25 febbraio 2010

L’EREDITÀ INGOMBRANTE

 
di alfredo sigolo

L’inizio del 2010 consente di tirare una riga, mettendosi alle spalle quello che facilmente sarà ricordato come l’annus horribilis per il mercato dell’arte. Ma va in archivio anche un decennio controverso. E probabilmente irripetibile...

di

Partiamo da alcuni dati. Nel 2009 il giro d’affari per le
due maggiori case d’asta, Christie’s e Sotheby’s, si è ridotto di circa il 50%
(53% per Sotheby’s e 45,6% per Christie’s). Ma la situazione è più grave se si
concentra l’analisi sul comparto dell’arte contemporanea, protagonista del boom
e prima vittima della crisi.
Stando ai dati pubblicati da Bloomberg News e ripresi dal Washington Post, le vendite di opere d’arte
contemporanea hanno segnato per le due maggiori case d’asta un decremento del
75%, avendo totalizzato complessivamente appena 482,3 milioni di dollari nel
2009 rispetto all’1,97 miliardo del 2008, ai 2,4 miliardi del 2007 e all’1,1
miliardo del 2006.
Il fatto che il tasso d’invenduto sia rimasto tutto
sommato basso è dovuto a tempestive contromisure di contenimento, adottate per
garantire la circolazione e impedire che il mercato si arenasse. “Il mercato
resta vivo”, si è continuato a dire, mentre nel 2008 le stime dei prezzi
calavano progressivamente fino a un -50%.
Un segnale positivo viene però dall’indice Mei Moses, che
calcola il rendimento degli investimenti in arte. Nonostante il calo registrato
su base annua del 23,5%, il secondo peggiore dalla crisi del ’29, è stato
contenuto da un aumento del 13,1% segnato nell’ultimo trimestre. Gli analisti
intravedono in questo dato, apparentemente inatteso, una crescita di fiducia,
fondata sull’idea che il fondo sia stato davvero toccato e che nei mesi a
venire non si potrà che risalire.
Fortunato Depero - Squisito al Selz Campari - 1926 - collage su cartone - cm 71x96,5 - coll. privata
La cautela è tuttavia d’obbligo, soprattutto sul fronte
dell’arte contemporanea. Potranno con ogni probabilità guardare con ottimismo
ai prossimi mesi soprattutto coloro che, evidentemente, il boom del mercato
l’hanno vissuto solo di riflesso, non godendone appieno i frutti. Chi ad
esempio? Beh, gli operatori del comparto dell’arte antica, dell’antiquariato e
dell’Ottocento. In questo senso, da Londra arrivano notizie incoraggianti, che
indicano un incremento delle candidature e un crescente interesse verso le
kermesse dedicate all’antiquariato. Sue Ede, proprietaria di Cooper Fairs, ha
da poco acquisito dalla società Trident la Buxton Antiques Fair, arricchendo così
il proprio portfolio, che ora può contare su ben sei fiere e su un fitto
calendario di appuntamenti a cadenza mensile in giro per il Regno Unito.
Ma l’anno appena trascorso ha archiviato anche la prima
decade del nuovo secolo, che pertanto merita una riflessione. Che potrebbe
sintetizzarsi nel motto: “Attenzione, si ricomincia”.
La pesante crisi economica in poco più di due anni ha,
infatti, quasi azzerato quanto fatto nei precedenti, riportandoci a una
situazione analoga a quella d’inizio millennio. L’11 settembre ha inaugurato un
periodo tragico di grandi conflitti (che dura tuttora) ma ha anche determinato
forti cambiamenti negli equilibri economici e culturali. Holland Cotter, sul New
York Times
,
osservava recentemente come a fronte di radicali mutamenti del sistema
dell’arte non siano corrisposte vere rivoluzioni del campo dell’arte, rimasta
sostanzialmente la stessa degli anni ’90. Così, mentre si aprivano i fronti di
guerra e cresceva l’insicurezza, la cultura si è ritirata in una sorta di bolla
impermeabile all’esterno. Una bolla che si rivelerà economicamente tossica, ma
che è stata anche luogo di illusione ed evasione.
Più artisti, più mostre, più musei, più tutto: l’epoca
dell’artentainment
ha incarnato il sogno di un nuovo Rinascimento; un Rinascimento breve, che si è
chiuso con la ben nota crisi economica del 2008/2009 e che lascia ora
un’eredità ingombrante.
Andreas Gursky - Gelsenkirchen - 1991 - stampa a colori - cm 172x205 - ed. di 4 - courtesy Galleria Lia Rumma, Napoli-Milano
Va bene che la benedetta ripresa sembra già iniziata, più
nelle parole che nei fatti, ma rimane il problema di che fare delle
innumerevoli fiere, biennali e festival nati ovunque, alcuni già chiusi, altri
appesi a un filo, dei nuovi musei, che rischiano di rimanere contenitori vuoti,
mentre i vecchi si dibattono tra magri bilanci e scioperi del personale a
rischio di licenziamento, com’è accaduto in Francia nelle scorse settimane;
cosa fare, infine, degli artisti: la Triennale al New Museum di New York appena
conclusa ne ha gettato nella mischia altri 540 con il progetto Younger than
Jesus
.
Di fronte a tutto ciò, è necessario interrogarsi su cosa
valga veramente la pena di salvare.
Nel suo blog sul Guardian, il critico londinese Jonathan
Jones si è divertito a fare un salto all’indietro di un secolo. Nel 1909 il
Fauvismo era consolidato, il Cubismo in pieno svolgimento e il Futurismo
pubblicava il suo manifesto. A Barcellona c’era Gaudí, a Vienna Schiele affiancava Klimt, a Parigi lavoravano Picasso, Braque e Matisse. Kandinsky scriveva Lo Spirituale
nell’arte
, de
Chirico
gettava
le basi per la Metafisica. Un periodo di grandi fermenti culturali e
rivoluzionario, ben poco imparentato con il decennio appena trascorso,
certamente caratterizzato da grande entusiasmo e partecipazione, ma
culturalmente permeato dal retrogusto del XX secolo. Si pensi all’ironia di Koons, alle provocazioni di Hirst, all’arcadia felix di Doig, all’estetizzazione di Gursky, all’epica nostalgica di Prince. Sono loro i campioni degli anni
‘90 e lo sono rimasti anche negli Anni Zero. Non sono stati anni privi di cose
rimarchevoli, ma nel complesso abbastanza conservatori, legati al recente
passato, fatto di miti, di eterna giovinezza e illusioni tradite, piuttosto che
proiettati verso il futuro, come direbbe Joseph Stiglitz, autore de I
ruggenti anni Novanta
.
Richard Prince - Back to the Garden - 2008 - tecnica mista su tela - cm 203,2x304,8 - courtesy Gagosian Gallery - photo Robert McKeever
Per questo l’eredità del decennio che sta alle spalle
sembra essere difficilmente riciclabile o riconvertibile, date le sue
caratteristiche di rivoluzione mancata o, per meglio dire, di falsa
rivoluzione. Perché, se è indubbio che la tensione verso il rinnovamento ci sia
stata, è altresì evidente che questa non sia andata oltre la promessa o, più
precisamente, del restyling del vecchio. Così sono nati i non-musei, le
quasi-biennali, le antifiere o le non-solo-gallerie. Non le nascite si sono
celebrate, ma i funerali: s’è detto e scritto che la pittura è obsoleta, che la
fotografia è morta, che il video è storia, che la scultura è unmonumental.
Nonostante ciò, abbiamo vissuto un’epoca di grande
intensità e partecipazione collettiva all’arte, che è corrisposta a
un’irripetibile stagione del mercato. Eventi che hanno denunciato fragilità, ma
anche potenzialità impensabili.


alfredo sigolo


*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 63. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]


85 Commenti

  1. Sempre centrati gli articoli di sigolo. Al di là dell’andamento altalenante del mercato, e’ vero che non ci sono stati cambiamenti significativi nell’arte tra anni 90 e primo decennio. Forse qualche scintilla ma niente di più. Sembra che il linguaggio dell’arte contemporanea abbia già sciolto tutte le questioni e i conflitti novecenteschi. L’arte contemporanea oggi sembra fare il verso a se stessa. Ed è per questo che mi viene da parlare di “ikea evoluta”, e aggravata (spesso) da un grado di “pretenziosità colta” che (spesso) fa preferire la leggerezza dell’ike originale. E’ ormai evidente una necessità di una riflessione radicale sul format, ruolo e linguaggio. Vediamo quanto ci mettono gli operatori italiani più attenti ad ametterlo…

  2. Bravo Alfredo, bell’articolo.

    Finalmente, forse si comincia a percepire una cosa che io vado dicendo da molti anni : cio’ che ci apparso come un inizio e’ in realta’ una fine, lenta ed inesorabile, ma una fine.
    Bisogna pero’ allargare la prospettiva per comprenderne il reale significato, bisogna allargare a tutto il novecento ed anche prima, alle radici della modernita’ in arte per capire in realta di che cosa si e’ trattato , un cambio di prospettiva di questo genere ci potrebbe fare poi comprendere che il nuovo, in realta’ esiste ed e’ sotto il naso di tutti.

    Il “nuovo” sta nel cambiamento del rapporto degli utenti con le immagini, e nei cambiamenti socio-antropologici che questo determina all’interno del sempre piu’ vasto “sistema” dell’arte, che sta divenendo qualcosa di molto diverso da quanto ci si potrebbe aspettare.

    Le nuove tecnologie di trasmissione delle immagini ( internet, ovviamente) stanno modificando i rapporti fra le figure del sistema dell’arte, e soprattutto stanno determinando quali immagini passano e quali non passano.

    Vi rendete conto che Urs Fisher e Tino Seghal, solo per fare due esempi, non hanno un loro website?
    Questa e’ una cosa che per ogni ventenne di oggi ( provvisto di cervello) che voglia lavorare in qualsiasi campo dell’arte, risulterebbe perlomeno blasfema.

    Ma a che sistema sociale questi artisti fanno riferimento?

    Come puo’ essere avanzata una forma d’arte se non e’ connessa e modellata dai nuovi sistemi di comunicazione che stanno trasformando tutto il nostro sistema di riferimenti di interazione sociale?
    E’ anche ovvio , d’altronde, che se gli artisti che usano questo tipo di linguaggio lo proponessero nel web senza protezioni istituzionali di sorta, risulterebbero del tutto inosservati.

    Ma Allora?

    Teniamo sempre in mente cosa e’ successo alle avanguardie musicali del novecento, le quali hanno visto questo processo di trasformazione avvenire ben prima che non nel campo delle arti visive.
    Chi ascolta piu’ Stockhausen? Berio, Boulez?
    Eppure negli anni settanta costoro riempivano I corrispettivi dei musei d’arte contemporanea d’oggi, le sale da concerto e I teatri d’opera e le loro” innovazioni” linguistiche erano al centro del dibattito sulla musica del futuro.
    Nel frattempo pero’ erano arrivate altre musiche, al confronto reazionarie e di “cattivo gusto”, che pero’ viaggiavano benissimo nelle radio e sui dischi e che ignoravano completamente le radici culturali a cui le le avanguardie musicali, basate sulla “rivoluzione” della seconda scuola di vienna, si richiamavano.
    Ora il linguaggio delle avanguardie musicali e’ praticamente sparito dall’orizzonte culturale e la musica rock-pop e ‘ la musica , ed anche chi studia composizione al conservatorio deve fare I conti con tutto cio’.
    Sto scrivendo piu’ approfonditamente di tutto questo per una rivista americana.

