23 maggio 2013

L’Intervista/Giulia Caira Giulia e le altre. E gli altri

 
In questo momento storico in cui la cronaca ci ha obbligato a coniare una nuova parola: femminicidio, abbiamo deciso di ascoltare alcune artiste che lavorano sull'identità della donna. Giulia Caira ha realizzato un video, ora in mostra a Bari, che prende spunto dall'omicidio di una donna per mano dalla sua migliore amica. Da qui si arriva all'arte di genere, a che significa essere individui liberi, al di là se maschi o femmine

di

Giulia Caira, Evil Sisters, 2013, film Blue-ray, 15', foto di scena, dittico #1, Stampa lambda su metal, plexiglass+ d-bond, dimensioni variabili, courtesy Muratcentoventidue

Dal mondo autentico di una donna e artista come Giulia Caira, arriva un video dal timbro forte, coinvolgente e passionale: Evil Sisters (Perfide Sorelle) che prende spunto da un fatto di cronaca nera avvenuto nel settembre 2006 a Torino. Una ragazza di 19, anni al quarto mese di gravidanza, viene trovata morta nel suo appartamento, uccisa con otto colpi di ferro da stiro e sette coltellate alla gola. Responsabile dell’omicidio è ritenuta la sua migliore amica. Perché sollecitare riflessioni sull’odio tra donne, mentre i femminicidi in Italia imperversano, talvolta anche più d’uno al giorno? Perché la questione femminile in senso generale, e in particolare come relazione tra generi, deve essere riconsiderata a partire dalla nozione di solidarietà, fondamento delle conquiste delle donne. L’idea che le donne si odino perché è nel loro DNA è un grande errore, tale sentimento è da rintracciare nella storia femminile, pervasa dai tabù sessuali, dalle politiche di emarginazione e sfruttamento soprattutto all’interno della propria famiglia, con l’unica possibilità di emancipazione (si fa per dire) da rintracciarsi nel “buon matrimonio”, ossia, darsi da fare per accaparrarsi il miglior partito possibile sottraendolo alle altre. La colpa, quindi, dell’odio tra donne sta nei fattori culturali che per secoli hanno tracciato le consuetudini sociali.  
Evil Sisters intitola la sua personale, a cura di Francesca Referza in atto alla Muratcentoventidue di Bari fino al 30 giugno, e ha sollecitato l’intervista che segue. 
Catturando flussi di esistenza, attraverso un registro emozionale, immediato e autentico, la tua arte racconta storie di vita, caricandosi di ‘calore’ e di significato umano. Per te l’arte è una maniera di esprimere te stessa e un modo per riflettere sul mondo?
«Cercare di capire il senso del mio stare al mondo, in questo momento, in questo tempo, comporta un esercizio quotidiano in cui ci si mette costantemente alla prova, nel tentativo di trovare quel delicato filo di congiunzione tra noi e gli altri. Ogni lavoro è un tassello di un mosaico perennemente in costruzione, una composizione di elementi, dove a volte mi trovo e a volte mi perdo. Nella pratica artistica, che per sua natura è piuttosto ossessiva, è inevitabile che quotidianità e lavoro spesso coincidano, pur non essendo il mio un percorso di natura autobiografica. Il mio sforzo non è raccontare quello che sono, ma quello che percepisco da ciò che mi sta intorno, attraverso le mie convinzioni e le mie emozioni».
Giulia Caira - Evil Sisters, Still da video
La presenza femminile è spesso centrale nei tuoi lavori. Donne/icone che incarnano ruoli e rimandano ad altre donne costrette a imporre il proprio diritto all’esserci a iniziare dalla presenza nelle istituzioni. Per essere considerate per le nostre capacità e le nostre azioni, dobbiamo trasformarci tutte in Virago?
