16 gennaio 2014

L’intervista/ Alessandra Baldoni Rosso come l’amore

 
Prima di approdare alla fotografia, Alessandra Baldoni si è nutrita di filosofia e di molta letteratura. Che non ha mai abbandonato. Trovando soprattutto nelle scrittrici un pozzo di emozioni da cui sono emersi immagini e lavori. Poi c’è Pinocchio, con la cui storia ha realizzato l’opera presentata all’ultimo Premio Cairo. Anche qui sentimenti e paure in gioco. E poi c’è l’amore. Anche per il cibo

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Alessandra Baldoni nel suo studio a Ellera (foto di Manuela De Leonardis)

La bombetta rossa è poggiata sulla cappelliera, sopra una vecchia sedia di legno dipinta di rosa. Un paio di scarpe rosse con i lacci, una parete rossa, il cappottino rosso, il rosso del vestito che indossa una figura femminile nella serie fotografica Salva con nome che, lo scorso autunno, aveva dato il titolo alla personale presso la galleria Vanna Casati di Bergamo. È innegabile che per Alessandra Baldoni (Perugia 1976) il rosso sia un colore significativo, intriso di significati noti che vengono interiorizzati creando uno sconfinamento continuo tra arte e vita. Ma non c’è solo il rosso nello studio dell’artista a Ellera (Perugia), a pochi chilometri dalla sua casa. Una parete è gialla, un’altra azzurra, poi c’è il verde pisello dello scolapasta, l’azzurro del termosifone, il turchese del divano… colori che illuminano il seminterrato, sottolineando anche una presenza giocosa e allegra. 
Nei suoi lavori, invece, a prevalere sono una vena malinconica, una sensazione di spiazzamento. Riflessioni sull’amore quelle che Alessandra Baldoni propone parallelamente attraverso l’uso della poesia e della fotografia. Parte spesso da ispirazioni letterarie, è così anche per il lavoro su Pinocchio, realizzato l’estate scorsa per il Premio Cairo, di cui sono visibili le tracce disseminate nello studio: abiti e maschere di plastica usate per lo shooting. Il mondo delle favole, luogo di sogni e amenità, non è che la proiezione di sentimenti umani in tutti i loro limiti, in tutta la loro grandezza. Poggiati con disinvoltura su un tavolino, i libri di due grandi artisti che sono stati fondamentali per la crescita di Alessandra: Ulassai. Da legarsi alla montagna alla Stazione dell’Arte di Maria Lai e  Omaggio a Spoon River di Mario Giacomelli. 

Alessandra Baldoni - Anche io cresco dal fondo di un lago- colmo di pianto - 2013 (courtesy Studio Vanna Casati, Bergamo)