    Questa e’ una intervista in cui parlo anche di queste cose:

    http://artpulsemagazine.com/a-vision-of-the-world-interview-with-nicola-verlato/

  3. Dietro Luca Rossi si nasconde Luca Francesconi, basta confrontare le cose che scrive e i commenti qui su Exibart, è senza ombra di dubbio la stessa persona.

  4. Il problema è che non ci sono più le rivoluzioni poiché non ci sono più gruppi di pensiero ma al massimo qualche gruppetto di lobbysti.
    All’arte manca l’idea di sé stessa come insieme collettivo. Mancano i movimenti. Sembra assurdo, ma mancano gli -ismi che hanno prepotentemente alimentato il “secolo breve”.
    A mio avviso il problema è che non ci siamo preoccupati di ammazzare il padre e preferiamo vivacchiare sull’eredità e le rendita di posizione fin de siecle…

  5. Come sostiene giustamente giacinto di pietrantonio, non è male che ci sia un estensione dell’alfabetizzazione nell’arte. E quindi tanti artisti omologhi e intercambiabili. Il problema è che abbiamo curatori e critici che si comportano come broker: aumenta l’offerta di artisti e ne diminuisce il valore. Soprattutto diminuisce la capacità e la voglia di certi operatori di approfondire e andare a “cercare”. Basta allungare un braccio fuori dal proprio studio per accchiappare un buon giovane artista standard con idee colte e semmai formalmente stuzzicanti. Ed è per questo che le relazioni e il sistema giocano un ruolo centrale. Non servono i contenuti, piuttosto fare la cosa giusta nel posto giusto e sostenuti dalle relazioni giuste. Per capire che poi questi artisti “giusti” sono parificabili a tronchetti sacrificali, a impiegati del catasto. Accessori. Alcuni accessori sono certamente migliori e con contenuti più forti. Ma sono pochi.

    Verlato dice giustamente che artisti come seghal o fischer non hanno bisogno di siti internet. Ma perchè deve essere così…quando si sospetta della propria debolezza ci si “promuove”…o quando ci si rende conto di muoversi in un sistema di operatori apatici che scelgono più per convenienza che per convinzioni reali. Operatori italiani promettenti come luigi fassi o simone menegoi si muovono sulle uova, attenti ad ogni minima scelta; sospesi in un delicato equilibrio posto tra il compiacimento di un sistema di valori e i propri gusti personali. Forse neanche una proposta inequivocabilmente divergente può smuovere questa situazione. Forse solo una lenta presa di coscienza.

    Come ogni anno i tre curatori in residenza dalla sandretto iniziano il loro giro per la penisola. Vaglieranno 500-600 artisti (forse più), per poi fare una mostra collettiva con una dozzina di loro. A mio parere queste centinaia di artisti sono colori della tavolozza e sono più “artisti” i tre curatori. Ma viviamo comunque un vuoto, in quanto non c’è piena consapevolezza e intenzione artistica da parte dei curatori. E quindi chi è l’autore??? Anche per questo ci sono stanze vuote con una “menta” intorno. Forse bisogna iniziare a lavorare su questa “menta”….

  6. Ben detto Daniele, il simbolo di ciò di cui parli sono Ludovico Pratesi con i suoi “collezionisti”, ACACIA, via Farini, Angela Vettese, il Festival di Faenza….entità che si autocelebrano e che cercano in un mercato manipolato la consacrazione delle loro “scelte”…

  7. beh,caro verlato, quest’anno nei cartelloni rispettivamente del regio e della scala ci sono ‘peter grimes’ di britten e ‘lulu’ di berg… se poi la musica ha continuato ad evolversi e non si è fermata a luigi nono tanto di guadagnato (nonostante i brutti pastiche di giovanni allevi)

  8. i tre curatori della Sandretto in giro per l’Italia? vaglieranno 500-500 artisti? ma qui si celia! al massimo la trimurti vaglierà un centinaio di book di gallerie gradite, e via con la mostra!

  9. Caro Luca Rossi,
    io credo che sia invece assolutamente il contrario:
    Seghal e Fisher fanno parte di un circolo socio-culturale chiuso dove il promuoversi tramite lo strumento dell’internet non e’ ammissibile, l’equilibrio fra le figure del sistema si comprometterebbe, le gallerie ed I curatori perderebbero il controllo sugli artisti e gli artisti perderebbero quel tipo di protezione che gli permette di usare linguaggi che possono funzionare solamente nei contesti chiusi di gallerie e musei.
    Il linguaggio che questi artisti adottano,e per il quale sono stati scelti a farne parte, e’ d’altro canto, il linguaggio perfetto per quello che e’ un circolo sociale chiuso: criptico ed insieme banale, perfetto per l’esercizio dello snobismo alla base della costituzione delle elites che controllano il giro dell’arte contemporanea.
    L’autopromozione sul “mercato” delle immagini invece e’ la norma per gli artisti ( sono tutti artisti “figurativi” e che si riconoscono variamente nel termine Pop Surrealism o Low Brow) che invece non si riconoscono in quel sistema e in quei gruppi sociali e che infatti, guarda caso, quel sistema non riconosce loro legittimita’ alcuna.
    E’ ovvio che se un artista che fa installazioni o video cerca di promuoversi nel net rischia di risultare patetico: quel tipo di linguaggio nella rete non funziona e non puo’ funzionare, quei linguaggi sono possibili solo per l’esistenza di un contesto determinato, fuori di quello spazio, il cubo bianco della galleria, sono inesistenti.-
    Cosi’ quel tipo di artista e’ costretto ad elemosinare l’attenzione di curatori e galleristi per riuscitre ad accedere agli spazi che questi controllano oppure, come alcuni oggi fanno, non riuscendo ad ottenere quell’attenzione, lo spazio, lo stanzino il piu’ delle volte, se lo fanno da soli divenendo insieme gallerista ed artista e curatore come situandosi automaticamente in un’area di retroguardia, in un’area dove la simulazione di un sistema diventa il centro piuttosto che la realizzazione delle opere.
    Il fatto quindi che Fisher e Seghal non vogliano e non possano usare lo strumento dell’internet per ampliare il piu’ possibile lo spettro della loro audience e’ l’indice piu’ evidente della loro prossima e, credo ravvicinata, obsolescenza.
    Ripeto: come si fa a considerare avanzata una forma d’arte che si sottrae al confronto con il mezzo di comunicazione che sta rivoluzionando tutte le forme di interazione sociale, l’internet?

  10. Caro Riccardo,
    grazie per la tua risposta al mio commento che mi permette di approfondire un paio di cose:
    si e’ vero che la Lulu di Berg e il Peter Grimes sono in cartellone alla scala e al Regio (alla Scala c’e’
    anche la casa di morti di Janacek per dire la verita’).
    Il fatto e’ che queste opere sono state scritte la prima nel 1935, la seconda nel ’43 e la terza nel ’27.
    La piu’ recente ha 67 anni!
    Vengono rappresentate in teatri in cui fino agli anni 20 del secolo scorso il repertorio era in massima parte costituito da opere scritte in un arco di tempo inferiore ai cinquant’anni.
    Ai tempi di Verdi nessun teatro d’opera si sarebbe mai sognato di rappresentare il “Tamerlano” di Haendel o l’Atenaide di Vivaldi, tanto per fare due esempi.
    Quello che voglio dire e’ che fino all’avvento della seconda scuola di Vienna ( Shoenberg, Berg e Webern) la musica eseguita nei teatri e nelle sale da concerto era in massima parte quella prodotta nello stesso periodo di tempo delle proprie rappresentazioni.
    In piu’, se controlli il cartellone dei due teatri che hai citato, puoi facilmente vedere che La Lulu e la Casa dei morti sono le uniche opere del novecento su 22 titoli alla Scala, e il peter Grimes e’ l’unica su 12 al regio.
    Cosa voglio dire con tutto questo?
    Il linguaggio delle avanguardie musicali del novecento che dettava legge da Shoenberg a Nono e che con l’appoggio di teoretico di Adorno ha causato traumi e incomprensioni gravissime sull’opera di molti compositori ( Sibelius per esempio) e interi generi musicali ( e’ nota l’avversione di Adorno verso il jazz) e che si autoproclamava come la musica del futuro, all’oggi e’ divenuto praticamente ininfluente.

    Io sono felicissimo, come di ci tu, che, grazie a dio, il linguaggio della musica si sia evoluto dopo Nono, e che abbia ritrovato l’uso del linguaggio tonale o modale perlomeno e abbia definitivamente archiviato serialismo e atonalita’, ma qui ti chiedo:

    dobbiamo parlare di linguaggio o piuttosto di linguaggi?

    Il mio punto fondamentale e’ che mentre un certo tipo di linguaggio ( quello delle avanguardie e la sua tradizione) trionfava secondo certe modalita’ di rappresentazione che erano quelle delle sale da concerti, se ne affiancava un altro ( la musica rock per intenderci ) che non aveva nulla a che fare con quelle radici culturali e che si sviluppava in ambiti del tutto diversi ( le incisioni discografiche, le radio e I concerti negli stadi e i bar).

    Quello che volglio dire quindi e’ che ,analogamente, se oggi nei nusei e nelle gallerie troviamo un certo ti po di arte che si riferisce piu’ o meno invariabilmente a radici Duchampiane e ci fa credere che oltre quei confini non ci sia scampo, dovremmo riflettere sul fatto che altri media, diversi dagli spazi dei musei e delle gallerie, si sono affiancati prepotentemente in questi ultimi anni ( internet) ospitando un tipo di arte che di Duchamp, Beuys, Cattelan o Fisher non sa proprio che farsene, non li conosce e quindi non li riconosce come le proprie radici che sono invece nei linguaggi figurativi di quelle che una volta erano chiamate le subculture ( fumetti, illustrazioni cartoons etc).
    Se un’opera di Nono o di Boulez non funziona alla radio, analogamente una installazione di Fisher e’ impossibile da esperire nel web.
    E quindi se la musica concepita per la radio e le incisioni discografiche dei Led Zeppelin ha spazzato via quella concepita da Stockhausen o Kagel per I teatri, forse, analogamente le immagini che viaggiano cosi’ facilmente in Internet di Mark Ryden, Todd Schorr, Shepard Fairey, Swoon etc faranno lo stesso per quelle forme che riconoscono come loro padri fondatori I rappresentanti delle avanguardie storiche ( Duchamp etc) per il fatto che fuori degli spazi delle gallerie e dei musei risultano impossibili da essere percepite.
    Non esiste un linguaggio della musica o dell’arte che si evolvono, esistono diversi linguaggi che coesistono parallelamente e che fanno riferimento a diversi gruppi sociali che nascono e muoiono e che prendono piu’ o meno potere in diversi momenti storici, io credo che forse stiamo assistendo alla fine di un corso storico e alla nascita di un altro che ha le sue radici in un luoghi completamente diversi da quelli consueti.

  11. Caro Nicola

    capisco la tua risposta, ma non si può generalizzare e pensare sempre al complotto. Sehgal a me non dispiace, e vive sulla sottrarsi, consapevole di un sistema che lo sostiene. Forse risulta troppo didattico per certi versi. Fisher invece e’ ancora un artista di fine 900. Ce ne sono tanti, le sue soluzioni non sono male quando azzardano, ma anche lui ha bisogno di un sistema di sostegno se no siimetizza fra mille. E quando c’e’ sostegno, diventa psicologicamente meglio sottrarsi. Ecco, forse non bisognerebbe più sottrarsi e smetterla di perpetuare questo giochetto d’elite. Confrontarsi con Internet va fatto in modo primitivo e archeologico, come base per “riorganizzare” il reale.