«Credo che l’attualità dimostri quanto ci sia ancora da cambiare in noi stesse per esistere come semplici individui, con eguali diritti e doveri, anche. Non credo che il bisogno di esserci e prendersi eguali responsabilità sociali, politiche, o altri ambiti, sia di tutte le donne. Molte hanno accettato, nuovamente e tacitamente, di ri-confinarsi in ruoli e bisogni di una società patriarcale, come quella attuale. Che cosa possiamo fare se una buona parte di popolazione femminile accetta passivamente tutto questo? Cosa possiamo fare quando una donna di 40 anni accetta, senza ribellarsi, di sentirsi vecchia, da buttare via, solo perché il mondo intorno ti perpetua questo concetto? Il processo nel quale ci troviamo è oscuro e sottile, costituito da elementi che hanno lavorato negli anni in modo invisibile, per ri-posizionarci in antichi ruoli, subordinati e funzionali ai valori tipici dell’immaginario maschile. Se non aderisci sei fuori! È lì che bisogna stare, fuori, costruendo la difesa del proprio spazio con determinazione, assumendosi la responsabilità dei relativi ‘costi di gestione’. E non attraverso una concessione, e penso alle quote rosa.  Le Virago non sono la risposta, ma una riflessione. Un omaggio a personaggi marcatamente femminili che hanno vissuto al di fuori degli schemi imposti, di natura ribelle, dotate di un grande talento, che hanno pagato le proprie scelte con solitudini talvolta drammatiche e complesse.»
Giulia Caira, Le Parole Nascoste / Fulvio, 2009, Primo premio Fondazione VAF 2012, Foto di scena, Stampa Lambda + plexiglass + d-bond, Dimensioni variabili / 3 ed., 9dvd/ 1:30 / audio, courtesy Fondazione VAF
In Italia circa dieci donne al mese sono uccise da uomini che non ne hanno accettato la titolarità del pensiero, dei desideri, delle volontà. Il fenomeno del femminicidio fa pensare a un’involuzione culturale nel rapporto uomo-donna rispetto al percorso iniziato negli anni Settanta. Forse, a fronte di una donna che sostiene la propria autodeterminazione, l’uomo ha difficoltà ad affermare una nuova identità maschile?
«Da un lato alcuni uomini non avvertono il bisogno di mettersi in discussione e questo, inevitabilmente, crea una forte spaccatura a fronte di quelle donne che desiderano confermare la propria autonomia come individui, indipendenti dal linguaggio e dalla mentalità collettiva. Dall’altra, le donne hanno scarsa dimestichezza a difendere il proprio spazio, fisico e sociale. Su questo tema, tempo fa avevo letto un saggio: L’aggressività femminile, molto interessante, della psicoterapeuta Marina Valcarenchi, in cui si definisce come aggressività quella capacità di difendere e tutelare il proprio territorio. Attraverso l’esperienza di psicoterapeuta, Valcarenchi spiega come questa sia un’attitudine tipicamente maschile. Tra le testimonianze più interessanti ricordo la storia di una rampante manager, vittima del proprio compagno che esercitava su di lei, quotidianamente, vessazioni fisiche e psicologiche, e che lei giustificava quasi a volersi far perdonare il proprio successo. Un pegno da pagare, insomma. Tuttavia mi chiedo, la responsabilità di questa pesante arretratezza è da imputare esclusivamente al potere maschile? Gli uomini sono partoriti da donne, educati da donne. A me pare che ci sia una sorta di mammismo collettivo nei confronti della figura maschile in crisi, imputando le cause delle crisi relazionali al desiderio d’indipendenza femminile, rispetto a ruoli e modelli imposti. Una mentalità collettiva fortemente distorta, dove come donna sei condannata ad avere sempre e comunque una responsabilità, anche quando si tratta delle azioni altrui. L’interpretazione delle nuove forme di autodeterminazione femminile, a mio modo di vedere, sono dei boomerang (penso al movimento se non ora quando? e agli argomenti della prima manifestazione) di stampo moralista e non mi corrispondono in nessun modo. Credo che le donne debbano ambire a essere innanzitutto liberi e semplici individui, buone o cattive, disinvolte sessualmente oppure caste, ed essere giudicate per quello che fanno e non per l’amministrazione della propria intimità». 
Giulia Caira - Evil Sisters, Still da video

 

L’artista è nell’arte con tutto il proprio sé, con la propria esperienza delle cose del mondo. Pensi vi siano valori diversi nell’arte delle donne rispetto a quella degli uomini, oppure è lecito affermare che, come soggetti differenti, esiste un’arte delle donne, perché una donna artista è diversa da un uomo artista?
«La mia sensazione è che gli artisti, a iniziare dalla mia generazione, abbiano il pregio di non sentirsi confinati in un genere di appartenenza. Sicuramente le differenze tra i sessi possono influire sui risultati della propria ricerca, ma va ricordato che i sessi non sono soltanto due, come il determinismo biologico vorrebbe! Non credo, tuttavia, sia un perno essenziale. In realtà avverto un certo disagio quando m’imbatto nelle categorie quali letture femminili, arte femminile. L’arte è arte, la letteratura è letteratura, esiste la scienza al femminile? Non mi pare. Sarebbe auspicabile emanciparsi a partire dal linguaggio, evitando di confinarsi  in una categoria. Anche le espressioni dell’arte che riguardano disagi e contenuti relativi alla sfera femminile, in realtà riflettono su questioni che investono maschi e femmine: mettersi nei panni dell’altro e pensare che il disagio di uno è un problema che riguarda tutti, potrebbe essere un esercizio interessante per affrontare il futuro insieme».
Giulia Caira, Terapia Familiare #2, 2009, Dittico, Stampa Lambda + plexiglass + d-bond, Dimensioni variabili / 3 ed., courtesy l'artista
Nella ‘premiopoli’ 2012 occupi un posto di primo piano: hai vinto il Premio VAF e il Fabbri. Quest’ultimo con il lavoro fotografico intitolato Quando Ulisse se ne andò Circe e i suoi maiali si divertirono tantissimo, efficace reinterpretazione dell’Odissea. Quale ruolo gioca l’ironia nella tua arte?
«L’ironia è la mia ancora di sopravvivenza, emerge nel mio lavoro conseguentemente. Non lo faccio apposta, mi viene spontaneo. Per il premio Fabbri (premio aziendale in cui si chiede all’artista di tenere conto della storia dell’azienda e delle icone che l’hanno caratterizzata) ho cercato di ripercorrerne la storia della comunicazione, visionando immagini e spot. Mi sono imbattuta nei bellissimi caroselli, quelli che vedevamo da bambini, con le storie del pirata pacioccone. Da queste è emersa una Circe rappresentata come una megera, non proprio bella né affascinante. Ho approfondito un po’ la sua storia, scoprendo come il suo mito sia ricorrente ed emblematico in tutte le epoche, interpretato in mille modi differenti, dalla letteratura al cinema, dalla pittura alla pubblicità, sempre in sintonia con gli elementi perturbanti connessi alle questioni femminili e sociali. Così ho deciso di dare anch’io una mia versione. Del resto le figure mitologiche si prestano volentieri a nuove interpretazioni».

Giulia Caira, Ritratto

Le parole nascoste è la videoinstallazione che ti ha garantito il Premio VAF. Un lavoro complesso a iniziare dai personaggi che incarni: gente comune, uomini e donne con storie personali differenti, nell’atto di liberare senza una logica lineare le proprie emozioni, paure, passioni, mentre si trovano seduti a un tavolo da riunione. Storia intima e personale che differenzia l’essere per sé e l’essere per il mondo. Forma e sentimento. Un’indagine psicologica sui conflitti interiori dell’individuo?
«Direi di sì. Lo schema di questo lavoro è analogo a un precedente che avevo realizzato per il centenario della nascita di Samuel Beckett presso la scuola Holden di Torino, curato dal gruppo a.Titolo. Un remake di un testo che Beckett mise in scena per la televisione tedesca nel ’67, dal titolo Eh Joe! (Dì Joe!, in italiano). È la storia di un uomo di mezza età, solo in una camera di albergo, che dà libero sfogo alle proprie fobie, rassicurandosi che tutto sia in ordine e che nessuno lo stia spiando. In questa condizione di massima attenzione, una voce gli affiora nella mente, qualcosa che sfugge al suo controllo, una voce accusatoria, quella di una sua ex, che con frammenti di frasi ripercorre la vita del protagonista evidenziandone miserie, suscitandone sensi di colpa. 
Ho pensato che quell’esperienza potesse essere interessante per affrontare la questione annessa al ‘tavolo da riunione’ col quale mi volevo confrontare. In questo senso i nove personaggi sono un riflesso di una quotidianità che in qualche modo c’ingabbia, in maniera automatica, quasi inconsapevole, nel confine rigido delle convenzioni, con il rischio di provocare una sterile socialità».
Giulia Caira, Quando Ulisse se ne andò, Circe e i suoi Maiali si divertirono tantissimo., 2011, Primo premio Fabbri 2012/sezione fotografia, Collezione Fabbri, cm 150 x 15, Stampa Lambda + plexiglass + d-bond, courtesy l'artista
Come donna, artista e cittadina in che modo ‘leggi’ la complessa fase storica che stiamo vivendo?
«Il mio ottimismo mi porta a credere che siamo di fronte alla possibilità di una svolta, un cambiamento radicale, di valore e di senso. Siamo al capolinea di qualcosa che dobbiamo ancora ben capire e interiorizzare adeguatamente, per trovare coraggio e forze necessarie per agire il nostro futuro. Purtroppo questa mia speranza è messa a dura prova ogni giorno, guardandomi intorno, leggendo i giornali e anche frequentando spesso FB. Non riesco a persuadermi che il potere di pochi possa annientare una maggioranza di persone, confermando che l’essere umano, in sé, non ha voce. Da questa parte del mondo certi diritti erano stati faticosamente conquistati e non capisco perché, in questi ultimi anni, siano stati messi in discussione. Sempre più ci livelliamo verso il basso, rimuovendo quei valori che tutelano la dignità umana, una dignità scippata dai poteri forti – economico e politico – in nome dell’esclusivo beneficio di pochi. 
Le mie visioni sono quindi a correnti alternate, ottimismo speranzoso e pessimismo terreno e cosmico».

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