09 novembre 2006

fiere_resoconti Art(Verona06

 
Magari bastassero le buone intenzioni. Art(Verona s’allarga, cerca un’identità, ci prova a diventare grande in un calendario internazionale che, pur fitto, appare dinamico e recettivo. Ma si ferma al palo. La fiera alternativa è, per ora, ancora un’ipotesi...

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La mission è chiara: istituire l’altra fiera, un evento contro l’ortodossia culturale internazionale, per intercettare target (pubblico, collezionismo, operatori e artisti) che operano nella nicchia del mercato del nostro Paese.
Ma nell’epoca di internet e della comunicazione globale la marginalità non è affatto un handicap. A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, abbiamo assistito spesso ad episodi di affrancamento dalla scena underground di movimenti ed artisti, che sono stati sdoganati dal sistema per ammantarsi della stessa aurea di ufficialità che rifuggivano. Non solo. A livello mondiale sono emersi veri e propri mercati alternativi, non necessariamente legati al territorio, con sistemi strutturati di critica, collezionismo, media e operatori specializzati, persino fiere e aste. E la cosa non vale solo per l’arte ma anche per il cinema, la musica, la letteratura.
ArtVerona fa leva su questo, scommettendo su un’identità italiana che oggi sembra emarginata dal mercato internazionale. Eppure ci sono diverse cose che non tornano.
La premessa è che, parlando d’arte contemporanea, siamo per definizione nell’avanguardia. Per tutti i movimenti, in fondo, c’è stato un tempo di clandestinità e marginalità.
E qui sta il punto. Anticipare quello che verrà è sempre un bel proposito. Il fatto è che il pensiero va naturalmente ad ambiti come l’arte elettronica o alle espressioni della rete, ai recenti sviluppi presi, in seno alle comunità giovanili, dalla street e dalla urban art, così diffusa anche in Europa e con operatori specializzati, oppure a media che non trovano, nelle aste, uno spazio commerciale corrispondente alla visibilità conquistata in grandi eventi espositivi e biennali; si pensi alla videoarte ma anche alla scultura e alle installazioni o alle arti performative.
Fabio Viale, Opera rotas, 2006, marmo bianco di Carrara e legno, cm. 400 x 100 x 230 (courtesy Gagliardi Art System, TO)
In Italia non c’è ancora una fiera dedicata esclusivamente alla fotografia, a fronte di una convinzione comune che il nostro Paese meriti una riscoperta della sperimentazione condotta coraggiosamente negli anni ’60 e ’70 e ancora poco considerata rispetto a fenomeni come la fotografia tedesca.
Invece no, tra gli stand troviamo troppi rappresentanti dei campioni delle televendite, dei nipoti dei figli di Vedova e Turcato, dei post dei postimpressionisti, le ultime espressioni degli espressionisti, gli strasurrealisti, i megaiperrealisti e i non solo pop.
La sensazione netta è che a Verona si sia andati fuori tema, selezionando non tanto energie innovative, sperimentali, ma le espressioni minoritarie di una cultura contemporanea debole. È gioco facile cavalcare una cultura tranquillizzante, che perpetua valori concettuali e formali della modernità, che si innesta su una tradizione digerita e pertanto familiare, innocua.
Ovviamente è vietato fare di tutte le erbe un fascio, qualche eccezione c’è per forza. E le gallerie di qualità naturalmente non mancano (le varie Colombo, Bagnai, Cardelli&Fontana, Battaglia, La Città…) seppur troppo diluite. Senza dubbio la nota più positiva –poi- è scoprire, per paradosso, quanta disponibilità e qualità, quanto lavoro e opportunità vi siano nei settori storicizzati, che stanno pagando oltre un decennio di grande propulsione del segmento contemporaneo. Che raramente, specie in un’Italia poco recettiva nel grande pubblico e poco strutturata per promuoverlo, appare all’altezza della sua fama.
Anche ammesso, e non concesso, che possa oggi essere circoscritto un movimento nazionale che si contrappone ai supposti poteri forti di un gusto internazionale non corrispondente alla tradizione di casa nostra, anche ammesso che esista un fondamento per una identità italiana contemporanea non dimentica della propria storia, ArtVerona ha poi trasgredito a questo proposito, per intercettare un target più ampio possibile.
