25 ottobre 2007

fiere_opinioni ArtVerona: il bello di stare ai margini

 
Nel bel mezzo di un periodo di fuoco per fiere e aste internazionali, potrebbe apparire singolare ridursi a ragionare su ArtVerona, la fiera meno internazionale che c’è. Eppure il suo essere fuori dal coro costituisce un casus che vale forse la pena di considerare...

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Il fatto è che, alla terza edizione, la kermessina scaligera, nata come luogo del mercato italiano e che ha fatto del provincialismo una bandiera, ha cominciato a togliersi qualche soddisfazione. Nonostante le critiche che, essenzialmente, poggiavano su un assunto niente affatto peregrino: quale logica sottende alla scelta, nel tempo della concorrenza fieristica globale, concepire l’idea di una nuova fiera nazionalista e protezionista? E ancora: che senso ha impiantare una piattaforma per un contesto di mercato, quello italiano, assolutamente minoritario, periferico, spesso arroccato su posizioni eccessivamente tradizionaliste e, soprattutto, orfano di mezzi e strutture idonei per proporre ed imporre valori nell’agone internazionale?
Il logo di ArtVerona
La risposta veronese a tutto ciò può sintetizzarsi in un chissenefreghismo a oltranza. Condivisibile o meno la scelta di ArtVerona è stata ed è controcorrente: rispetto alla moda del contemporaneismo a ogni costo, dell’anglofilia senza compromessi, della globalizzazione forzata. In effetti, almeno a giudicare dai risultati, il gioco di chi la fa più lontano sembra fino oggi vederci sconfitti su tutta la linea. Tra le fiere maggiori italiane, Torino cerca nuove strade per uscire dalla crisi, Bologna non è ancora riuscita a completare il rinnovamento auspicato dalla direttrice Evangelisti, Milano non esce dalla crisi d’identità. Intorno a loro, vivacchia una costellazione di eventi più o meno amatoriali poco significativi. All’estero invece si conferma il neocolosso Frieze, si rilancia la Fiac, restano inattaccabili Arco e ArtBasel e crescono agguerrite intraprese nomadi, specie oltreoceano.
Il logo di Artissima 14
Il punto è questo: se Artissima taglia il 20% di gallerie e ArtFirst Bologna, dall’avvento di Evangelisti, sceglie di cavalcare l’onda del contemporaneo rinnegando in parte la sua vocazione storicistica, è inevitabile che una nutrita schiera di operatori si trovi orfana di una ribalta che reputano indispensabile.
Non bastasse l’arte storica e dell’Ottocento, priva di appuntamenti significativi dedicati, oggi il rischio è che a spasso ci finisca anche l’arte del Novecento e tutta quella che non è “So Contemporary!” (come recitava l’adagio di Tino Sehgal un paio di Biennali fa). A conti fatti, non stiamo parlando di bruscolini ma spesso di professionisti con 30-50 anni di lavoro sulle spalle, che conoscono il mercato e vantano un portafoglio di collezionisti di tutto rispetto, che si sentono trascurati e messi in un angolo per colpa delle mode. Il logo di Art First BolognaStiamo parlando di coloro cui è deputata la tutela dei nostri artisti sottovalutati, come la Scuola romana, la fotografia degli anni ’70, il neocubismo e il realismo del dopoguerra e via dicendo. Vendono magari, e anche molto, ma non fanno notizia.
Gli spazi forse esistono ancora e possono essere riempiti con un buon progetto. In attesa che qualche novità legislativa intervenga a rendere il mercato un po’ più liberista. Anche per questo ArtVerona, quest’anno, ha cominciato ad assumere la fisionomia di una fiera bolognese in miniatura, come lo poteva essere nell’epoca ante Evangelisti. Certo, siamo ancora in uno stato larvale. Per ora Verona è un ibrido tra Salon des Refusés delle due fiere maggiori, rifugio per gli operatori di arte storica e per gli accoliti della nutrita schiera dei non allineati. Ma tutto ciò potrebbe lentamente assumere un’identità e cominciare a far sentire il suo peso.
Il tempo per crescere non le manca perché, nel frattempo, pubblico e operatori stranieri continuano a snobbare il Bel Paese, e persino i nostri collezionisti continuano a preferire gli operatori stranieri a quelli di casa. Nascono nuove gallerie a decine, è vero. Ma, nei casi migliori, finiscono per dipendere quasi totalmente dalla precarietà delle fiere, senza riuscire a consolidarsi in casa e anzi finendo in balìa dei colossi stranieri, diventandone delle specie di succursali.
Intanto quest’anno a Verona sono arrivati nuovi nomi, tra cui grandi specialisti come la galleria Brancolini Grimaldi, grandi gallerie storiche come Centro Steccata e Il Mappamondo, grandi mercanti come Contini di Venezia, gallerie emergenti di provincia come Paolo Maria Deanesi e Jarach, nomi noti come Otto di Bologna, Peola di Torino e Zonca & Zonca di Milano.
Il logo di MiArt ArtNow! 08
Ed è venuto il presidente dell’Associazione Nazionale delle Gallerie Massimo Di Carlo (Lo Scudo), che in occasione dell’ultima fiera di Bologna aveva fatto il diavolo a quattro contro certe esclusioni eccellenti. E che, invece, non ha mosso un dito per contrastare la purga di Bellini ad Artissima.

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2 Commenti

  1. Mi sorprende ogni volta leggere che Sigolo mette sullo stesso piano (o su livelli analoghi) Art Basel ed Arco, quando quest’ultima è desiderabile per un gallerista quanto può esserlo la scabbia.

    Per quanto riguarda Artissima si sta cercando da anni di far credere che sia una fiera interessante, usando sempre lo stesso metodo: invitare gallerie straniere che vengono pagate dalle gallerie italiane che ignare o consapevoli di questo, vi partecipano

  2. Sono in buona misura d’accordo con Sigolo, anche se a Verona, oltre all’ avanguardia storicizzata, ho visto molte buone opere di artisti dell’ultima generazione. Questa è la strada da seguire : valorizzare l’arte italiana. Regalare spazi alle gallerie estere serve solo a farci compatire

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