08 aprile 2010

LA SCOMMESSA DELL’ARTE

 
di alfredo sigolo

I buoni risultati delle recenti aste londinesi sono state una vera iniezione di fiducia per il mercato dell'arte. Ma allora la crisi è finita davvero? Cerchiamo di capirlo e cerchiamo di capire perché, nonostante tutto, un artista giovane può costare più di un grande maestro del passato...

di

Siamo lontani dai risultati disastrosi del 2009, ma anche
da quelli ormai unanimemente considerati gonfiati del 2008. La ripresa è
iniziata. Anzi, per essere esatti, il clima è quello da “risanamento compiuto”,
con i prezzi che sono tornati a premiare gli artisti consolidati, mentre sul
fronte del contemporaneo l’andamento è ancora controverso.
Il mercato dell’arte contemporanea, a pensarci,
costituisce un’anomalia nel contesto del mercato collezionistico preso nel suo
insieme. Quest’ultimo infatti si fonda sostanzialmente sulla traduzione in
valore economico del valore culturale il quale, avendo caratteristiche
tipicamente immateriali, finisce per essere fortemente condizionato da fattori
contingenti quali la rarità e l’antichità.
È evidente che il valore culturale non può ridursi a
queste due sole condizioni, ma è altrettanto evidente che esso è comunque il
frutto di un processo di progressiva stratificazione nel tempo.
Dunque perché l’arte contemporanea, che in un’ipotetica
scala di valore culturale si colloca in posizione iniziale, costa così tanto?
Tale obiezione è abbastanza comune, non solo per l’uomo comune, ma persino tra
gli appassionati.
La differenza determinante tra un’opera d’arte
storicizzata e una contemporanea è che mentre la prima può vantare un valore
culturale acquisito (e in qualche modo misurabile attraverso le vicende
storiche, scientifiche e del gusto che l’hanno coinvolta), nel caso dell’opera
contemporanea si fa un’opera di astrazione e di previsione: il suo prezzo è in
breve una scommessa sul valore culturale futuro. Un futuro che può essere a
lungo termine ma anche a breve o brevissimo termine, perché proprio un artista
emergente di buone prospettive tende a garantire crescite di valore in tempi
molto contenuti.
Ma basta questo a spiegare le quotazioni raggiunte
dall’arte contemporanea negli ultimi anni? Basta questo a spiegare perché
l’opera di un artista contemporaneo di punta possa valere e anzi superare
quella di molti conclamati maestri del nostro passato, questi sì già inquadrati
in una prospettiva di rarità e tempo? In verità no. E allora dove sta il
trucco? CJeff Koons - Rabbit - 1986 - acciaio inossidabile - cm 104,1x48,3x30,5ertamente le dinamiche speculative alla base del mercato dell’arte
sono diverse e complesse. Tutte però possono essere ricondotte a una strategia
che potremmo definire “del ribaltamento”. Se il mercato traduce in valore
economico il valore culturale di un’opera, va da sé che in assenza del secondo
dovrebbe mancare anche il primo. A questo punto, abbiamo visto, interviene la
logica della scommessa, fin qui plausibile. Il problema subentra nel momento in
cui il valore culturale passa in secondo piano e avanza quello economico in
modo pervasivo. Ciò che accade è che il valore economico finisce
progressivamente per prevaricare il valore culturale, fino ad arrogarsi il
diritto di determinarlo. O, per meglio dire, pretende di farlo. Un’opera non
costa perché vale ma vale perché costa. E nel ribaltamento (appunto) la
differenza non è di poco conto. Quando ciò avviene, tutto diventa possibile.
A questo punto c’è da chiedersi se i buoni risultati delle
recenti aste londinesi possano da soli costituire un segnale significativo del
superamento della crisi.
La risposta implica però innanzitutto stabilire di che
crisi si voglia parlare. Perché la sensazione netta è che la crisi del mercato
dell’arte, certamente connessa con l’andamento negativo dell’economia globale,
nasconda anche una più profonda crisi di natura culturale.
Inutile che ci vengano a raccontare che la nostra è
l’epoca degli artisti individuali, del superamento del nuovo o della negazione
della storia. Un’opera d’arte priva di connessioni, che non ambisca a innovare
e che rifiuti il passato appare come un guscio vuoto e le speculazioni teoriche
adottate per giustificare questo stato di cose somigliano fortemente ad alibi
creati a uso e consumo del mercato.
A chi tocca dunque fare da garante affinché il valore
culturale torni a essere al centro del dibattito? Evidentemente tocca a quella
parte del sistema che si occupa di diffondere e rendere accessibile l’arte: i
musei, le collezioni pubbliche, più in generale le istituzioni culturali.
La crisi ha colpito anche loro in modo forte ma, ancora
per una volta, nessuno può dirsi innocente, perché le mostre dei top seller,
gli eventi blockbuster, le acquisizioni modaiole hanno finito per accreditare
anch’esse la strategia del ribaltamento. Potremmo dire che non abbiamo ancora
il colpevole certo ma di certo conosciamo i complici.
Alfredo Jaar - Le Ceneri di Gramsci - 2005
La vera urgenza oggi è riportare al centro la questione
culturale, per la definizione della quale appare illuminante l’illustre pensiero
che segue: “Che si debba parlare, per essere esatti, di lotta per una ‘nuova
cultura’ e non per una ‘nuova arte’ (in senso immediato) pare evidente. Forse
non si può neanche dire, per essere esatti, che si lotta per un nuovo contenuto
dell’arte, poiché questo non può essere pensato astrattamente, separato dalla
forma. Lottare per una nuova arte significherebbe lottare per creare nuovi
artisti individuali, ciò che è assurdo, poiché non si possono creare
artificiosamente gli artisti. Si deve parlare di lotta per una nuova cultura,
cioè per una nuova vita morale che non può non essere intimamente legata a una
nuova intuizione della vita, fino a che essa diventi un nuovo modo di sentire e
di vedere la realtà e quindi mondo intimamente connaturato con gli ‘artisti
possibili’ e con le ‘opere d’arte possibili’. Che non si possa artificiosamente
creare degli artisti individuali non significa quindi che il nuovo mondo
culturale, per cui si lotta, suscitando passioni e calore di umanità, non
susciti necessariamente “nuovi artisti”; non si può, cioè, dire che Tizio e
Caio diventeranno artisti, ma si può affermare che dal movimento nasceranno
nuovi artisti

(Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere n. 6, § 133. Tratto da Letteratura e vita
nazionale
,
Editori Riuniti, Roma 1987, pp. 8-9).

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alfredo sigolo


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
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7 Commenti

  1. Interessante opinione, con chiusa anche più che interessante, benché (opinione e chiusa) fondate su questioni che – per me – poco hanno a vedere con il processo di produzione artistica: questioni morali sulle quali rifondare un nuovo ordine culturale.
    Vero è che sono elementi fondamentali in questo frangente storico; ma fattori come “scommessa” e “moralità” sono troppo aleatori e soggettivi per costituire solide basi su cui ragionare. Comunque grazie per lo spunto, ripeto, molto stimolante.

  2. Bhe, mi sembra giustissimo. Non si tratta di ricercare il nuovo e l’innovazione, ma un nuovo atteggiamento “culturale”. In questo processo non dobbiamo avere paura del “vuoto”. Invece questa paura spinge a riempire sempre, anche se questo pieno fosse mediocre. Questa tendenza occupa dei vuoti che sarebbero più fertili se rimanessero vuoti. E disincentiva una riflessione ed un pensiero divergente. Il “vuoto” non è la morte, non è la fine dell’economia, o la fine della fiera. Il vuoto presuppone una vita pulsante intorno e si prepara per un pieno migliore.

  3. ma soprattutto come mai ci sono tanti soldi da spendere in tal gioco, come mai decine di capitali vengono spesi per oggetti sopravalutati, da dove arrivano questi dindini, perché vengono spesi così “frivolmente”?

  4. In merito al vuoto come prodromo (o accessorio complementare) del pieno posso concordare. Già esperito in arte anche da noi soprattutto negli anni ’70 e ’80 con (per fare due nomi a caso, ma legittimi) Dadamaino e Boetti. In filosofia e antropologia c’è ampia letteratura a supporto edlla tesi. Nessuno può temere il vuoto se sa a cosa allude. Circa la questione dei capitali investiti, trattasi “semplicemente” di capitali investiti, per l’appunto, con norme e regole di “gioco” che hanno a che vedere con la finanza e poco con la valutazione estetica dell’opera d’arte. E’ uno scandalo che non tocca chi ama e considera e critica l’arte e la storia dell’arte, benché certo alcune aberrazioni (soprattutto anglosassoni) siano da considerare come tali. Per l’Italia invece, che meno ha da spendere e meno considera il mercato dell’arte come meritevole di essere affrontato con espedienti e logiche finanziarie(e questo per molteplici considerazioni e fattori), la questione è solo relativa a investimenti illegittimi, perché il nostro mercato artistico (arte e antiquariato) da sempre è stato ambito di riciclaggio di denaro della politica o delle mafie. Naturalmente solo per coloro per cui vale il gioco e per cui l’ambiente è quello dell’illecito e non del lecito.

  5. Forse più che di vuoto, parlerei di sottovuoto. In merito, suggerrisco un saggio consiglio: mettere l’arte priva di contenuti e volutamente effimera o sperimentale che gira a vuoto su se stessa, nella lunga lista d’attesa della CRIOPRESERVAZIONE, per preservarla nel tempo e nello spazio, in attesa di tempi meno mortiferi di oggi. E’ l’unico modo per mantenerla in vita. Cosa aspettate a rivolgervi e consegnarla alla Società Italiana per la Crionica! Un chiarimento, per i profani la Crionica è “una tecnologia tesa a salvare vite e e ad estendere, di molto le aspettative di vita”. Per quanto riguarda le domande assillatissime intorno ad una praticabile funzione dell’arte e di una sua auspicabile collocazione nella nostra società e nella vita delle persone, essendo essa, ormai divenuta merce di consumo per esofaghi viventi e mezzo di evasione per catafalchesse o fessi mondani, consiglio, vivamente di rivolgersi alla più vicina mesticheria per trovare la giusta chiave e la soluzione.

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