  12. L’analisi di Verlato, per quanto sia puntuale ed articolata, non mi trova assolutamente d’accordo. La sua posizione è quella di un rigido determinismo, secondo il quale le produzioni dello spirito umano non fanno che riflettere le possibilità offerte dal medium dominante. Il che significa che un artista, volendo indagare sfere percettive complesse e non afferenti alla sola vista, dovrebbe abdicare in favore delle arti visive strettamente intese solo perché non può far sentire un odore via internet. Per fortuna non è così. E per fortuna non è il successo “di massa” ad elaborare le forme determinanti per una cultura, così come non sono decisive le scelte di elites ristrette. Il discorso è più fluido e complesso e l’esempio della musica è calzante: rock, minimalismo e atonalità sono parenti strettissimi, ciò che cambia è il grado di consapevolezza e il grado di ambizione commerciale (cfr. la carriera dei Beatles o, in piccolo, di un Battisti). In ogni caso sono solo le forme più abiette di commercio culturale ad ignorare completamente ciò che è successo fra avanguardie e neoavanguardie, in tutti i campi. Forse il punto è un altro: la “modestia” dell’artista che oggi non ambisce più all’opera-mondo ma si accontenta del suo low brow deriva dalla frustrazione, dai termini di paragone. Oggi è più facile competere con Michelangelo che con Duchamp o, peggio, con la mitopoiesi del Vaticano (cfr. installazione del cadavere di G.P. II) e Al Qaeda (cfr. performance dell’ 11/09).

  13. a proposito di internet e di stare al passo con i tempi… Verlato, aggiornati un po’ il sito ché non c’è la Biennale 2009…

  14. oddio una vera discussione… andateci piano per favore, non siamo più abituati. Tutti questi contenuti in una volta sola rischiano di darci alla testa.

  15. Oramai sfugge il senso di questo fare, non esistendo più la cultura, l’arte che ne era una rappresentazione, non ha più un suo ruolo, se non oggettuale, per cui prettamente produttivo, se poi questo manufatto è corredato da un supposto riferimento narrativo, possibilmente ricercato, si può quasi pensare che sia arte, questa prassi in questi ultimi anni è diventata esplosiva per ogni situazione, mettendo in evidenza la impalpabilità dell’oggetto e la sua reale “inutilità” sia estetica che “culturale”. Il testo di Singolo mi pare che evidenzi proprio bene come il “mercato” atipico e sfalsato dell’arte si sia compromesso con il mercato globale, svuotandone funzione e valore, a vantaggio di incassi positivi per chi ha saputo gestirli.

    Il ruolo dell’artista mi pare quello che alla fine ne ha pagato il prezzo più caro, sia per la sua afunzionalità, che lo ha reso uguale all’operaio che oggi può essere facilmente sostituibile con uno qualsiasi, sia per il suo mancato riconoscimento di unicità, essendosi reso “popolare” e quindi “riproducibile”.

    Il caso Tino Sehgal mi pare interessante perché se da una parte il suo lavoro è fortemente critico, il suo essere è solo possibile all’interno del sistema stesso, diventando quindi un giano bifronte, utile a fare “opinione”, cartina di tornasole per dare ritorno di senso al luogo stesso, senza però realmente incidere sul cambiamento.

  16. Abbiamo una schiera di giovani artisti sorpresi dalla loro inattualità; sono tanti e abbandonati a bussare ad un grande castello chiuso. Non si possono salvare se non escono da una certa professionalizzazione che fa riferimento ad un sistema ristretto e anacronistico. Apprezzo Sehgal e credo che lui “giochi” consapevolmente. Gli critico solo una certa didatticità eccessiva che necessita del manto protettivo dell’istituzione. In lui mi sembra geniale l’innesco di una certa tramadnazione orale (primitiva quindi) dell’opera. Anche le foto rubate diventano un racconto parziale e vivo. Quando esci dalle sue mostre hai l’oggetto-opera dentro alla testa, ne puoi sentire gli angoli e gli spigoli.

    Il problema è forse un sistema di operatori “silenti” che si dividono tra coloro che sono in malafede, coloro che hanno paura, coloro che sono opportunisti, coloro che sono precari e coloro che non stanno capendo niente. Spesso si arroccano intorno al motto “il cretino è pieno di idee” per giustificare un confronto o l’ennesimo silenzio. Mi viene in mente la scuola “de carliana” che ha formato la prima generazione garutti e poi la generazione di zani-zero. Spesso un certo atteggiamente silente ed impalpabile nasconde solo un certo vuoto. Il relativismo e il senso di smarrimento del nostro tempo spiazza queste persone e le spinge a segliere il mistero, il segreto, il silenzio. Persone molto “intelligenti” hanno contribuito al 1900 secolo di luci e (molte) ombre. Forse bisognerebbe far scendere in campo i “cretini”.Il termine «cretino» è di derivazione etimologica da «cristiano» secondo la quale, in origine, il riferimento era rivolto ad alcuni individui del Vallese nel XVIII sec. considerati persone semplici e innocenti malati di «cretinismo»; Ecco, forse bisognerebbe recuperare una certa sincerità, rimettere al centro una certa “umanità”. Questo arricchirebbe il sistema italiano e non solo; permetterebbe maggiore qualità e professionalità.

  17. Caro Luca,

    io sono assolutamente d’accordo con te su una forte esigenza di “cretinismo” nel sistema dell’arte:
    fa parte delle cose del mondo che quando un ciclo storico si e’ esaurito il nuovo non possa che provenire da chi, con quel ciclo, non ha avuto niente a che fare, da colui il quale , in fin dei conti, e’ “ignorante” ( o si pone nella condizione di ignorare scientemente) delle parole d’ordine che hanno sostenuto il ciclo storico in conclusione.

    Quando parlo di artisti,e di un movimento di artisti, che non sanno che farsene di Cattelan, Fisher, Beuys,(fino a alla radice di tutto cio’ che e’ Duchamp) parlo proprio di questo.

    E quando parlo del paragone con cio’ che e’ gia’ avvenuto in campo musicale parlo di un processo analogo che credo possa essere utile porre a paragone con il caso in questione.

    Se l’ignorare c’e’, pero’, questo deve essere visibile,e molto chiaramente, e non puo’ trattarsi di un rimestare la stessa zuppa cercando di tirarne fuori qualcosa d’altro, da li’ il nuovo non proviene e non puo’ provenire, mettiamocelo bene in testa.

    Seghal e’ assolutamente parte del sistema di cui lamentiamo l’inerzia, ne e’ una espressione tipica e importante, e tipicamente la sua attivita’non puo’ smuovere di un millimetro la situazione, ammesso che sia nei suoi interessi di volerlo fare.

    In risposta al mio commento parli di teoria del complotto quando indico il fatto che l’opera di Seghal e’ funzionale a certi atteggiamenti culturali di chi gestisce le istituzioni museali in cui la sua opera viene esibita.

    Io credo invece che non ci sia complotto alcuno, e che invece sia legittimo e naturale che gruppi di persone che mettono in piedi musei e gallerie vogliano vedere riflesse le proprie idee e visioni del mondo nelle opere che in quei musei vengono esposte, come, d’altronde, e’ sempre avvenuto.

    Perche’ secondo te il Guggenheim Museum si chiama “The Museum of Non- Objective Painting”?
    Non credi che una denominazione di questo genere non tradisca perlomeno una qualche intenzionalita’ alla radice della costituzione di un museo siffatto?

    In una introduzione al catalogo della mostra intinerante della scuola di Lipsia , promossa dalla Rubell Family, in alcuni musei Americani avvenuta qualche anno orsono, alcuni dei direttori dei musei stessi lamentavano un certo imbarazzo iniziale a dover esporre quel genere di lavori ( si tarttava di quadri, per essere chiari) per il fatto che I loro musei non erano stati concepiti per esporre quel genere di cose.
    .

    Si potrebbe andare avanti all’infinito , ma quello che voglio dire e’ che considero tutto questo assolutamente legittimo: non vedo nessun complotto in svolgimento , ritengo invece che faccia parte dell’ordine delle cose che un ciclo storico abbia certe caratteristiche piuttosto che altre.

    Considero patetico infatti ritenere che il sistema dell’arte sia un luogo neutro dove lo “spirito del tempo” trova la sua rappresentazione piu’ cristallina, credo che si tratti invece ,e come sempre, del prodotto del lavoro di alcuni gruppi di persone le quali hanno precisi interessi, sensibilita’ e inclinazioni culturali e che si riuniscono fra loro per vedere queste caratteristiche espresse in un media ancora molto importante che e’ quello delle arti “visive”.

    Molti artisti , a cui sono stato associato in molte mostre museali e non , che nelle caratteristiche socio culturali di quel sistema non si sono mai riconosciuti , hanno deciso da molto tempo di “ignorarne” le parole d’ordine e di costituirne un altro, su basi completamente diverse.

    Come si chiama infatti la rivista organo base di questo movimento se non Juxtapoz,e ,se le parole hanno un senso, a cosa, di grazia, questa rivista si contrappone se non ad una radice culturale differente in cui , molti, non riescono a riconoscersi?

    Oggi, dopo quasi 40 anni dalle prime manifestazioni di queste idee nell’opera di Robert Williams ( invitato quest’anno da Bonami alla sua Whitney Biennale) , capita che, per determinate ragioni,questo tipo di movimento ( Pop surrealism, Low brow) si trovi perfettamente a suo agio con alcune importanti innovazioni nel campo della comunicazione ( internet) e riesca a produrre un seguito ed un impatto culturale molto ampio proprio per questo motivo, ecco allora che la contrapposizione, “ignorante” e “cretina” puo’ divenire il centro di un movimento socio-culturale che puo’ determinare lo scioglimento dell’impasse in cui le arti visive si trovano a inizio millennio.

    Non c’e’ nessun complotto ripeto, ci sono gruppi di persone che si riconoscono in certe cose e altre no, una volta chiarita in se stessi qual’e’ la propria posizione ( se se ne possiede una) si prende la strada che si ritiene la propria, ce ne sono molte, basta porsi nelle condizioni di poterle vedere.

    Giustamente Doattime pone al centro del problema la smaterializzazione dell’opera.
    E vede in Tino Seghal uno dei rappresentanti tipici di questo processo.

    Qui c’e’ un interessante articolo di Martha Schewndener sul Village Voice.

    http://www.villagevoice.com/2010-02-09/art/tino-sehgal-and-gelitin-offer-up-children-penises-and-whiskey/

    divertente e polemico e soprattutto indicatore del fatto che un certo disagio e fastidio verso certe pratiche sta prendendo piede diffusamente.

  18. Nicola,
    interessante l’articolo sul village. Io sono per la fusione di sehgal e gelitin. Quindi senza tanti doveri reverenziali verso l’oggetto, ma senza nemmeno il suo disprezzo.

    Ho sempre pensato che i tuoi quadri equivalgano a mangiare un hamburger “pittorico”.

    Ingenuamente non vedo divisioni fra gruppi. Credo che tutti si possa dialogare. Quello che fa sorridere e’ come possano essere molto snob alcuni operatori italiani schiacciati da una facile esterofilia. Ma si tratta di fenomeni evidentemente marginali.

