10 dicembre 2013

La stretta su Photoshop. Il World Press Photo verso la nuova politica “meno editing, più immagini”

 

di

Paul Hensen e l'immagine vincitrice del World Press Photo 2013. Courtesy l'artista e WPP
L’anno scorso qualcuno aveva gridato al falso: lo scatto di Paul Hansen, vincitore del World Press Photo e raffigurante con crudezza “classica” i corpi di due bambini avvolti in un sudario nella processione verso la sepoltura, sarebbe stato messo insieme con una post-produzione serrata e precisissima. Siamo alle solite: conta di più il risultato o il processo per arrivare ad esso? È più artista chi esegue o chi ci mette le idee? Si sa da quale parte pendano gli estimatori e gli addetti ai lavori dell’arte contemporanea, ma quando si tratta di un contest di immagini allora tutto è lecito o esiste un limite? Se lo sono chiesti, e hanno deciso che sì, c’è un limite, nel board del più grande contest dedicato al fotogiornalismo di tutto il mondo. 
Per determinare la misura in cui le immagini sono state migliorate in post-produzione i candidati, d’ora in poi, saranno invitati a fornire il negativo non trattato, e alcuni esperti confronteranno il risultato finale con l’originale. Niente più grane insomma, a meno che non siano quelle delle stampe, anche perché l’anno scorso dopo le accuse a Paul Hansen il Word Press Photo dovette aprire un’inchiesta, scagionando poi il fotografo, reo di aver manipolato un po’ le luce nell’editing dell’immagine. 
«Le fotografie sono giudicate per il loro valore di notizia, la composizione, lo stile, l’aspetto, l’originalità e l’impatto. Quando la materia che la fotografia tratta e la vita e la morte, quando si racconta una guerra con lo scopo di documentare, c’è di mezzo l’etica. E se per qualche motivo non ci saranno i negativi o appariranno “anomalie” nei file salvati, i finalisti saranno esclusi dal concorso. Speriamo che i fotogiornalisti professionisti rispettino gli standard etici e giornalistici non alterando il contenuto delle immagini con l’aggiunta o la rimozione di elementi» ha dichiarato il Presidente di World Press Photo Michiel Munneke. Vedremo i risultati, curiosi, nell’edizione 2014.

2 Commenti

  1. Sono due cose differenti la foto e l’elaborazione digitale, due tecniche da me usate, ma mai dichiarate con lo stesso nome. Credo che la foto richieda la capacità di VEDERE con l’inquadratura ciò che si vuole esprimere e questo può avvenire con l’istantanea o con la costruzione scenografica dell’immagine o con tecniche del doppio negativo, del contrasto etc. che sono più limitate ma non dissimili di Photoshop. Poi c’è l’elaborazione digitale con la quale si può partire da un’immagine o serie di immagini e montarle, elaborarle etc. in modo da ottenere ciò che si vuole esprimere (lo stesso risultato della foto). Il confine è molto labile, ma sta all’artista dare un nome o l’altro alla sua opera. Dario

  2. E’ semplice: il fotoreporter deve fermare la realtà, mostrare la verità, mentre l’artista fotografo può elaborare a piacimento con qualsiasi mezzo.
    Se il fotoreporter aggiunge elementi, falsifica. Se ha questa necessità, per esempio: esprimere meglio un messaggio, sarebbe opportuno che dichiarasse l’avvenuta modifica dell’immagine originale.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui