26 giugno 2008

LO SLITTAMENTO DEL MERCATO

 
di alfredo sigolo

Uno dei temi che ha tenuto banco negli ultimi mesi è stato l’assalto delle case d’asta al mercato primario. Il fenomeno non è nuovo e si ripete periodicamente. Uno spauracchio per i galleristi. Che però, forse, non ha ragione di esistere...

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Il mercato dell’arte non si è mai caratterizzato per rigidità e trasparenza. Soprattutto non lo sono gli attori che lo alimentano. Come spiega bene Francesco Poli (Manuale di Economia e Politica dei Beni Culturali, 2004) per analogia con la compravendita dei titoli finanziari si distingue convenzionalmente anche nell’arte tra mercato primario e secondario. Primario è il mercato che attiene alle nuove emissioni di titoli azionari e obbligazionari, che vengono collocati dalle società ed enti loro titolari presso il pubblico o presso i precedenti titolari mediante le opzioni. A esso sono assimilabili le transazioni che vedono protagonisti gli artisti in prima persona e i loro committenti diretti, collezionisti e galleristi. Sinteticamente le potremmo definire tipiche transazioni economiche “dal produttore (creatore) al consumatore”.
Il mercato secondario è invece quello costituito dalla rivendita ad altri soggetti, da parte di collezionisti privati, loro eredi, fondazioni ed enti vari, e da parte dei mercanti, ed è tipico dei titoli già emessi da tempo, che circolano in borsa e fuori borsa.
Il mercato secondario è tradizionalmente il campo operativo delle case d’asta ed è anche quello nel quale i valori dell’opera tendono a consolidarsi e acquisire connotazioni di certezza e ufficialità. Le case d’asta, in questo caso, assumono il ruolo di controllo e regolamentazione delle borse valori.
Facile, no? Non proprio. Dalla teoria alla pratica, nel mercato dell’arte la tensione allo sconfinamento è sempre dietro l’angolo. Globalizzazione e nuove economie emergenti, unite nell’arte al boom del segmento del contemporaneo, hanno assottigliato i confini, rendendoli molto esili e facilmente attraversabili. Nell’uno e nell’altro senso. Perché se è pur vero che, a ogni tentativo di sconfinamento, sulle case d’asta si abbattono regolarmente gli strali dell’ADAA (l’Art Dealers Association of America) e dei galleristi di mezzo mondo, è difficile negare l’ingerenza degli stessi avversari sui risultati delle aste degli artisti protetti. Dietro le strategie messe in campo per “difendere” gli artisti al cospetto del banditore sta un paziente lavorio relazionale e trasversale preliminare, alleanze tra galleristi concorrenti e collezionisti di riferimento, a garanzia di brutte sorprese.
Larry Gagosian e Francesco Rutelli
Uno storicamente abile a tenere il piede in due staffe è stato Larry Gagosian. L’ultimo esempio sono state le iniziative organizzate nel 2007 al Barvikha Luxury Village di Mosca, sorta di raccolta di figurine dell’arte del XX e XXI secolo offerta a domicilio per i parvenu della nuova economia russa, da De Kooning a Damien Hirst, da Lichtenstein a Jeff Koons, da Miró a Cecily Brown, da Picasso a Uklanski, da Rothko a Douglas Gordon. Una vera e propria operazione “usato sicuro”.
Una figura ancora più ambigua è quella del mago della pubblicità Charles Saatchi, che la succursale a Mosca l’ha già avviata. Dealer, collezionista, mecenate, astuto businessman, incasellarlo in una categoria stabile è quantomeno difficile. Se poi accade, come nel luglio 2007, che chiuda con successo un accordo di partnership con la casa d’aste più aggressiva sul mercato dell’arte contemporanea, Phillip’s de Pury, ecco profilarsi una “strana cosa” che tanto somiglia a una filiera completa, che dal mercato primario delle mostre organizzate da una parte (dai titoli esemplari: U.S.A. Today, New Chinese Art, Indian Art Today, Photography Now, New Sculpture, New Britannia) transita nel secondario delle aste. Senza passare dal via.
E che dire del dealer, titolare di Art&Public di Ginevra, Pierre Huber che, recentemente, ha ottenuto prezzi favorevoli da artisti top player per un nucleo di settantaquattro opere, millantando la costituzione di un grande nuovo museo, salvo poi girarle tempestivamente a Christie’s, spuntandone quasi diciassette milioni di dollari?
L’opera Diamond (Blue) di Jeff Koons, stimata 20 milioni di dollari
A proposito di Christie’s. Almeno loro han giocato a carte scoperte, dichiarando pubblicamente l’interesse a entrare a piedi uniti nel mercato primario, vuoi per sfruttare il momento favorevole dell’arte contemporanea, vuoi perché nei nuovi mercati non esistono reti organizzate cui appoggiarsi, soprattutto per non farsi soffiare sotto il naso i nomi più caldi dalle tante auction house emergenti di Cina e India, che tendono a colmare il gap della mancanza di un sistema facendosi in prima persona promotrici della ricerca nazionale.
L’acquisto da parte di Christie’s della prestigiosa galleria Haunch of Venison (sedi a Londra, Berlino, Zurigo e presto a New York) è stato come chiudere un cerchio perfetto, di cui fanno parte anche le propaggini museali veneziane, presenti e future, del suo patron François Pinault: Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
Haunch of Venison vanta oggi un portfolio di circa quaranta artisti tra i più importanti del panorama internazionale: storici (Flavin e Ryman), grandi star contemporanee (Bill Viola e Tony Cragg), cinesi (Zhang Huan), pluribiennalizzati (Pedro Cabrita Reis, Zarina Bhmji, Kienholz), Turner Prize (Keith Tyson) ma anche giovani emergenti (Jamie Shovlin, Artists Anonymous).
Jorge Pardo - Senza titolo - 2008 - tecnica mista - courtesy Haunch of Venison, London
È storia nota che, all’atto dell’ovvia candidatura della galleria a partecipare all’ultima edizione di Frieze, la megafiera londinese, sia calata la scure della lobby dei galleristi con la scomunica dal novero degli eletti. Da parte sua, la sorella maggiore ArtBasel, ha da subito bandito preventivamente tutte le gallerie di proprietà di case d’asta. La galleria londinese s’è presa subito la rivincita ottenendo l’ingresso al TEFAF di Maastricht, in questo caso mossosi controcorrente.
Lo sdoganamento delle case d’asta nelle fiere potrebbe essere allora solo questione di tempo. E perché mai ciò dovrebbe costituire un problema? Lo sport del salto della quaglia, lo abbiamo visto, è molto praticato, nell’uno e nell’altro verso. Di più: uno scenario di questo genere servirebbe ad aprire ancor più alla trasparenza, anzi potrebbe finire per favorire maggiore competitività e opportunità, aprendo le strade delle aste anche alle gallerie (e perciò agli artisti) emergenti e non solo ai grandi potentati.
Il nodo da risolvere non è la tenuta dell’ostracismo alle fiere ma semmai quello di rinegoziare i rapporti delle case d’asta con le gallerie e ripensare i rapporti tra galleria e artista (spesso ambigui e precari). Già oggi i talenti di Haunch of Venison sono concessi a molte gallerie di scoperta, anche italiane, segno che i veti sono già stati agevolmente aggirati. Con il risultato che però le forze in campo sono talmente sbilanciate a favore di una parte, che la gestione commerciale di questi artisti da parte delle gallerie è soltanto teorica e spesso telecomandata.
Jamie Shovlin - Untitled (The Last Resort) - 2007-8 - neon - cm 100x200 - ed. 3/3 - courtesy 1/9 unosunove arte contemporanea, Roma
Anziché insistere con un braccio di ferro che penalizzerebbe inevitabilmente le piccole gallerie di scoperta, sarebbe forse meglio pensare a un nuovo modello di eventi di mercato, magari qualcosa di simile al fortunato Bit, la Borsa del Turismo milanese. Una piattaforma innovativa e flessibile, che valorizzi sinergie, un luogo di contrattazione e di relazione, autoriflessione e dibattito. Un confronto in campo aperto che coinvolga anche le case d’asta minori e nazionali, le direzioni degli acquisti dei musei e delle collezioni. Un’occasione per stabilire strategie di mercato che superi l’aberrazione che in questi anni ha portato allo sviluppo di professionisti la cui stessa sopravvivenza dipende dall’andamento delle vendite in fiera e che magari torni a favorire un lavoro di promozione e di ricerca territoriale, all’interno di una rete più glocale e meno globale.

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Sbarca a New York Haunch of Venison, la galleria londinese di Christie’s

alfredo sigolo


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 50. Te l’eri perso? Abbonati!

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1 commento

  1. Alfredo, complimenti per l’articolo, ma non sono d’accordo sul fatto che la partecipazione delle case d’aste alle fiere favorirebbe la trasparenza del mercato. Non bisogna essere degli 007 per sapere che la manipolazione dei prezzi delle aste è all’ordine del giorno. Francamente la storia Christies/Haunch of Venison mi fa pensare a un croupier che si mette a giocare in proprio contro il casinò.

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