03 luglio 2012

Pittura, pittura & pittura. A Chelsea si riscopre l’arte della pennellata, per teorizzare la sua evoluzione. E per vendere

 

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Cos’è la pittura? E com’è? È elastica, perversa, vampiresca, assorbente, vecchia come l’umanità. E che continua a dirsi morta nonostante sia più viva che mai. Forse, tra l’altro, il segno della sua sempiterna vivacità è data proprio dal fatto che spesso, nei grandi musei dedicati al contemporaneo nel mondo, la pittura è spesso esclusa. Ci hanno riflettuto a New York, dove di gallerie e grandi musei se ne intendono, ed è nato a Chelsea una sorta di percorso in cinque tappe, in cinque gallerie differenti, che si propongono attraverso l’aiuto di critici d’arte, curatori, galleristi e, ovviamente, pittori, di indagare quelle che sono le tensioni attuali dentro e fuori il medium più “artistico” di sempre. Si scopre così che molto spesso la figurazione è stata messa da parte per un ritorno all’astrazione o ad una pittura diffusa, che si fonde con i linguaggi della scultura e dell’installazione, ma che creano in tutti i casi un percorso ottimo di conoscenza, un filone di energia che non è possibile vedere attraverso le sale dei musei. Ma chi sono questi nuovi pionieri di un discorso pittorico che va dagli ultimi decenni agli ultimi mesi di produzione? Sikkema Jenksin, Zach Feuer, James Cohan e le famosissime Luhring Augustine e Lelong, tutte comprese tra la 22esima e la 26strada, che hanno raccolto per l’occasione 120 artisti.
Si può cominciare con il tour dalla James Cohan, dove Matthew Higgs ha riunito sotto lo stesso cielo un gruppo di 37 artisti che comprendono un’ “Ossidazione” di Andy Warhol del 1978 e una serie di altri lavori che vengono definiti pittorici per questioni di comodo ma che rasentano il ricamo, il wall-painting, il collage e lo stencil in omaggi non troppo velati ai grandi maestri, da Rauschemberg a Pollock. Da Zach Feuer si passa invece a una dissertazione sul concetto di pittura e anti-pittura, in una mostra curata da due artisti, Tyler Dobson e Ben Morgan-Cleveland, due giovani che gestiscono due piccole realtà artistiche di Greenpoint a Brooklyn. Anche in questo caso le giovani leve americane si confrontano con i grandi maestri, anche europei, uno su tutti Martin Kippenberger, in un dialogo incessante tra la figurazione e l’installazione, tra ciò che è pittura-su-tela e quello che invece rasenta l’oggettuale, nella sua dimensione meno installativa e più “murale”.
Da Luhring Augustine invece si alza il tiro, con una mostra creata in collaborazione con il Center for Curatorial Studies del Bard College di Annandale-on-Hudson, organizzata da Tom Eccles, direttore esecutivo del centro, e Johanna Burton. Qui ci sono 26 artisti, da Martin Creed a Rachel Harrison, Liam Gillick, Tony Oursler, Pipilotti Rist, Haim Steinbach, Mark di Suvero e John Handforth. Una pittura extramurale, non a caso il titolo della mostra è “Painting in Space”, con tutti personaggi che si conoscono perfettamente anche in Europa, la cui poetica è assodata sotto ogni punto di vista.
I 10 artisti di “Stretching Painting” da Lelong, lavorano invece su una dimensione decisamente pittorica, su diversi materiali, ma che sfiorano l’ossessività per il segno, la diluizione del colore, il tratto nervoso su compensato, legno, muro.
Si chiude con “The Big Pictures” da Sikkema Jenkins, una mostra dove le tele di otto pittori non superano mai una dimensione di 20×20 centimetri. La dimostrazione, a partire dal titolo-bufala, che non solo quello che è piccolo può essere anche “bello”, ma addirittura radicale. Una dimensione anti-sistema, dove al contrario spesso accade che prevalga il monumentalismo. Una bella dissertazione, anche sulla modalità di “unirsi” delle gallerie in un programma comune ma che, e non dimentichiamolo, forse vuole anche portare a Chelsea prima dell’estate qualche nuovo acquirente. Perché forse la pittura non è morta e sicuramente si evolve di continuo, ma resta pur sempre uno degli oggetti dell’arte più facilmente comprabile. E di conseguenza vendibile.

1 commento

  1. Meglio tardi, che mai;
    Una breve riflessione andrebbe fatta sul mercato dell’arte, che spesso ha promosso lavori insignificanti,di atisti inesistenti, spacciandoli per capolavori, con il favore di critici complici si è costruito un’universo di significati, intorno a opere e personaggi che con l’ARTE non hanno nulla a che fare.
    Non vorrei essere frainteso, ma penso che sia giunto il tempo di dare alle cose il giusto nome e il giusto valore.

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