Nel tuo lavoro crei delle messinscene come in un set cinematografico, sei d’accordo?
«Il momento dello scatto è la fase finale, quando scatto velocemente – lo scatto di per sé è, in un certo senso, la cosa più veloce – l’immagine che è incisa nella mente. Il lavoro è prima di tutto ricerca e studio, che è quello che mi porta via più tempo. Quando ho avuto l’idea di lavorare su Pinocchio per il Premio Cairo – era primavera quando mi è arrivata la lettera d’invito e dopo aver parlato con il curatore, Luca Beatrice – per mesi mi sono documentata su tutto quello che era stato scritto, realizzato, pubblicato sull’argomento. Diversamente da Alice nel paese delle meraviglie, che è una storia che è stata molto interpretata anche dai fotografi, Pinocchio è stato in un certo senso quasi trascurato. Durante questa mia ricerca la scintilla è stata la lettura di Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli. Quello che mi ha colpito è come Manganelli, un autore che adoro, abbia tirato fuori l’aspetto magico ed esoterico. Pinocchio è attraversato da una serie di simbolismi, intanto nasce vegetale, poi diventa animale – trasformandosi in asino – ed infine umano. La figura dell’asino, poi, fa parte del percorso dell’iniziato. Ad un certo punto viene anche impiccato, ed è lì che il libro doveva originariamente finire. C’è anche tutta una serie di incontri che sono tante chiavi di lettura e che fanno capire come questa favola si fondi su conoscenze antichissime di magia. Di questa favola scura dove è sempre buio e piove – a Pinocchio capitano delle situazioni terrificanti – ho preso degli elementi simbolici, delle situazioni da poter rappresentare in una specie di hotel – il lavoro si chiama Hotel Pinocchio – in cui si entra e si possono aprire porte, stanze che hanno ognuna il numero di un capitolo del libro e, dentro le quali, si assiste ad una scena. Ho iniziato con la stesura delle piccole sceneggiature che precedono lo scatto, a cui è seguita la ricerca degli abiti. Per questo progetto ho avuto la fortuna di lavorare con una giovanissima stilista, Ida Nicolaci, che ha creato gli abiti per il set. Ida è stata eccezionale nell’interpretare i miei pensieri, tanto più che le parlavo di Pinocchio in termine di sentimenti. Arrivare allo scatto, per me, significa semplicemente concludere un percorso che da mesi mi circola nella testa, nel cuore, nelle ossa. Un percorso che sogno di notte e di cui non faccio altro che parlare con gli amici, che arrivano ad odiarmi per quello che diventa a tutti gli effetti una piccola ossessione». 
Alessandra Baldoni - (da Hotel Pinocchio) - 17-se è amara non la voglio - 2013 (courtesy l'artista)
Sempre alla letteratura ti sei ispirata per “Salva con nome”.
«Sono una grande amante della letteratura. Prima ancora che fotografa, mi definisco scrittrice. Sono nata, cresciuta, allattata dai libri, senza peraltro avere grandi studiosi in famiglia. Come dico spesso, la mia emozione è appesa al rigo della pagina più che all’immagine, la letteratura spinge l’immaginazione. Nei miei lavori cerco sempre di mantenere almeno un po’ di mistero, perché trovo che l’opera d’arte sia affascinante quando sussurra qualcosa, ma non grida tutto. Quando diventa una stampella su cui appendere qualcosa di proprio. Avevo in mente da tempo di realizzare un piccolo tributo a tutte le donne della letteratura che sono state mie compagne di viaggio. C’è chi affida il proprio destino ai Ching e chi, come me, alle pagine di un libro. Tra le scrittrici che mi hanno accompagnata ci sono Antonia Pozzi, Emily Dickinson, Virginia Woolf, Amelia Rosselli, Ingeborg Bachmann, Louise Glück. Ho iniziato questo lavoro, che vorrei portare avanti, attraversando queste donne, rileggendo le loro parole e lasciando che mi facessero compagnia di notte, che è il momento in cui leggo. Ho cercato di trovare delle frasi, dei loro versi che fossero per me rappresentabili visivamente.  Il titolo Salva con nome viene dal fatto che è l’operazione che facciamo quando scriviamo con il computer per salvare un file. Inoltre queste donne sono anche “salvate con il proprio nome”, nel senso che quasi tutte hanno sofferto la loro condizione di scrittrici e tutte sono state convinte che non sarebbe rimasto niente di loro, perché non c’era uno spazio per la loro voce che sarebbe stata sepolta da urla più potenti. Non a caso molte di queste autrici sono morte suicide. Il mio, quindi, è stato un voler restituire loro qualcosa, visto che il loro nome era arrivato a me». 
Quale è il confine tra vita privata e arte?
«È un confine labilissimo. Nel mio modo di essere racconto le mie scrittrici, quello che mi accade e spesso entrano nei set oggetti legati anche a delle mie storie sentimentali. Sono un sottocodice nel codice leggibile solo per una persona». 
Alessandra Baldoni - Volevo restare come ero ferma come il mondo non è mai fermo - 2013 (courtesy Studio Vanna Casati, Bergamo) Alessandra Baldoni - Quando infuocata come sono rimango, e amata dal fuoco - 2013 (courtesy Studio Vanna Casati, Bergamo)
Hai studiato filosofia, dopo aver frequentato il liceo classico. Il tuo approccio alla fotografia è da autodidatta, come nasce l’interesse per questo medium?
«Fotografo da quando mio padre all’età di 8 anni ha avuto l’idea di regalarmi la prima Olympus compatta. Che emozione quando l’ho rivista al Museo Alinari! Con quella macchina fotografica ho cominciato a fotografare tutto quello che mi circondava, anche i miei genitori e mio fratello. Qualche anno dopo – ero adolescente – ad un Natale è arrivata la prima reflex che mi portavo ovunque, sempre regalata da papà. Una volta, al liceo, durante un’occupazione ho smantellato la classe per allestire una mostra fotografica. Ho imparato facendo gli sbagli, scoprendo la camera oscura e fotografando senza una grande progettualità. Ma sono sempre stata molto curiosa, andavo a vedere le mostre, ricordo ancora la mostra-scandalo di Mapplethorpe a Venezia. La tecnica l’ho imparata da un “fotografo di paese”, Maurizio Dogana, che era molto bravo. Lo chiamo così perché era la definizione che amava dare di se stesso. Fotografava la banda, le manifestazioni, le persone ma portava avanti anche una sua ricerca. È stato da lui che, per la prima volta, mi è capitato tra le mani un libro di Diane Arbus e anche di Giacomelli». 
L’amore è il filo conduttore tra le tematiche che affronti.
«Esiste un argomento più interessante? Sono millenni che la poesia parla di amore, abbandono, desiderio, attesa». 
Alessandra Baldoni - Nell'incontro con la favola risiedevano i banditi - 2013 (courtesy Studio Vanna Casati, Bergamo) Alessandra Baldoni - Amore amore che cadi e giaci supino la tua stella + la mia dimora - 2013 (courtesy Studio Vanna Casati)
Hai parlato di letteratura e poesia come fonti d’ispirazione, quanto all’arte ci sono degli autori che ritieni i tuoi mentori?
«Tra i miei grandi innamoramenti, il primo è stato Giacomelli con quel suo modo di abbinare fotografia e poesia, poi ci sono Diane Arbus, Marina Abramović, Sophie Calle e anche Maria Lai. Mi piace molto anche il lavoro di Marzia Migliora: ogni volta che vedo qualcosa di suo penso “mannaggia, l’avrei voluto fare io!”. Poi ammiro Sabrina Mezzaqui e Silvia Camporesi, di cui sono molto amica. Sono tutte artiste che hanno un percorso coerente che si evolve, che ha la capacità di essere esteticamente aggraziato e concettualmente potente: una chimica non da poco». 
In giro per lo studio non mancano bottiglie di vino e champagne e c’è l’angolo della cucina che è molto ben attrezzato. Ti piace cucinare?
«Come vedi sono una donna di spessore… (ride) o, meglio, di peso. Amo moltissimo il cibo e non potrebbe essere altrimenti, perché ho una grande passione per tutto quello che è il piacere della vita e che va dal mio lago al bere una buona bottiglia di vino, all’essere circondata dalle persone che amo e alla cucina. Il cibo è soprattutto un’occasione di condivisione, tante cose nascono a tavola. Dividere il cibo e dedicarsi alla magia di costruire è qualcosa fondamentale».

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