29 giugno 2007

fiere_resoconti Art Basel 38

 
Seconda tappa del Grand Tour 2007: in scena il carrozzone del Basel Circus. Non quello con annesso zoo che si affaccia sulla Messe Platz, ma quello il cui tempio campeggia di fronte, sotto l’enorme orologio che inesorabile scandisce i minuti contati dei collezionisti...

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La placida e ordinata Basilea si trasforma per una settimana in una chiassosa e frenetica casbah, percorsa da lussuose vip car nere, taxi, filobus, monovolume navetta e natanti da diporto, carrozze a cavallo e persino risciò. L’evoluzione della specie ha generato il nuovo animale da fiera: abbigliamento a cipolla per muoversi in ogni condizione metereologica, mini ombrellino biposto, sgabello richiudibile da passeggio per i momenti di mancamento, marsupi hi-tech larghezza max cm. 30×30 (il massimo consentito dai gendarmi svizzeri all’ingresso della Messe), sneaker da trekking. C’è chi s’è presentato persino con il gilet tecnico multitasca da cacciatore, utile per infilare inviti e cataloghi laddove per solito finiscono beccacce e fagiani. Questione di sopravvivenza all’inossidabile Art Basel, nell’era dell’arte fatta e mangiata: ogni giorno gli stand si rifanno da capo a piedi e la fiera del giovedì non è mai quella del sabato. Merce fresca ogni giorno. L’invenduto finirà nei magazzini, negli archivi, nei book d’artista; “niente seconda chance” è la nuova regola delle gallerie, quasi mai disposte ad esporre la stessa opera in due fiere. Se non è buona la prima si ritira, l’indecisione del collezionista equivale alla bocciatura in tronco per mancanza di appeal.
Crudele? Spietato? È il mercato che si rinnova costantemente, proteso alla scoperta di talenti emergenti (dai soliti noti ai soliti ignoti), è il mercato dei giovani (che finiscono nelle aste a 30 anni o meno e rischiano, come Dana Schutz, di spuntare record a 240 mila dollari), è il mercato di tutti (60.000 visitatori solo ad Art Basel), è lo spettacolo dell’arte totale (dentro e fuori le fiere, per le strade e nelle piazze), dell’arte ovunque (anche sul web, tra videodocumentari e interviste su vernissage.tv, catalogo fotografico analitico completo su artnet.com, frutto di una collaboraUn dettaglio di Trenton Doyle Hancock (James Cohan) zione nata un anno fa e documentata su Exibart) e dell’arte del pluralismo (5 fiere quest’anno a Basel + la Print Basel e la Design Art Fair, con un paio di cordate sfumate per un soffio che ci riproveranno alla prossima). Ma non era questo che volevamo? Eppure quest’arte che si consuma prima di consolidarsi nella critica, quest’arte senza rete da ingerirsi senza masticare, lascia un sapore amaro e insinua il seme del dubbio sulla natura di ciò che abbiamo davanti. Alla fine della fiera bene ha fatto chi è riuscito a pacificarsi nei tanti, bellissimi musei svizzeri. Eccezionali le retrospettive di Robert Gober allo Schaulager e quella di Fischli & Weiss alla Kunsthaus di Zurigo, in arrivo dalla Tate. E per i patriottici c’era anche la nostra Micol Assaël alla Kunsthalle di Basilea.