    Poi spesso e’ giusto ignorare alcuni fenomeni che si pongono outsider mentre sono solo grossolani e anacronistici. Allora ben venga Sehgal..

  19. Beh…devo dire che questa e’ una definizione del mio lavoro che non mi spiace affatto…

    Il problema dell’esterofilia e del non sapere riconoscere, ingenuamente (come tu stesso mi dici di ritenere di fare), i contrasti culturali e gli avvicendamenti fra gruppi di controllo nel panorama tutt’altro che omogeno della produzione delle arti ( senza quindi limitarsi al sistema legittimante di musei e gallerie ) penso siano originati da una condizione tipicamente Italiana e credo, piu’ generalmente, Europea.

    Forse questo e’ il problema centrale in questo discorso: la percezione del rapporto fra la storia e le singole individualita’.

    Le Nazioni europee, d’altro canto, sono entita’ politiche e territoriali culturalmente consolidate da lungo tempo, in alcuni casi religioni e gruppi culturali dominano incontrastati sul nostro continente senza soluzione di continuita’ da molti secoli.

    Il caso Italiano e’ forse il piu’ tipico, l’essere il centro geografico per 2000 anni di un’unica religione( il cattolicesimo) e’ un fatto quasi unico al mondo .

    L’omogeneita’ culturale come dato fondante delle nazioni, che e’ un costrutto che in realta’ si e’ formato storicamente attraverso secoli di aspre lotte, e’ la lente attraverso cui noi italiani vediamo noi stessi ed e’ anche il punto di vista che proiettiamo sul resto del mondo.

    Ecco perche non riusciamo e non volgliamo concepire lo svolgersi dei fenomeni come una pluralita’ di forze fortemente caratterizzate culturalmente in collusione fra loro.

    La tipica attitudine italiana e’ quella di accettare lo status quo oppure di negarlo in toto sostituendolo con un simulacro di qualcos’altro che pero’ risulta essere la proiezione su di un fenomeno di strutture che non gli appartengono.

    Il sistema dell’arte contemporanea in Italia mi sembra sia il prodotto tipico di questo slittamento percettivo.

    Essa e’ il frutto evidente di una negazione culturale: il rifiuto di riconoscersi nella propria lunga ed ingombrante “tradizione” nelle arti visive.

    E’ il risultato della necessita’, da parte di chi la produce e interpreta, di costituirsi come “differenza”, eleggendo a riferimento culturale un “altro”, un “estero” sul quale pero’vengono proiettate le stesse caratteristiche strutturali di cio’ di cui ci si vuole liberare: unita’ culturale, omogeneita’ e pacificazione dei contrasti.

    Vivendo negli Stati Uniti, da circa sei anni , ho potuto vedere molte delle mie idee su questo paese confermate nei fatti : le diverse identita’ in contrasto fra loro generano la vitalita’ del paesaggio socio-antropologico e quindi anche culturale americano.

    La storia non puo’ essere una, le storie sono molte e diverse e si svolgono parallelamente, e nella maggior parte dei casi sono unite fra loro piu’ dai contrasti reciproci che non da punti in comune (che pur esistono e sono molto importanti).

    Questa situazione genera una fatto fondamentale: la legittimita’ di tutte le posizioni in campo
    e il fatto che in determinati momenti alcune di queste possano acquisire il controllo di certe situazioni, come anche poi di perderlo a favore di altre.

    La posizione Europea ( eccettuata la Gran Bretagna) e’ quella invece di aver situato, forse per chiudere un lunghissimo periodo di contrasti e lotte intestine, il principio generatore dei sommovimenti storici in luoghi esterni al volere dei singoli e dei gruppi: la storiografia dell’arte moderna ( un prodotto tipicamente europeo, in America il movimento moderno prende piede con Duchamp) e’ il tipico risultato di questa sensibilita’.

    Per anni e anni siamo stati oppressi dall’idea che l’arte dovesse rispondere ad un destino storico prefissato che si sviluppava secondo un modello preso in prestito dall’evoluzionismo Darwiniano e che era corroborato ideologicamente da strutture filosofiche di matrice Hegeliana.

    E’ per questo motivo che I curatori, che tu di essere i piu’ promettenti, camminano sulle uova: hanno paura di disturbare la storia, di non essere adeguati con le loro azioni al suo corso, o forse di non saperne interpretare correttamente lo spirito.

    Qui le cose hanno un aspetto molto diverso: ogni individuo per il fatto di esistere e’ legittimato ad impegnarsi a produrre il cambiamento,e, se riesce a raccogliere abbastanza consensi intorno alle proprie idee, puo’ produrre una massa critica adeguata ed aver impatto sulle cose.

    Per questo la situazione Americana, nonostante I mille problemi.e sicuramente anche grazie a questi, ci appare fornita di una vitalita’ infinitamente maggiore alla nostra anche in una di sistuazione di estrema crisi come quella che sta attraversando.

    L’arte contemporanea italiana non riesce a decollare perche’ e’ l’espressione di una “non identita’” che crede di vedere in un “estero” generico un principio motore equanime, neutralmente posizionato e rassicurante : alternativo ma simmetrico a quello a cui si e’ conformati , che gode pero’ della stessa autorita’ di quello di cui ci si vuole liberare.

    In realta’ il modello a cui ci si vorrebbe uniformare e’ basato su di un assunto realmente destabilizzante :
    non ci sono regole, non ci sono modelli prefissati, e’ costituito di differenze e la necessita’ di trovare un dialogo fra visioni divergenti o distanti produce la ricchezza e la vitalita’ del sistema che sfugge completamente agli imitatori italiani I quali risultano tristemente snob perche’ inseguono I fantasmi della loro stessa obsolescenza proiettandoli su fenomeni di cui non vogliono vedere la matrice.

    Ecco perche’ la mia evidente accettazione della nostra lunga tradizione ( credo sia piu’ che palese nel mio lavoro) , poi risulta quanto di piu’ Americano ci possa essere: un “hamburger pittorico” come dici tu.

    E’ una delle tante identita’ in gioco in un paese dove molto e’ ancora possibile.

  20. Quando qualcuno argomenta, arriva sempre quello
    che tronca il discorso in questo modo.
    Se ti annoi, caro tipo spiccio, puoi sempre
    andare al cinema a vederti un bel film di Vanzina.

  21. hai ragione pittore!
    mi sparo un bel vanzina al cinema (vale anche dvd?); poi per restare in tema passo in galleria e me faccio un bel quadrozzo del verlato nazionale: sai che figurone avercelo appeso nel loft!

  22. Le opere di Verlato (quanto si sentirà bravo!) a quanto ho visto alla recente Biennale e in giro, sono solo sterili illustrazioni che vanno bene per le copertine dei dischi. Possibilmente per i 33 giri. Tutta quella svenevole tirata a lucido dell’immagine, di un mimetismo retorico e ipercalcolato, mi rende troppo triste. Chiudo.

  23. “Essa e’ il frutto evidente di una negazione culturale: il rifiuto di riconoscersi nella propria lunga ed ingombrante “tradizione” nelle arti visive.

    E’ il risultato della necessita’, da parte di chi la produce e interpreta, di costituirsi come “differenza”, eleggendo a riferimento culturale un “altro”, un “estero” sul quale pero’vengono proiettate le stesse caratteristiche strutturali di cio’ di cui ci si vuole liberare: unita’ culturale, omogeneita’ e pacificazione dei contrasti.”

    Sono d’accordo con Verlato.

    Il NON riconoscerci nella nostra storia e lo sbeffeggiamento continuo di chi non si adeguava ad un arte snob e concettualoide, ha prodotto un danno e una perdita assoluta di identità a favore di uno scimmiottamento di prodotti che non ci appartengono.
    Essere un proseguo della nostra storia artistica, non vuol dire negazione del mondo o delle novità, vuol dire semplicemente essere coscienti e orgogliosi di chi siamo.

    Per gli americani e in particolare per New York, è più facile l’apertura e l’accoglienza, perchè vengono da una storia molto più breve ma questa caratteristica dovrebbe essere volta a nostro favore e non considerata un ingombro.

    Questa crisi ci metterà veramente in grado di capire se siamo ancora capaci di fare o se ormai, siamo solo spettatori.
    L’occasione buona è adesso!

  24. Qui però siamo fuori tema.
    Il “dibattito” non era su come dipinge Verlato
    ma su cosa pensa del mercato dell’arte.

  25. Mi riconosco pienamente con Margaretha su Verlato…. quanto rassicura tornare alla figurazione!!! per me che detesto il dolce questo tipo di pittura mi fa pensare a una meringa di glassa e melassa venuta male….è al limite della sopportazione… stucchevole

  26. Belletti ma che senso ha per l’arte parlare di tradizioni, di confini nazionali, di costrizioni nei riferimenti culturali. L’arte è un linguaggio che travalica tutte queste barriere spazio temporali è un magma fluido, come un frullatore dove si inseriscono gli ingredienti più disparati e si ottiene una miscela nuova inesplorata. Basta con le pippe sulla nostra storia..se devo sciegliere di fare un bel bagno ristoratore che dite mi tuffo in mare o in una vasca da bagno?

  27. Per un secolo abbiamo subito il dominio della demenza artistica americana che aveva lo scopo di annientare la precedente arte europea (per un secolo gli artisti hanno dovuto sembrare dementi fuori e furbetti dentro). Ora l’economia americana sta perdendo la sua supremazia e di conseguenza il botto finanziario manda in frantume l’arbitrarietà duchampiana secolare (qualsiasi cretinata è arte, se lo dicono loro…). Siamo ad un momento storico/artistico cruciale, la palla è al centro ma il campetto è stato spostato ad estremo oriente. Il tentativo di dialogo di Verlato è coraggioso ma inutile. Sta parlando con un branco di aspiranti al denaro pubblico nostrano o mal che vada agli ultimi spiccioli delle fondazioni. Il libero mercato è per loro un incubo, una bestemmia, aspirano tutta al più a fare i bamboccioni di stato.

  28. si può essere o no d’accordo con Verlato, ma questi attacchi alla sua pittura, e in questi termini, avviliscono il dibattito

  29. Forse hai ragione Eric,l’entrata in gioco negli ultimi anni della cultura estremo orientale ha contribuito non poco a destabilizzare il castello di carte autoreferenziale della visione Duchampiana ( ma non di Duchamp stesso) dell’arte.
    Ho molti contatti in giappone dove ho potuto constatatare che l’arte contemporanea, come viene intesa in occidente , e’ assolutamente minoritaria, quasi inesistente, nonostante alcuni musei e alcuni artisti, che senza il mercato americano non potrebbero sopravvivere.
    La cultura visiva di riferimento anche li e’ Juxtapoz e il Pop Surrealism che si sposa perfettamente con Manga e Anime che sono il pane quotidiano visivo di tutti, a qualsiasi generazione essi appartengano.
    L’idea evoluzionista della storiografia artistica che opprime l’Europa e le istituzioni Americane non e’ mai approdata da quelle parti, e non credo nemmeno in Cina.
    Credo ancora, pero’ che il territorio dove le diversita’ culturali vengono a confronto in modo piu’ fecondo sia ancora l’ America, piu’ Los Angeles, vero e proprio snodo fra estremo oriente e occidente , che New York.
    Vedremo.

  30. beh intanto un bell’articolo, per cui intanto grazie ad Alfredo Singolo per questa sua istantanea sul panorama artistico.

