17 gennaio 2017

Galleria Nazionale della Puglia, venduta a privati una parte dell’immobile. Ci racconta il caso il fondatore e collezionista Girolamo Devanna

 

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Scoppia il caso della Galleria Nazionale della Puglia “Girolamo e Rosaria Devanna”, un giovane ma prestigioso museo nato nel 2009 a Bitonto in provincia di Bari grazie alla donazione di Girolamo Devanna, instancabile collezionista che ha accumulato in decenni di ricerca una mirabile quadreria di dipinti dal Cinquecento al Novecento. Tiziano, Veronese, Mei, Gentileschi, Lanfranco, Giaquinto, Poussin, Delacroix, De Nittis, Netti sono alcuni dei nomi degli artisti collezionati da Devanna e ora in esposizione permanente nella galleria, allestita all’interno del rinascimentale palazzo Sylos Calò. Il palazzo è stato acquisito e ristrutturato dallo Stato proprio con lo scopo di farne uno spazio museale, ma ancora adesso alcune parti dell’immobile restano di proprietà privata. Su questi locali lo Stato vanta un diritto di prelazione, che però il Segretariato Regionale del Ministero dei Beni Culturali della Puglia non ha esercitato quando recentemente sono stati messi in vendita, permettendo in questo il passaggio ad altri privati. E scatenando le ire di Girolamo Devanna, che si dice pentito di aver destinato i suoi tesori alla Puglia e minaccia di lasciare altrove il resto delle opere ancora appartenenti alla sua ricca collezione. A lui abbiamo rivolto tre domande.
Che sta succedendo al museo nato dalla sua donazione?
«All’inizio degli anni 2000 ho fatto un accordo con il ministro Giuliano Urbani. Per destinare alla galleria il palazzo nella sua interezza, sono stati stanziati 300mila euro al fine di esercitare il diritto di prelazione sui locali ubicati al pian terreno ancora in mano a privati. Ne sono stati usati solo 80mila per l’acquisto di un locale e sono quindi rimasti 220mila euro. Il primo problema sorto è stata la questione dell’apertura di una gelateria in uno dei locali in mano a privati, proprio sotto il loggiato cinquecentesco del palazzo. Il proprietario del locale però non l’ha venduto, ma lo ha affittato proprio per aggirare il diritto di prelazione. Un vulnus per l’immagine del palazzo. Poi, a settembre 2016, altri due locali al piano terra sono stati messi in vendita e i vecchi proprietari hanno venduto a un altro privato, perché lo Stato non ha esercitato il diritto di prelazione che pure gli spetta. C’erano 60 giorni per farlo, ma evidentemente qualcosa è andato storto. La vendita di questi due locali crea un problema di completezza al progetto del museo e anche di sicurezza, perché chiunque ora potrebbe aprire un buco nella parete ed entrare in galleria quando vuole. Senza contare che i locali venduti hanno tutti un accesso diretto al cortile interno della galleria. Io tutto questo l’ho scoperto un mese fa. All’inizio sia la direttrice della galleria che la Soprintendenza mi hanno risposto che era impossibile e poi hanno dovuto darmi ragione. Perché non è stato usato il diritto di prelazione? Perché chi doveva occuparsene è incapace e non ha controllato oppure perché è successo qualcos’altro, perché ci sono interessi economici dietro? Mi chiedo a questo punto i 220 mila euro dove sono finiti. Sono intenzionato a fare tutto il possibile per saperlo, anche a procedere con denunce se serve. La Soprintendenza è incapace di gestire questa struttura. Sono stati fatti due interventi di restauro delle facciate esterne costati molti miliardi di lire, senza interessare inquilini del pian terreno. Una volta restaurato il palazzo, gli immobili in mano ai privati hanno visto aumentare il loro valore e ora qualcuno ha pensato bene di fare un affare. Ora questi locali che sarebbero dovuti essere parte del museo sono destinati a diventare un’attività commerciale, un negozio di abbigliamento».
Cosa pensa di fare adesso? Qual è la sua richiesta?
«Io credo nella funzione dei musei e ho pensato di destinare la collezione a Bitonto perché io sono nato qui e amo le pietre di Bitonto. E volevo che la mia collezione restasse unita. È stato un errore madornale. Avrei desiderato che il progetto della galleria fosse stato portato a termine, ma visto che a quanto pare non è possibile, chiedo di spostare la galleria da Bitonto in un’altra regione, una qualsiasi, perché dal punto di vista della cultura peggio della Puglia non c’è altro. So che sarà impossibile, ma provocatoriamente faccio questa proposta. Il resto della collezione forse lo venderò, anche se mi piacerebbe che andasse in un museo ma non in questa regione inaffidabile. Ho notato un disinteresse totale dei pugliesi verso le sorti della galleria. Non gliene frega niente della cultura in generale, a parte qualche velleitarismo di Vendola sul cinema. Per il resto è una regione vuota. Ho pensato che la mia collezione sarebbe stata destinata a un organismo vivace e attivo, perché questo deve essere un museo, ma qui c’è il deserto intorno. Negli anni mi sono più volte indignato, con la speranza di spronare qualcuno e rendere il museo più importante, ma devo registrare un’assenza totale a tutti i livelli. A parte una direttrice appassionata, non c’è altro».
Che ne sarà del resto della sua collezione?
«Io avrei voluto donare tante altre cose, ma non voglio entrare nel dettaglio. Dico solo che c’è per esempio un certo busto in gesso, un ritratto importante di Voltaire, il prototipo da cui sono stati scolpiti i ritratti custoditi alla National Gallery di Washington e all’Hermitage. Sarebbe venuto qui, alla Galleria Nazionale della Puglia, ma ora non se ne parla e niente mi farà cambiare idea. Ero in attesa di completare anche la donazione della mia piccola collezione archeologica, che ha almeno dieci pezzi importanti. Sono andato all’inaugurazione del nuovo allestimento del MArTa di Taranto e Taranto non ha dieci pezzi come i miei. C’era un progetto in corso riguardante il restauro proprio dei locali al piano terra per rendere fruibile la sezione archeologica, ma ora che i locali sono stati venduti non so cosa succederà. Mi sento preso in giro. Trasferirei subito tutto in qualsiasi regione, anche all’estero, ma non mi permetterebbero di farlo. Avevo anche pensato di portare tutto a Tirana, in Albania, dove sarebbero stati ben felici di valorizzare la collezione e questo in passato aveva suscitato lo sdegno di uno dei nostri Ministri. Ogni tanto questo pensiero mi torna. È un scherzo il mio, o forse no». (Francesco Paolo Del Re)

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