Hall 2.1

La berlinese Contemporary Fine Arts abbina a 6 carte dipinte di Baselitz, graffianti da fare invidia a un ventenne, le pitture di Tal R, e le trasognate sculture, ancora inspiegabilmente poco capite.
Continua di San Gimignano gioca al rilancio su due tra i migliori progetti della sezione Unlimited: Carlos Garaicoa e Hans Op De Beeck (condiviso con Hufkens e Krinzinger): i suoi Small Landscape possono essere ammirati in versione large e coinvolgente all’Unlimited.
La sudafricana Goodman si fa trainare dalla personale al Fotomuseum di Winterthur per le foto di David Goldblatt. Per lei anche il videomiraggio Quake di Minnette Vàri, un arazzo e disegni dal 1980 di William Kentridge. Emi Fontana, tra Luca Vitone e il campo di granoturco di Sam Durant, Monica Bonvicini e Mike Kelly, mette in piedi uno stand di qualità ma poco organico e un po’ sfilacciato.
Rirkrit Tiravanija, Esto no es…, (Kurimanzutto)
Tra i video, pochi per la verità, uno dei migliori è l’ultima prova di Tracey Moffatt. Nello stand dell’australiana Roslyn Oxley9 Doomed è un collage suggestivo di disastri cinematografici montati in sequenza, sorta di apocalisse mediatica. Superata la svizzera Stampa, dove oltre i disegni anni ’80 della bestseller Marlene Dumas si vede una buona Dorit Margreiter, suoi i Master for sale, da Johnen+Schöettle ecco un nuovo lightbox di Jeff Wall, Church, Caroline St., Vancouver. Wall è reduce da un tour che lo ha portato dalla Tate al MoMa e proseguirà nei musei di Chicago e San Francisco. Per Monica De Cardenas Anne Chu, Struth e un Alex Katz-one museale di quasi 6 metri. Questa è forse l’unica fiera al mondo dove valga la pena di portare opere di tale importanza.
La tedesca Eigen + Art, dopo tanta pittura (sua la colpa della Leipzig School) offre la ribalta alla giovane scultrice di Friburgo Stella Hamberg, dall’espressionismo tanto potente quanto decadente. Victoria Miro punta tutto sul nuovo: nuove le foto di Doug Aitken, nuove le opere di Yayoi Kusama (ancora molto ispirata) e, tra gli emergenti, nuovi i dipinti psicozen di Suling Wang e, ancor meglio, i fotocollage della keniota Wangechi Mutu, una delle artiste africane più promettenti in circolazione. Per lei, in appena un anno, Triumph Of Painting, Usa Today, SITE Santa Fe, Biennale di Siviglia, Moma e Brooklyn Museum.
Andrea Rosen non poteva perdere il traino del padiglione canadese in Biennale con il re degli specchi David Altmejd mentre invece l’emergente pittore José Lerma si mostra un po’ affaticato. L’altra newyorkese Sean Kelly espone le migliori foto di Seydou Keïta e James Cohan la butta sull’estetica pura con l’Isolde’s Ascension di Bill Viola e i grandi paesaggi di Wenders ma non si nega i giovani: ottime le tecniche miste neopop di Trenton Doyle Hancock e le acide sculture di Folker De Jong.
Convincente la prova della romana Magazzino d’Arte Moderna. Vedovamazzei tra i Public Project su Messe Platz, Elisabetta Benassi ad Art Film , allo stand un angolo di galleria traslocato in tronco da Jorge Peris e l’ipnotico video Goong di Daniele Puppi.
Wangechi Mutu, Where My Strenght Lies, 2006, inchiostro, acrilico, fotocollage su mylar, cm. 228,6x137,2 (courtesy Saatchi Gallery)
La pittura cool di Peyton e Ruyter è la proposta dell’austriaca Kargl e il nostro Penone biennalizzato quella della londinese Frith Street. De Carlo non sbaglia con l’accoppiata Holdstad e Stingel, il colosso newyorkese David Zwirner imbastisce uo stand sontuoso con Isa Genzken, la tedesca che in Biennale vanta le maggiori code davanti al padiglione nazionale ed è presente anche a Münster nell’ambito di Skulptur Projekte, qui con alcune sedie a rotelle in linea con il progetto lagunare. Nuovi lavori poi per la campionessa delle aste Lisa Yuskavage, Michaël Borremans e per una Sue Williams più fumettistica del solito. Uno stand decisamente aggressivo.
Da Barbara Gladstone appare l’Anish Kapoor che non ti aspetti, con una serie di gouache dai delicati passaggi cromatici e accanto la tedesca di colonia Gisela Capitain sfodera Monika Sosnovska, che a Venezia ha stupito nel padiglione polacco, una Laura Owens in vena zen e tre paesaggi di Martin Kippenberger.
Non sono prive di fascino le vecchie foto ritoccate a biro di Seb Patane, con grandi parrucche ad oscurare i volti dei personaggi (Maureen Paley) e intrigano le composizioni a pennarello nero di uova e ombrelloni di Aleksandra Mir (Prats). Certamente tra le opere migliori di Yukio Fujimoto, da Shugoarts, sono i vinili dei Beatles cancellati da uno stereo che li fa girare sotto una spazzola d’acciaio. Già all’Arsenale di Storr, il resto dei lavori non pare all’altezza.
Sui nuovi classici punta Bonakdar con il sempre qualitativo Thomas Scheibitz (sua la grande tela 2007 Spierl der Verlierer) e lo scenografico Olafur Eliasson (Turbosphere, 2007).
Tra le curiosità ecco, da Paragon, le foto di crolli (sic!) del trendy-pittore Havekost e le belle incisioni su linoleum di Grayson Perry, che dimostrano quanto attuale possano Yoshitomo Nara, installazione allo stand Tomio Koyama essere anche oggi le tecniche grafiche.