    Poi una volta tanto anche la discussione che ne segue è una “discussione” e non chiacchiere da bar e di questo mi sembra sia doveroso ringraziare chi ha dato risposte pertinenti e competenti, che per una volta son più delle provocazioni gratuite e di cattivo gusto, anche se di tanto in tanto qualche commento lascia spazio a cadute di stile.

    Quando Luca Rossi sottolinea che l’arte contemporanea oggi sembra fare il verso a se stessa, credo che nella frase, il “sembra” sia del tutto gratuito, l’Arte contemporanea fa (purtroppo)solo il verso a se stessa.

    Condivido con Verlato che il “nuovo” sta nel cambiamento del rapporto degli utenti con le immagini e senza la comprensione di questo trovo risulti totalmente inutile auto-celebrarsi.
    Non sarà il pubblico a determinare l’ascesa o meno di una determinata cultura, ma lasciarlo fare solamente ai soldi, auto-celebrando la vittoria di determinate cose rispetto ad altre, diventa ancora meno veritiero ed ancora più screditante.

    Un paradosso dal quale tuttavia non vedo uscita.

  31. eh no, caro Serafini, non ci siamo. Credo che esista un modo per confrontarsi nel libero mercato SENZA prostrarsi ma anzi tentando rinnovamenti linguistici e formali. Per me tutto il discorso di Verlato e di chi rinnega l’eredità modernista è semplicemente una mistificazione che traduce una sola posizione: “non ho la forza né le idee per incidere sulla storia dell’arte e allora mi accontento di decorare i loft”. L’altra strada, speculare ed opposta, consiste nel far leva sui complessi d’inferiorità intellettuali e si concretizza in concettualismi autoreferenziali e aria variamente fritta. Pochi trovano la sintesi, che coincide con un certo grado di autenticità e onestà professionale

  32. AP non è che si vuole attaccare personalmente nessuno però commentare liberamente sì, nei blog lo si fa è la loro ricchezza….non so a me tutti questi grandi discorsi sulla pittura italiana mi fanno sbadigliare anche perchè allora forse si dovrebbe discutere della crisi di un “genere” quello pittorico…..che senso ha per esempio parlare di pittura iperrealista se esiste una fotografia internazionale grandiosa mille volte più potente?

  33. Ok, ma non confondiamo l’arte con una sorta di artigianato per arredamenti da interni. In questo l’europa è senatore, gli USA seguono, ma oriente e medio oriente stanno capendo poco o niente. Murakami c’è stato, indiani ok..ma i prossimi arabi che faranno il verso all’occidente possono anche buttarsi tranquillamente nell’arredamento da interni. Bisogna intendersi su cosa possa definirsi “arte” da oggi in poi. Questo è il punto. E l’ingenuità di questa riflessione provoca a molti una vertigine terrificante. Ma questo è un bene.

  34. Eccoli che si scaldano e cominciano tutti con gli attacchi sul concetto di arte, sul senso che sia più o meno d’arredamento, che assomigli all’artigianato, che quelli o quegli altri non capiscono niente….. alla faccia della libertà d’espressione e delle libere scelte.
    I condizionamenti in italia, su che tipo di arte fare, guardare,capire sono reali, sono radicati,partono dalle scuole, le accaremie che non ti aiutano a fare delle scelte, ma ti impongono l’arte che devi fare.
    Questo è stato un grave danno per l’arte italiana che ha perso tutto per adattarsi ai dettami delle lobby dell’arte.

  35. hai proprio ragione Luca Rossi,
    bisogna proprio capire cosa e’ arte e cosa non lo e’.
    Il discrimine c’e’ e va individuato, secondo me, quando in un preciso momento dell’inizio del novecento quella che poi si definira’ arte contemporanea usa una definizione di se stessa che chiarisce tutto il discorso.
    come dice Senaldi in “Enjoy” :
    “Anche Duchamp diceva di essere un “non-artista”, e piu’ avanti
    “Infine, negli anni Sessanta e Settanta, un po tutti chiamavano non-arte le pratiche e le forme di azione “contro-artistica”, al punto che Kaprow arriva a definire il passo successivo come un un-art( an-arte) che sperava avrebbe definitivamente affrancato gli uomini dallo spettro dell’Arte con la A maiuscola.”
    Allora caro Rossi, cos’e’ l’arte e cosa e’ la non arte, o cosa non e’ l’arte?
    il problema e’ spinoso,lo ammetto, o forse molto semplice:
    a dire verita’ credo che l’arte, che tu definisci da Ikea, prenda l’avvio proprio dal momento in cui si esce dall’Arte e si entra nella non-arte.

  36. Anche Michelangelo e Raffaello decoravano loft, il problema è di chi vede l’arte come l’espressione per il godimento e la comprensione esclusiva di una elite (highbrow). Il mondo non è composto di un branco di analfabeti da educare all’ermetismo artistico guidati da santoni da quattro soldi. È ora di girare pagina, un secolo di demenza artistica ripetuta fino alla nausea ha stancato anche i più fedeli addetti del credo modernista. Gli attacchi alla pittura figurativa hanno vaccinato da tempo gli artisti contemporanei come Nicola, Currin, Ryden e tanti altri. Il sistema dell’arte internazionale vuole fare a meno della moltitudine di forme artistiche contemporanee non duchampiane? non è un problema, queste faranno a meno del sistema artistico dominante (ancora per poco). In due anni il mondo artistico è crollato e non sarà più lo stesso, molti non se ne sono ancora accorti. Vedremo chi si rialzerà per primo.

  37. Il mercato come sempre è già chiaro, ogni prodotto per ogni consumatore… qualunque esso sia e qualunque gusto esso abbia…

    Queste diserzioni sono la fase finale di una meteora nata in toscana 700 anni fa e che ora torna da essere qualcosa che era già prima che si chiamasse Arte…

    Oggetti belli, affascinanti, elaborati o ironici, che con l’arte non hanno più nulla in quanto l’arte non è più funzionale al sistema per cui era nata, la religioni e il potere, fascinazione di sensi e di rappresentazioni, oggi questi ruoli sono già pienamente presi dalla tv, da internet ect… via che sia un cerchio che si chiude?

  38. Il concetto e’ piuttosto semplice:
    l’arte come “non-arte” e’ una pratica di un ristretto gruppo di persone ( le avant-guardie, quelli che sono avanti agli altri nella battaglia) che si sono opposte a qualcosa d’altro, appunto l’arte con la A maiuscola.
    La “non-arte” e’ cosi’, evidentemente, il frutto di una negazione, una “non-cosa”.
    Qaundo questa “non-cosa” ha finalmente sconfitto il “mainstream” si e’ installata in ogni recesso del sistema dell’arte ( musei, fondazioni, gallerie etc.) perdendo cosi’ ogni caratteristica eversiva, di opposizione a cio’ contro cui si opponeva.
    Questo e’ accaduto principalmente negli ultimi 15 anni quando l’arte contemporanea e’ esplosa nella fattispecie della “non-arte” ad un livello mai accaduto prima.
    A questo punto non si tratta piu’ di dover soddisfare l’interesse di pochi aderenti al club ( gli avant guardisti), ma migliaia di persone che frequentano musei e gallerie, quelli che saranno sempre “dietro”, in questo schema di cose.
    La “non-arte” a questo punto deve diventare piacevole, non c’e’ nulla piu’ a cui opporsi, ha perso il suo carattere militante, e deve accontentare I gusti di chi paga il biglietto al MOMA ( ed ecco che arriva anche Tim Burton) a questo punto scatta l’effetto Ikea:
    tutto e’ sicuramente ben fatto, ma e’ il tirare a lucido il vuoto, lo “smalto sul nulla” come diceva Goddfried Benn.
    A me sembra che tu, Luca Rossi, sia un interessante sintomo di questa situazione: lamenti costantemente la tua indsoddisfazione verso l’artigianato vuoto che oramai ha invaso tutto il possibile e sembri nostalgico di qualcosa che in queste condizioni non puo’ tornare.
    Il problema e’ che non trovi una via di uscita, parli di dialogo fra diverse mentalita’ ma non ti rendi conto che questo non puo’ avvenire perche’ alla base della “non arte” c’e’ un “non”, una negazione delle altrui posizioni, non si tratta di snobismo (quello e’ l’aspetto apparente) ma di un dato strutturale e legittimo ma non necessariamente condivisibile soprattutto per chi e’ lavora su altri fronti.
    La mia impressione e che alla fine non farai altro che lamentarti e denunciare le evidenti, e d ormai ridicole, contraddizioni della situazione e in questo modo troverai il tuo ruolo in un sistema che necessita anche di te.
    Ma cosi’ non si cambia una virgola e ti assicuro che sarai sempre piu’ circondato di arredamenti svedesi a basso prezzo.

  39. Pairone dice:
    “Per me tutto il discorso di Verlato e di chi rinnega l’eredità modernista è semplicemente una mistificazione che traduce una sola posizione: “non ho la forza né le idee per incidere sulla storia dell’arte e allora mi accontento di decorare i loft”.”

    Eric:
    Caro Pairone non è così, è il modernismo una mistificazione letteraria applicata all’arte visiva che si traduce in una sola posizione: “ non so dipingere o non ho talento allora pago letterati per crearmi una aureola artistica.”

    P:
    Credo che esista un modo per confrontarsi nel libero mercato SENZA prostrarsi ma anzi tentando rinnovamenti linguistici e formali.

    E:
    Non c’è nessun bisogno di cercare con ansia nuovi linguaggi, questi si evolvono benissimo naturalmente per conto loro, il nuovo a tutti i costi ha portato all’arbitrarietà e al paradosso.
    Non ci si prostra al mercato, lo si domina, al limite qualche artista con poca spina dorsale si prostra davanti ai critici o ai curatori (poveri loro).

  40. siamo la coppia più bella del mondo… serafini e verlato tutta forma niente sostanza… e poi basta co ste seghe mentali!
    tornate ai vostri amati cavalletti e continuate a dipingere copiando pedissequamente fotografie! in quello, bisogna riconoscerlo, siete entrambi insigni maestri!

  41. “tornate ai vostri amati cavalletti e continuate a dipingere copiando pedissequamente fotografie!”

    Caro Lobello, non dare giudizi di primo grado e cerca di portarti ad un secondo livello di ragionamento. La “copia pedissequa di fotografie” sfonda le basi del neo accademismo modernista che vorrebbe tutto nuovo, tutto originale e tutto pieno di contenuti (certificato dal sacerdote di turno). Io non mi riconosco in nessuno di questi criteri e non accetto i giudizi di quel mondo marcio e corrotto. Dunque copierò pedissequamente fotografie fino a fare marcire il fegato di quella gente. Capito Bello mio?

  42. Verlato e Serafini trasudate anacronismo da tutti i pori!!!!! non so vogliamo far finta che non sia esistito nessun tipo di evoluzione nel pensiero artistico? cancelliamo tutto? cos’è un ritorno al grado zero a un ordine espressivo del nulla? alla bella forma vuota in un mondo allo sfascio?? ci dovrebbe appagare tutto questo!!! Sono d’accordo sul fatto che ci si debba interrogare su cosa sia arte di un certo livello oppure no,è lecito, ma i vostri discorsi sono veramente assurdi ed io ritengo molto pericolosi propugnano una sorta di fascismo culturale e qui chiudo

  43. Vorrei solo sapere perchè se a copiare le fotografie è gerhard richter… è un genio, se è Serafini è un pirla.
    Non credo sia solo una questione di tempi ma nel nostro modo e pregiudizio nel vedere le cose.
    Sposterei la discussione sulla qualità più che sui linguaggi e sulle tecniche.
    Posso esaltarmi o commuovermi per un video come per un dipinto, se hanno qualità resisterano al tempo, alle mode, alle assurde guerre di pensiero come quella che in italia divideva la pittura astratta da quella figurativa.
    In Italia siamo sempre ai tempi di Guelfi e Ghibellini come nella politica e nel calcio.
    Intanto gli altri fanno il mercato e le nostre migliori gallerie sono al massimo filiali italiane di quelle estere.
    Va be’…continuiamo così, facciamoci del male!

