24 luglio 2017

Da Mark Dion a Louise Bourgeois. I nomi della Biennale di Istanbul fanno crescere l’aspettativa

 

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Il momento si avvicina, le luci sono già puntate sulla prossima Biennale di Istanbul, che si terrà dal 16 settembre al 12 novembre 2017 in vari luoghi della città sul Bosforo e sarà curata da Elmgreen & Dragset. Una scelta curatoriale che già destò una certa curiosità, visto il background del duo, al quale non manca il coraggio nella sperimentazione, come quando, per il progetto presentato alla Biennale di Venezia del 2009, Michael Elmgreen, nativo di Copenaghen, e Ingar Dragset, di Trondheim, in Norvegia, decisero di unire due padiglioni nazionali, quello danese e quello nordico, in una sorta di “buon vicinato”. 
Dunque, va sottolineata la coerenza nell’approccio, visto che il tema scelto per questa 15ma edizione della Biennale turca prosegue la ricerca sul “good neighbour”, il buon vicino, quello che tiene la musica sempre al giusto livello di sopportabilità acustica, sposta i mobili senza strusciare sul pavimento, insomma, si rende conto del flusso di relazioni che condiziona le esistenze individuali e devia il corso degli eventi. «La casa viene affrontata come un indicatore di identità diverse e un veicolo di espressione del sé, il quartiere come un micro-universo che esemplifica alcune tra le sfide di coesistenza che ci troviamo ad affrontare», hanno motivato Elmgreen & Dragset. Non sfugga la punta di ironia nel riportare una situazione di urgenze sovranazionali al livello del pianerottolo condominiale, perché il gioco come metodo di interpretazione, un’attività critica e ludica che presuppone la perfetta padronanza delle regole, è firma di tutte le operazioni del gruppo, dalla piscina a forma di orecchio per omaggiare Van Gogh, alla roulotte interrata nella Galleria Vittorio Emanuele, a Milano. «Alla luce dell’attuale situazione geopolitica globale, che sta sperimentando un nuovo aumento del nazionalismo, sarà importante per noi curare una biennale basata su sforzi e processi collaborativi», hanno dichiarato gli artisti, per i quali la collaborazione è un sentimento molto naturale, visto che il binomio dura da più di venti anni e non dimostra momenti di fiacca. 
Le premesse, dunque, sono giuste e sembrano dare ragione alla scelta fortemente caldeggiata dalla Istanbul Foundation for Culture and Arts, il potente ente non-profit che, dal 1987, organizza la rassegna dedicata all’arte contemporanea, oltre a diversi altri eventi culturali di risonanza nazionale e internazionale, come il padiglione per la Biennale di Architettura di Venezia. «Il tuo prossimo potrebbe essere qualcuno che vive una vita diversa dalla tua», hanno continuato i curatori, introducendo gli artisti ufficialmente invitati alla 15ma Biennale, dove «saranno sollevate questioni sulle idee di casa, di quartiere, di appartenenza e coesistenza da diverse prospettive. Alcune opere esploreranno come le nostre condizioni di vita domestiche siano cambiate, come siano diversi i quartieri che abitiamo», riflettendo sul modo in cui l’esperienza quotidiana, anche quella più banale, ci mette di fronte a questioni di geopolitica delle quali, in alcuni casi, abbiamo  poca o nessuna contezza. Estremamente variegata, quindi, la scelta degli artisti, di primo piano ma distanti dal mainstream, da Mark Dion a Louise Bourgeois, da Berlinde De Bruyckere a Monica Bonvicini, da Tatiana Trouvé a Kaari Upson, da Sim Chi Yin a Henrik Olesen, oltre a moltissimi turchi di diverse generazioni, dalla giovane promessa Ali Taptik a Candeger Furtun, tra le artiste più influenti. E tutti saranno a Istanbul, confine sacro per l’incontro tra gli uomini e le culture, scenario, anche mediatico, di fatti di cronaca e politica dai tratti sfuggenti, che oggi sembra il luogo più adatto per riportare la ricerca artistica al centro della storia, nel tempo che le appartiene. (MFS
In home: Michael Elmgreen e Ingar Dragset alla Biennale di Venezia del 2009 
In alto: Adrian Villar Rojas, Most Beatiful of All Mothers, Biennale di Istanbul del 2015

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