Fulvio Di Piazza, Turbulivo, 2006, olio su tela cm. 180 x 250 (courtesy Bonelli Arte Contemporanea, MN)
In un’epoca in cui le fiere tendono sempre più a concentrarsi, riducendo gli espositori, in controtendenza la fiera scaligera porta gli operatori ad oltre 200, con soli due stranieri in una città che è storicamente il vettore logistico d’Italia verso la mitteleuropa non solo germanofona.
E se altrove sembra prevalente e vincente la scelta di caratterizzarsi con eventi specializzati, dalle formule innovative, qui si cerca di spaziare troppo: grafica, arte dell’’800, storica del ‘900 e contemporanea, come si faceva una volta. Qua e là compare persino qualche operatore che sarebbe più a suo agio in un evento di artigianato artistico.
Se l’intenzione è di andare controcorrente, una scelta coraggiosa sarebbe di rinunciare a cavalcare la moda del contemporaneo e dedicarsi ad altro. Come? Ad esempio proporre la prima fiera italiana dedicata al XIX secolo, emancipandone l’arte figurativa dalle fiere di antiquariato, oppure indagare e valorizzare il ‘900 storico, anche quello da riscoprire, o cercare di riorganizzare seriamente il settore della grafica e del multiplo, dimostrando com’è cambiato con le nuove tecnologie. O magari puntando, come si diceva, sulla fotografia, colmando un buco nell’attuale offerta italiana.
L’attuale fiera finisce così, quest’anno, per competere con le decine di fierette locali sparse per lo stivale, messe in piedi per riempire i muri delle case di un collezionismo senza troppe pretese e per fomentare l’illusione di un nazionalismo fuori luogo. Un peccato, un’opportunità perduta, magari per correre dietro a certa disinformazione nella quale troppo spesso incappano, consapevolmente o meno, anche i media più letti della penisola (basta sfogliare le cronache di arte&mercato di illustri testate come CorriereEconomia e Il Mondo, peraltro tutte di casa Rizzoli…).
Ultima annotazione per un evento significativo, la sezione di Ousider Art curata da Daniela Rosi. Il termine Outsider Art nasce come sinonimo inglese dell’Art Brut di Dubuffet & C. ma ben presto diventa definizione per indicare tutte le pratiche culturali irregolari folk e naïve, coltivate fuori dagli schemi e che rifiutano il conformismo del sistema ufficiale di mercato. Il progetto ripercorre le tappe storiche di questa vicenda omettendo però di considerare proprio l’attitudine originaria del termine Outsider, che al giorno d’oggi ha assunto nel sistema declinazioni diverse. Si chiedesse ad un operatore del contemporaneo di illustrarci l’Outsider Art oggi, ci presenterebbe la scena losangelena, parlerebbe dei Beautiful Losers, citerebbe forse David Shrigley, Templeton, Shag o Ryden. Di tutto ciò, purtroppo, neppure la traccia, anche se gli operatori in circolazione ci sono. Basta guardarsi intorno.

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alfredo sigolo


Art(Verona 2006 – dal 19 al 23 ottobre 2006
info: www.artverona.it


[exibart]

5 Commenti

  1. concordo abbastanza!
    diciamoci la verità: ha senso fare una fiera così in Italia? Con gallerie di così bassa elevatura?
    Senza parlare degli artisti… perchè sono il prodotto della stolteza dei galleristi… non si possono presentare più certi stend immondizia ed altri di tutto un po’!
    In alcune gallerie di penultimo livello (perchè nell’ultimo ci sono quelle di paese con pittori della domenica)riusciamo anche e trovare Rauschemberg in esclusiva e “Ray Man” (a tanto arriva l’ignoranza!!!)… ma chi ha fatto la selezione delle gallerie si è per caso reso conto dell’oscenità e della assoluta inprofessionalità degli invitati? …o forse ha badato solo ad il portafoglio?
    Comunque era da vedere… per non comprare!
    Questo è quel lato dell’arte italiana che andrebbe eliminato senza alcun tipo di tentennamento!

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