  44. Caro anonimo e coraggioso mb2, il “cronismo” modernista è nato con le avanguardie. In un secolo dalla nascita della nuova era artistica degli “ismi” si sono succeduti più di 200 movimenti artistici, tutti contro i movimenti precedenti e quelli successivi. A cosa ha portato? Al nulla! 100 anni di distruzione senza essere stati in grado di costruire nulla. Il “cronismo”, la verticalità e l’ansia del nuovo ha portato alla demenza generalizzata in cui è sprofondata l’arte.
    L’arte ha bisogno di orizzontalità, di diversità, di libera contaminazione, di tempo, di confronto pacato e non di ostilità “cronistica” del tipo: “sei vecchio, il nuovo sono io!”.

  45. Caro Verlato,
    ho sempre ricordato le tue stucchevoli velleita´intellettuali. Ma la verita´piu´vera, come direbbe qualcuno, la dicono i tuoí quadri, la tua pessima pittura, il tuo conservatorismo Berlusconiano, inzuppato di pressappochismo Beatriciano.
    Attaccate un sistema di cui vorreste ma non fate parte, cercate di condire di discorsi oopere che da sole non starebbero in piedi. Ma ti sei mai chiesto come mai non c´e´ un interesse reale internazionale per il tuo lavoro, come mai la tua professione non riesce a farti sentire rilassato?
    Siete piccole realta´che hanno trovato in questo centro destra, vergogna mondiale, un minimo santo protettore.
    Sgarbi e´un po´un vostro idolo, ma fate fatica a dirlo in pubblico. Io vivo all´estero e mi sono vergognato del padiglione italia, e mi sono anche stancato di dover dare spiegazioni dell´anomalia italia, ormai anche artistica, da voi (Galliano, Guida, Dany Vescovi, Leonida De Filippi, Davide Nido e per concludere, Mimmo Di Marzio) alimentata.
    Mi viene tristezza, tanta tristezza.

  46. Caro Salani,
    sono politicamente daccordo con te ma non vedo questo rapporto così diretto politica-produzione artistica.
    La destra si comporta in maniera goffa e scomposta in un sistema in cui le regole venivano dettate in maniera più elegante e nascosta dalla sinistra.
    Se poi Verlato, come riconosci, è completamente fuori dal giro che conta e quindi un “perdente” perchè tanta aggressività e rabbia nei suoi confronti.
    Solo perchè si permette di parlare e dire la sua?
    Oltre a scomparire dalla scena atistica dovrebbe anche stare zitto per sempre?
    In Biennale lo hanno invitato non è che sia entrato clandestinamente.
    Anche a me il padiglione non è piaciuto ma non sparerei su ogni singolo artista solo perchè chiamato da Beatrice.

  47. voglio dissociarmi da due aspetti che sono emersi da questa discussione:

    1) gli attacchi a Serafini e Verlato condotti con modalità pressapochiste e canzonatorie. Non è questo il modo

    2)una concezione evoluzionista e darwinista dell’arte. La storia vive di scarti e differenze, di slittamenti e incroci. Quindi è assurdo provare la qualità estetica con il semplice grado di innovazione. D’altra parte la ricerca del “nuovo a tutti i costi” non è certo una caratteristica esclusiva del ‘900. La dialettica fra tradizione ed innovazione è sempre esistita. Ma i risvolti negativi della cristallizzazione ideologica dell’uno o dell’altro aspetto sono perlopiù evidenti e sotto gli occhi di tutti. Quindi sì, la linea-Duchamp ha legittimato alcuni percorsi artistici che forse avrebbero meritato meno. Ma vale anche l’inverso: la restaurazione e il ritorno all’ordine hanno legittimato chi non aveva nulla (ma proprio nulla) da dire ma che magari possedeva qualche competenza tecnica superiore alla media. E’ però sufficiente questo? Direi proprio di no. Ma in fondo la domanda è smplice: credete davvero di poter definire “senza talento” gente come Duchamp, Klee, Rothko, Warhol, Beuys, Abramovic, Boetti ecc? E’ davvero stato così sterile il ‘900? Oppure fa comodo parlare di azzeramento, “ismi” e nichilismo perché gettare fango sulle avanguardie è funzionale ad un progetto reazionario e mercantilistico che, vostro malgrado, ha bisogno di un minimo di teoria per sostenersi? Se foste davvero convinti dell’autosufficienza dell’arte rispetto alla teoria non sareste qui a tentare di convincere chi non la pensa come voi. Provate semplicemente ad aumentare la complessità semantica dei vostri lavori, vedrete che nessuno verrà a tacciarvi di anacronismo o mercantilismo.

    Il nuovo a tutti i costi

  48. dal nuovo Zingarelli:

    PEDISSEQUO: da “pedisequum”, voce dotta latina “servo che accompagna a piedi il padrone”; che, chi si adegua passivamente e senza alcun contributo personale od originale alle idee, ai metodi, allo stile di qualcuno…

    caro serafini; non è il caso di spaccarsi la testa in ragionamenti troppo complicati e “plurilivello”; parliamo invece di cio’ che vediamo; la neoaccademia mi sembra che la fate tu e verlato, per esempio; vi rassicura solo il fatto di saper dipingere tecnicamente bene; oltre non andate. è patetico usare la stampella dissertando e annaspando come fai tu, pieno di astio e rancore. perchè son convinto che saliresti tra i primi sul carro di coloro che oggi tanto denigri, se solo ricevessi da questi un minimo accenno d’interesse.
    sei sinceramente convinto di quel che fai; perciò continua pure per la tua strada ma stai attento tu, a non rovinarti il fegato.
    l’arte non è ciò che è, ma ciò che suscita.

  49. Io spero solo che nessuno prenda in considerazione le vostre imbarazzanti elucubrazioni su cosa è o cosa non è arte, perché per avere un minimo di voce in capitolo in questo senso bisognerebbe aver letto una quantità industriale di libri di estetica che vanno quantomeno da Baumgarten a Danto

  50. “Se foste davvero convinti dell’autosufficienza dell’arte rispetto alla teoria non sareste qui a tentare di convincere chi non la pensa come voi. Provate semplicemente ad aumentare la complessità semantica dei vostri lavori, vedrete che nessuno verrà a tacciarvi di anacronismo o mercantilismo.”

    Secondo me, non sono quì per convincere nessuno, anche perchè se da questa crisi, c’è un arte che uscirà vincitrice è proprio la loro.
    Per anni si è cercato di tenergli bassa la testa e si è fatto di tutto per metterla ai margini.
    Sono stati chiamati in campo da tutti gli ambienti culturali per legittimare solo l’arte concettuale e modenista, ma nonostante tutto, siamo ancora a chiederci cosa sia l’arte, perchè alla fine qualche dubbio è venuto anche ai più tenaci!
    L’arte è stata svuotata di ogni valore, è rimasto il nulla………. via la tecnica, via la bellezza, via la figura, via la pittura.
    Avanti l’indottrinamento.
    Infatti, il consiglio è, aumentare la complessità semantica!

    Quand’è che capiremo che l’arte è fatta per essere guardata e che dagli occhi deve arrivare al cuore e non lobotomizzare il cervello?

    Guardo un opera, mi piace! Non mi piace!
    Non servono istruzioni, non servono che gli occhi!

    La grande crisi dell’arte è in parte avvenuta perchè è un secolo che l’arte è completamente distaccata dal pubblico, dalla gente.
    L’arte ufficiale è circoscritta ad un pubblico di intellettuali che la controllano e ha perso il contatto con il mondo.
    é un arte che non da senso di sicurezza, perchè è fondata sul nulla e più sulle parole che sulle opere.
    Per cui, più fatti e meno semantica!

  51. Non ho nessuna intenzione di convincere chi non la pensa come me! Il mio intento è di rincuorare i numerosissimi pittori ed artisti che vivono mortificati dal condizionamento modernista, violento, intollerante e snob. A me dispiace che migliaia di studenti delle accademie siano buttati per strada senza futuro. Questi sì costretti a prostituirsi al curatore di turno per poi cercarsi un lavoro in un call center. A me dispiace persino per le centinaia di nuovi curatori sfornati ogni anno come panini, anche loro senza nessun tipo di futuro se non entrando nelle grazie di qualche signora ricca.
    Per quanto riguarda i consigli sulla semantica dei miei lavori. Vuoi forse offrirmi i tuoi servizi per qualche buona idea valorizzatrice da inserire nel testo critico?
    Per adesso no, grazie, ne faccio a meno, magari quando mi calerà la vista.

  52. cari amici, la discussione è animata…
    approfitto per esporre brevemente anche il mio pensiero, la questione da focalizzare dovrebbe e potrebbe essere anche un’altra, la crisi di valori che sta tracinando l’umanità si è riflessa sul sistema economico in tutti i settori e nell’ “arte” o la “non arte” inevitabilmente.
    Ciò che è anche piu’evidente e che il pensiero, l’idea, la poesia, il concetto, sono in crisi, tutto dipende dallo stabilire qual’è il fine del nostro fare e se la “crisi” va vista come un’elemeto distruttivo o creativo per l’essere umano.

    Personalemte sono e sarò sempre in crisi, non ho certezze ne sul medim che utilizzo ne sui miei tentativi di espressione artistica, so solo che approfitto della mia pratica quotidiana per riflettere sulle cose,dare un senso al senso. Concludo con una citazione:

    “Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che …brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi. ALDA MERINI

    P.S a me Tino Shegal piace molto.

  53. Lo spessore del secolo scorso aveva un senso in una società che viveva tempi non consumistici, nel nostro presente dove ogni idea/funzione/oggetto viaggia alla velocità della luce tutto mi pare diverso.

    Tanto più l’approccio alle cose viene posto in termini di consumo e non di emozione, tutto ha un rapido tempo di usura e di “visibilità”.

    Le forme artistiche si sono evolute e hanno prodotto un contemporaneo molto complesso e con infinite derive, le più evidenti non è detto che siano le più valide.

    Ci vorrà un tempo per lasci decantare, sicuramente il concetto di arte (a mio giudizio sindacabile) è mutato in negativo, in quanto la sua valenza è stata “mercificata” in modo eccessivo e senza una reale necessità se non quella consumistica, per cui la quantità di “prodotto artistico” è spaventosa e nella sua gran parte inutile (questo vale sia per la pittura che per le istallazioni etc..).

    Il fatto stesso che in questi ultimi dieci anni rimane ben poco da ricordare la dice lunga sul senso artistico che si è prodotto, si salvano quelli che hanno avuto una funzione più mediatica, ma non è detto che i loro oggetti siano artistici.

    Forse bisogna ridefinire il senso, se ancora ha “senso”…

  54. ma smettetela con questa retorica da strapazzo! Ma perché, quando mai l’arte è stata prodotta per il “popolo”? Elite, intellettuali, snob, potete inventare tutti gli epiteti e i dispregiativi che volete, ma sapete benissimo che si tratta semplicemente di comunità trasversali che lavorano sugli standard qualitativi e sui risultati, e così è sempre stato.

