendita fra istituzioni museali di quello che ormai non è altro che un prodotto di marketing (vedere il documento dell’ICOM sulle mostre cosiddette “Blockbuster”).
    Del resto non c’è da meravigliarsi che accada tutto questo in un paese dove, in tutti i settori chiave, la dinamica del ricambio generazionale, così come la mobilità sociale, sono ingessate (lo stesso Ministero dei BB. e AA. Culturali ne è un esempio paradigmatico, per non parlare del motivo per cui la successione a N.Spinosa è un incarico ad interim..).

    No, i Napoletani (alcuni) non sono orgogliosi nè riconoscenti per questo scempio e sono fieri di non esserlo. Sono fieri di avere ancora delle capacità critiche, di avere una dignità da difendere, di detestare il servilismo, le pratiche clientelari e nepotistiche, di sapere che la cultura non è esclusione, non è imposizione dall’alto di contenuti precostituiti, nè orpello decorativo del potere, ma partecipazione, dialogo, inclusione, confronto, relativizzazione del proprio di vista, persino cambiamento di prospettiva.

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