    La difesa dei “poveri pittori” è davvero patetica: come è noto la pittura è il motore del mercato, e si sprecano collezionisti a tutti i livelli. Soprattutto di livello infimo, alla Telemarket. Pertanto non si preoccupi il Serafini, che gli accademismi, le anatomie, i paesaggi sopravviveranno sempre e talvolta, opportunamente elaborati, potranno anche entrare a far parte di discorsi artistici significativi. Ma la tecnica di per sé, così come il piacere retinico puro, non hanno nessun valore se non quello appunto pompato da qualche battitore televisivo. Potete accontentarvi, o pretendete anche la gloria (…)?

    Ultima cosa, in risposta alla battutaccia di Serafini: il mio compito è criticare, non vendermi. Peraltro il valore deve essere interno ad un’opera e un testo non può cambiare la sostanza

  55. hahahahah… che fai serafini?, ti ergi a consolatore degli afflitti?
    ma per favore, falla finita co sta commediola strappalacrime!
    in verità dimostri solo di essere un’esibizionista represso in cerca di un vasto consenso e presso le nuove leve, per di più. ti auguro tutto il successo possibile. w serafini!!!!!

  56. Penso che, oltre le contingenze , parte della discussione nasca da un equivoco di fondo e cioè che solo l’arte concettuale sia concettuale.
    Chi avesse davvero osservato, studiato e amato la nostra reale “eredità ingombrante” saprebbe che la storia della pittura è la storia del pensiero in pittura.
    Esiste qualcosa di più astratto e concettuale forse di una battaglia “ordinata” di Paolo Uccello oppure di un battesimo di Piero della Francesca?
    Qualcuno vuole convincermi che una bottiglia di Morandi sia la banale copia di un oggetto che aveva sul tavolo?
    Aveva ragione qualcuno che prima aveva parlato di qualità e io aggiungerei verità.
    Bisognerebbe riconoscerla oltre le barricate e capire che la pittura è una tra le scelte possibili ma non meno nobile solo perchè già praticata da secoli.
    Si vede in giro tanta brutta pittura anche perchè questa è facilmente riconoscibile, più difficile giudicare e contestare arte concettuale che per sua natura sfugge ovviamente a radicati canoni di natura estetica.
    Proprio perchè più “facile” la via della pittura è più ardua e rischiosa (anche la fotografia conosce in altre forme gli stessi rischi).
    Conosco giovani curatori aggiornatissimi sui nomi dei talenti ventenni cinesi o americani ma che hanno scoperto chi è Caravaggio solo perchè adesso fanno una mostra a Roma e ne parla anche il tg1.
    Restare aggiornati è davvero importante per tutti ma mi sembra sia giusto provare a confrontarci anche e ancora con la nostra ingombrante eredità.
    In modo nuovo ovviamente se possibile, ma è questa la sfida.

  57. “Provate semplicemente ad aumentare la complessità semantica dei vostri lavori, vedrete che nessuno verrà a tacciarvi di anacronismo o mercantilismo.”

    Non si può impedire l’associazione arbitraria della pittura ad una cosa o ad un’altra. La complessità semantica del linguaggio pittorico è già infinita e basta a se stessa anche senza associazione letteraria o filosofica.
    Il volere rendere dipendente e subordinata l’arte alla retorica letteraria fa pensare a certi lati dell’arte nazista dove qualsiasi paesaggio campestre diventava “la pace dopo la battaglia” o “la calma prima dell’attacco”.
    Io capisco l’ansia di tanti certificatori di concetti a volere presentarsi come indispensabili, in un periodo di crisi nessuno vuole perdere la pagnotta. La scelte deve comunque rimanere degli artisti (Chopin ha sempre pensato che bastava il linguaggio musicale). Per quanto riguarda la minaccia neanche tanto velata di “anacronismo o mercantilismo”, come ho già detto, i pittori di questi ultimi decenni sono già ampiamente vaccinati.

  58. Mi riconosco molto negli interventi di Lombardo, Doattime, Belletti si integrano bene a vicenda in qualche modo tutti e tre tirano in ballo l’emozione. Già l’emozione perchè l’arte ha valore solo se ci emoziona, se ci coinvolge punto, se ci prende alla pancia, se ci scuote il cervello. Negli interventi sull’arte di Verlato, Serafini, a volte Rossi, Silvestri tanta teoria, pure troppa poco o punto spazio lasciato all’emozione. Vi vedrei bene in un reparto di medicina legale a sezionare cadaveri. Ne parlate con distacco come quegli anatomisti che per reggere il peso della violenza dei loro gesti si devono astrarre dal provare qualcosa.Il punto è se pensi all’arte come a un cadavere o come un corpo vivo, caldo con i suoi odori e rumori. Non sono così catastrofista, non vivo l’arte come qualcosa da dividere in compartimenti stagni, periodi generi ecc. Non c’è giorno che non mi emozioni di fronte a qualche lavoro che non conoscevo rispetto al giorno prima in questo sono onnivora guardo tutto senza classificare incasellare in periodi, movimenti, etichette e tutto mi dà anche se, ovviamente, ho i miei percorsi.Se attingi all’arte come a un corpo vivo non c’è tempo per le dissezioni, per le operazioni chirurgiche ma solo per le emozioni come…tanti piccoli orgasmi quotidiani…necessari o se necessari!!!

  59. l’arte e tutti i mezzi equivalenti,atti a soddisfare narcisismi esasperati e spesso fuori luogo, può portare appagamento o frustrazione.Duchamp è sulla bocca di tutti,usato come paspartout per sdoganare e motivare ogni inconsistenza.L’arte dovrebbe essere continenza e non incontinenza.Lascerei stare tutte le menate su decontestualizzazione e altro. se nasci in uno sperduto villaggio dell’India e nessun aristocuratore deciderà di puntare sulla tua esoticità..la rimani.Ad una critica si oppone sempre una celebrazione, se non una autocelebrazione e viceversa e vince il più forte.Tutti sappiamo senza illusione che ogni cosa di valore o meno,acquista potenza se collocata nel giusto contesto.Chi in una situazione ha meno autorità, si sforza per acquisirla e quello è il fine primario; chi invece questa autorità l’ha già acquisita per diritto alla nascita, sorride sarcastico con la sua easygoing attitude post o neo qualcosa dall’alto della sua torre.Purtroppo l’arte visiva o la visual art non considera la vita materiale interessante e per questo muore come ogni altra cosa, quando potrebbe essere la sola cosa a sopravvivere al nulla.

  60. Serafini, io non parlavo della complessità semantica della pittura in generale, ma della sua. L’invito era rivolto a lei e a Verlato, non certo a Paolo Uccello, Piero della Francesca, Bacon o Richter. O, se vogliamo un termine di paragone più vicino, basta un Mastrovito o un Roccasalva ad eclissare la vostra sterilità che, come risulta da questi discorsi, è prima di tutto ideologica

  61. Mb2 “… in qualche modo tutti e tre tirano in ballo l’emozione”

    Questa è una discussione sul mercato dell’arte e non un saggio di poesia. Il pittore esprime le sue emozioni sulla tela, non nei commenti di Exibart.

    Alessandro B: “parte della discussione nasca da un equivoco di fondo e cioè che solo l’arte concettuale sia concettuale”.

    Concordo, mi hai tolto le parole dalla tastiera. Gli amanti del concettuale credono invece di avere l’esclusiva dei concetti! Peggio ancora, il mondo artistico è infestato da laureati in filosofia convinti di essere i detentori della verità artistica! Almeno il Vasari si intendeva della materia. Loro no, a malapena distinguono una fotografia da un dipinto (e spesso per loro: “è la stessa cosa”…)

    Davide.W: “Potete accontentarvi, o pretendete anche la gloria (…)?”

    Non hai capito, la pittura è la terza arte dopo l’architettura e la scultura e a giusto titolo gli spetta tutto ciò che gli compete. La pittura si meriterebbe la “gloria” istituzionale ma dopo avere liberato e portato in discarica tutte le porcherie degli anni passati (che nessuno va a vedere) e avere processato gli usurpatori che da anni rubano i soldi dello stato e delle regioni.

  62. …torno ora e trovo un fiume di parole…
    Non ho la testa ne la calma per leggermi tutto quello che è stato scritto, le tesi e le antitesi, ma ho fatto un giro in rete a cercare opere di Serafini. Non centro l’obiettivo correttamente perché la visione non è quella dal vero, pardon, perciò capiamoci… A parte tutte le cose che si possono costruire e qui bisogna arrampicarsi sugli specchi insaponati per dare un costrutto teoretico a questa pittura salmastra, stucchevole e pretenziosa. L’unica cosa che per ora mi viene è semplice e diretta e non ha bisogno di commenti ulteriori. Sono lavori o opere se preferite, proprio brutti. Ma tanto.
    Ho intravisto qualcuno che citava Richter…ma lui voleva realizzare immagini “reali” con la pittura, non ideologiche, ma atti linguistici, perché la pittura per lui riguarda sempre la pittura, una pittura che ha una sua realtà, e la bravura manuale non c’entra nulla, ciò che conta non è riuscire a fare qualcosa, ma vedere cos’è, vedere è per lui l’atto decisivo.
    In Serafini, mamma mia! e Verlato c’è un artigianato compiacente il cui modello è l’immagine puttana, ammaliante, che si specchia e si lustra in un mimetismo fine a se stesso. Una pittura comfort, di un’educazione quasi puritana, per loro terapeutica, perché alla fine si sentono veramente bravi a dipingere. Tra i due meglio comunque Verlato. Ma la Pittura e l’arte è un’altra cosa.

  63. cara margaretha, sono assolutamente d’accordo con te.
    il fine di ogni arte non è la tecnica con cui questa viene realizzata. sarebbe troppo facile!
    è così da sempre nella storia.
    per le arti visive, è vero, esistono anche oggi degli artigiani in grado di riprodurre qualsiasi manufatto di qualunque epoca. qualcuno è riuscito perfino a farsi beffa di illustri studiosi.
    nell’arte passata forma e sostanza andavano a braccetto.
    l’ingenuo tentativo di recuperare oggi quell’antica sapienza è purtroppo vano, e lo dico perchè c’è chi ci crede ostinatamente; e ci lavora sù da una vita; pensano questi signori che una loro opera di fronte a un capolavoro del passato regga il confronto? eppure son arciconvinti di essere gli ultimi eredi dei grandi maestri…
    l’artista deve avere la profonda coscienza di vivere il suo tempo; ha solo quello a disposizione, quello ha trovato e qui, ora, con quello e solo con quello deve fare i conti. se davvero uno è artista il suo “sentire” viene solo dall’oggi; e il passato glorioso? dobbiamo convincerci una volta per tutte che lo vediamo non con gli occhi di chi l’ha costruito, ma coi nostri e con cosa altrimenti? dispiace vivere in un’epoca decadente; embè? che ci vuoi fare? l’esercizio della copia è utile quando si è all’accademia, ma non una condizione necessaria ed indispensabile per ritenersi bravi artisti. e il mettersi lì come scolaretti a fare un bel compitino per stupire tutti con la propria bravura, colla presunzione mica tanto celata di fondare un nuovo rinascimento, bene, mi sembra ridicolo.
    a questi scolastici che meglio farebbero a occuparsi di riproduzioni o a insegnare tecnica pittorica a chi lo desidera dico ancora un paio di cose: avete una paura fottuta del mondo in cui vivete; paura delle cose nuove, paura degli esperimenti e dei rischi connessi, paura di lasciarvi andare, di sognare. lasciate perdere, il mestiere dell’artista è difficilissimo; per la concorrenza spietata, per la pressione psicologica continua ed estenuante, per la solitudine in cui ci si trova, perchè si gioca un gioco serissimo da noi personalmente scoperto ma le cui regole non sono e non saranno mai(!) ben chiare.
    magari bastasse solo saper tener in mano un pennello…

  64. a me sembra che il lavoro di Verlato con quello di Serafini non c’entri proprio un bel cazzo….
    e poi chi sene frega se vi piace questo o quello, a me mastrovito per esempio mi fa pena e Roccasalva mi sembra solo uno che scopiazza da tutte le parti…non si stava commentando un articolo di Sigolo che parla di sistema e di economia?

  65. EDIT:(senza offendere gente) a me sembra che il lavoro di Verlato con quello di Serafini non c’entri proprio un bel cazzo….
    e poi chi ssene frega se vi piace questo o quello,non si stava commentando un articolo di Sigolo che parla di sistema e di economia?

  66. Vi prude parecchio che quell’ARTaccia spacciata fino adesso in giro come ricca di contenuti e piena di se di me e di te, sia in crisi!?!?!
    Vedo che l’unico sistema che vi rimane è prendersela sul personale per offendere l’artista di turno che se osa…. viene crocifisso, ma con tanta semantica!
    Il mercato non è solo crollato, si è RIBELLATO!
    il mercato sta gridando….VOGLIAMO FATTI NON PUGNETTE!!!!

    da quando la tecnica è diventata un difetto?
    da quando il contenuto è diventato più importante in un arte visiva?

    mi sembra che state chiedendo di mettere del cervello in una velina e che se una non è tanto bella, venite a dirmi; si però ha cervello!!
    Non è questa la sua funzione, non ci importa se pensa oppure no, deve essere bellissima e suscitare desiderio, sogno!
    Io sono speranzoso per il futuro perchè questo è un giro di boa, ci sarà il sorpasso! :))

  67. “Non ho la testa ne la calma per leggermi tutto quello che è stato scritto, le tesi e le antitesi, ma ho fatto un giro in rete a cercare opere di Serafini.”

    Mi sembra il metodo giusto, perché leggere ciò che c’è scritto? Meglio cercare in rete cosa dipinge serafini… Ragazzi, se gli ultimi argomenti per difendere il modernismo sono questi, siete proprio alla frutta.

  68. Caro Serafini, ovvio che il pittore la sua poesia la mette sulla tela…il mio però era un giudizio soprattutto sul vostro (suo e di Verlato) modo di affrontare con il bisturi il corpo estensivo dell’arte…da questo materiale tranciate tutto ciò che non è pittura e questa “epurazione” o “semplificazione” per usare un termine più soft è assolutamente fuori luogo, fuori tempo, fuori tutto fuori..fuori..

  69. Cioé a me sembra che se margaretha è tornata per fare commenti di questo genere poteva pure startene al polo nord. A parte i soliti burini la parte interessante della discussione non era certo stabilire se fosse meglio verlato o serafini…

  70. ok, adesso ho riletto il tutto con calma, e rimango della mia opinione che il lavoro di Serafini mi mi piace, anche se a voi non frega nulla, e anche quello di Verlato ( che invece stimo come persona e come intellettuale). a me interessa l’opera e l’artista. meno il mercato. ho sbagliato ad inserirmi qui, starò più attenta la prossima volta.
    e poi perché dovevo starmene al polo? quando decido di inserire un commento è per prendere parte ad un dibattito che sento come urgente, e la piattaforma di exibart lo permette e bene.
    Cerco di mantenermi lontana dal dare un giudizio sulle persone, che per quanto mi riguarda già il fatto che sono qui a discutere, bene o male, dentro o fuori il tema… (forse perché premeva più questa cosa, l’articolo di Sigolo ha dato solo il via a un’altra strada), per il loro interesse e passione me le rende simpatiche a prescindere. Non mi sono simpatici gli ultrà e le fazioni. Però poi c’è l’opera, su cui discutere, quindi cerco di inserire il mio punto di vista dandone una motivazione; ad esempio matogrosso, che invece se ne sta al caldo, dovrebbe andare oltre alle sue introduzioni (qual’è il genere di commento che non ti andava?). Poi è vero i lavori di S e di V non c’entrano un cazzo l’uno con l’altro.

  71. Carissimo pincopallo e molti altri, mi pare che a vostro avviso basti usare uno strumento nuovo per copiare cose vecchie e per sentirsi ricercatori del contemporaneo.Attenzione a non confondere e a delegare al solo mezzo usato la contemporaneità di un pensiero, un concetto , un opera.Quanto panico se non si riesce a trovare l’artigiano o il programmatore dalla tecnica e sapienza sopraffina e costosa, che sappia dar forma ai concetti iperconcettuali che ci ronzano in testa.Invece,perchè( e non è il caso di nessuno nello specifico)se qualcuno oltre ad avere idee in testa ha anche i mezzi tecnici per realizzarle e un coglione fuori tempo?Bisogna senpre ostentare un processo milionario per la costruzione di un opera per motivarne la consistenza?questo mi pare francamente obsoleto in un mondo in deficit cronico.Una buona parte di video, installazioni e fotografie sono quanto di più manieristico,accademico e decorativo possa esistere,prevale solo l’uso del mezzo e la tecnica esecutiva e il termine di giudizio sui cui si basano gli esecutori e gli addetti.Fatevi venire in mente un pò di nomi e analizzate documentandovi.

  72. mb2 “ ..da questo materiale tranciate tutto ciò che non è pittura e questa “epurazione” o “semplificazione” per usare un termine più soft è assolutamente fuori luogo, fuori tempo, fuori tutto fuori..fuori..”

    Fuori, fuori,…. la pittura figurativa da decenni è fuori da tutti i musei e da tutte le istituzioni, e saremmo Nicola ed io ad essere gli intolleranti? Come ricordava Nicola, il Guggenheim si chiama “Museum of non objective painting” . Ho voluto fare una piccola ricerca su i motivi di tale esclusione, qualcosa ho trovato. Uno dei motivo reale e non ammessi esplicitamente è che la pittura realista piaceva tanto ad Adolf Hitler, lui stesso nemico giurato delle avanguardie fortemente sostenute invece dalla Repubblica di Weimar. Risultato, la pittura figurativa realista è stata vista nel dopo guerra come una “pittura nazista”. Dalla prima Dokumenta del 1955 è stata severamente bandita, tutti i principali musei americani hanno seguito questa regola lasciando una deroga ad Edward Hopper, tanto per smentire il teorema e fare credere alla “tolleranza”. Pensate un po’, se quel coglione di Hitler avesse amato le avanguardie, ora metà del Castello di Rivoli sarebbe dedicato a Verlato ed altri!

  73. vabbé, dopo quest’ultima panzana su Hitler possiamo davvero chiudere la discussione. Ma vi è mai passato per la mente che semplicemente fare figurazione è diventato più difficile a causa della stratificazione e delle eccellenze raggiunte nel corso dei secoli, e che forse sono sopravissuti solo quelli che avevano realmente qualcosa da dire come Hopper e Bacon? Tra l’altro questa retorica strumentale non è affatto nuova e ha fatto le fortune di gente come Botero, Kostabi ecc…

  74. Concetto è termine di origine latina che deriva dal verbo concipere, formato da cum, “con”, e capere, “prendere”; ovvero, “prendere con”, “comprendere, intuire, capire”. Il concetto è l’idea che sopraggiunge alla mente chiara ed evidente nel suo significato.

    caro pincopallo; mai pensato e mai scritto di tecniche nuove per copiare cose vecchie.
    non so proprio dove hai tirato fuori sta cosa.
    è palese che il mezzo ha un’importanza relativa; non è lì il nocciolo della questione come non lo è tra figurativo e astratto.
    però non bisogna nemmeno scandalizzarsi e aver paura di quello che la tecnica oggi ci mette a disposizione.
    è sempre indispensabile da parte dell’artista un notevole controllo. sia che le cose le faccia da se, sia che le deleghi interamente ad altri. ed è altrettanto indispensabile che chi si ritiene artista abbia qualcosa di nuovo da dire; che usi il pennello o il puntatore laser fa lo stesso.
    ho messo sopra l’etimologia del tanto vituperato termine concettuale; a leggerlo si può benissimo capire che l’arte quella colla A maiuscola è sempre stata concettuale.

  75. prima volevo scrivere “caro cristian”… mi scuso col diretto interessato.

    …a proposito dell’ultima barzelletta del buon (per lui) serafini…poveretto, vive in un mondo tutto suo di brutte favole…

    e sulla questione dell’arte figurativa che sempre secondo il serafico pittore non entra in musei e fondazioni…parliamo solo dell’italia, sennò non finiremmo più…
    salvo, ontani, stefanoni,galliani (omar), montesano, damioli, mondino in ordine sparso e ce ne sarebbero parecchi altri e anche di più giovani…

  76. Caro Serafini mi sa che continueremo a fraintenderci all’infinito…io non ho nulla in contrario contro la figurazione in pittura se questa riesce a prendermi, a dirmi qualcosa di nuovo…ma oggi effettivamente come tanti altri riconoscono, non è così facile. Il mio intervento però verteva sulla capacità o meno di apprezzare tutte le diverse modalità espressive dell’arte di oggi. Io, al contrario di lei, penso che questa caratteristica sia una ricchezza e non un vincolo per quegli artisti che hanno realmente qualcosa da dire, da trasmettere. Il problema casomai è un altro quando l’arte nonostante tutta questa enorme gamma di mezzi d’espressione a disposizione non riesce a star dietro alla profondità ed alla complessità del nostro tempo perchè come sostiene Rosi Braidotti nell’incipit del suo In metamorfosi “Se non si ama la complessità, è impossibile sentirsi a casa nel ventunesimo secolo”.

  77. Rileggendo bene i messaggi mi accorgo che Busci dice, in sostanza, le stesse cose che ho scritto io. Non condivido molto la questione dell’eredità ma in linea di massima penso le stesse cose. La distinzione tra concettuale e non la trovo illusoria e di poca sostanza. Concordo col fatto che tutta l’arte è fatta di concetti. Mi viene da dire: ma le ottanta e passa pose dedicate da Picasso al volto di Gertrude stein sono una questione di tecnica? All’estero (penso alla germania e all’Inghilterra) non si è mai smesso di dipingere e nessuno si pone il problema; penso anzi che il recente dibattito promosso da flash art sulla pittura sia un ulteriore sintomo di un problema solo italiano che non danneggia unicamente la pittura ma l’arte nel suo insieme.

  78. Cosa ci rivela Sigolo? Il mercato dell’arte è passato da 2,7 miliardi di dollari a 487 milioni di dollari. Sarebbe utile sapere di quanto sarà l’endowment delle fondazioni per i prossimi anni. L’anno scorso si parlava di 13 miliardi di dollari. Che influenza può avere un mercato artistico di 487 milioni su 13 miliardi di fondi regalati generosamente dai produttori di petrolio, dalle industrie minerarie e dai produttori di tabacco? Il futuro dell’arte è in mano ai “bord of trustees” che decidono di cosa fare di tanti soldi. Se decideranno di continuare a pompare l’aria fritta (ciò che faranno sicuramente), l’arte continuerà come ora. Inutile immischiarsi in discussioni senza fine su cosa fa Verlato o Serafini. Buon lavoro a tutti.

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