Da Noire gli estremi si attraggono: se lo statunitense Fairey Shepard si ispira alla propaganda ex-sovietica dall’altra i biennalizzati AES-F rispondono con il video digitale visto al padiglione russo, commentato dalla colonna sonora del film USA dell’’81 Excalibur.
Ci sono i disegni di John Bock e nuovi dipinti onirici di Lari Pittman per Regen Project e la grande prova di forza di White Cube, con le nuove tele esoteriche dei 4 Evangelisti di Damien Hirst, il bronzo della serie Hogarth dei Chapman Brothers, una Doris Salcedo d’annata (2000) e ancora nuovi light box di Wall (seminati qua e là), a confermare la tendenza degli espositori a puntare sulle opere nuove, si tratti di artisti celebrati o emergenti.
La svedese Andréhn-Schiptjenko espone l’ultimo video 3L33T di Annika Larsson. Fa di più Tomio Koyama, che cambia artista ogni giorno. Non dispiacciono i delicati acrilici di Atsushi Fukui ma le attenzioni sono per i tanti Nara, qui anche con una curiosa casupola: case sugli alberi, palafitte e affini sembrano essere molto di moda, solo nella Messe Platz campeggiavano quella sgangherata di Vedovamazzei, quella specchiante di Elmgreen & Dragset e quella abbarbicata sul pennone di Tadashi Kawamata.
La butta sul patriottico la finlandese Anhava, con le foto della Helsinki School (bravi Kekarainen e Puranen), sul ridicolo il solito Wurm della Von Senger, teschi portabanane per lui. La galleria svizzera, che ha in corso la personale del nostro Sassolino, espone anche inedite foto di Krystufek.
Giò Marconi alterna una bella scultura di John Bock ai video in plastilina di Nathalie Djurberg, la tedesca Neu i recenti poster cinematografici del nostro Vezzoli agli interessanti totem vintage di Manfred Pernice. Si vedono la boutique Prada nel deserto, opera importante di Elmgreen & Dragset, da Perrotin, con la Sophie Calle candidata al Leone d’oro per il padiglione francese e le radiografie al Centre Pompidou di Eric Duyckaerts.
Vista dalla Messe Platz. In primo piano l’opera di Anish Kapoor (Lisson)
Visti da Lehman i lavori di Frank Nitsche, che contende a Scheibitz la palma per la nuova pittura aniconica tedesca, s’incappa nel bazar di lusso firmato Deitch Project. S’entra per il cesso, quello portato da Barry McGee, eccessivo e retorico, si continua con Swoon, meglio i suoi teatrini di trine, si chiude con il meglio: My Old Piano di Michael Goudry, opera del 2005 che rinvia alla tradizione del cinema comico americano.
Lavori recenti di Jonathan Monk se li gioca Kaplan, i contesissimi monocromi geometrici di Marc Grotjahn con un’installazione di Jim Lambie Anton Kern. Attenzione a Grotjahn, artista destinato a scalare le vette del mercato mondiale (anche da Blum & Poe).
Nel campo della fotografia Koyanagi mette insieme Sugimoto ai Ciliegi di Suzuki, buona la scelta di Metro Pictures di associare Louise Lawler, che con la fotografia fa sue le opere degli altri, a Cindy Sherman, molto meno quella di Munroe di dipingere lo stand di giallo (respingente).
Sadie Coles si segnala per il bel portone di Rondinone e il nuovo progetto ispirato alla principessa Sissi di Tj Wilcox (mostra in corso in galleria), la tedesca Carlier Gebauer per i video e foto cancellate di Paul Pfeiffer (qui Live Evil (Bucharest) del 2004), Sikkema Jenkins & Co. per Kara Walker, tra disegni, video e una installazione narrativa di sagomine, una chicca gustosa per i collectors. Una parete intera lascia Wallner all’eclettico, geniale e sottovalutato David Shrigley. Ancora giovane, ha inaugurato la moda dei disegni ironici e dissacranti. La differenza con gli epigoni è che lui è bravo anche con fotografia e scultura e non è cosa da poco. Prima o poi qualcuno se ne accorgerà.
Francesca Minini, vista dello stand con l’installazione di Riccardo Previdi “Walking clouds” nella sezione Statements
La milanese Zero non rinuncia alla linea minimale: dell’abbinata Bodzianowsky/Frosi, nella sezione Premiere, citiamo l’esperimento di levitazione… di stendibiancheria(!) del secondo. La slovena Podnar non poteva non dar sapzio al bravo e lucido Tobias Putrih (padiglione sloveno a Venezia) e c’è anche l’artista-inventore Csorgo. Kurimanzutto prima sciorina i big sudamericani Daniel Guzman, Orozco e Carlos Amorales e poi piazza un gesto critico di Rirkrit Tiravanija che, mutuando il Ceci n’est pas une pipe di Magritte, scrive Esto no es decoración. Con i prezzi che girano… ci mancherebbe altro.

Hall 2.0

Il Padiglione museale costituisce un po’ lo zoccolo duro e punto di forza della Messe. È questo il vero supermercato di musei e collezioni impegnative. I nomi sono consolidati e la qualità elevata.
C’è Hashimoto per la veronese Studio La Città, James Hopkins per New art Center e da Sperone l’ottimo Guillermo Kuitca (padoglione Argentino cubista a Venezia). Tra i Biennalizzati c’è anche la Duchessa d’Alba di Morimura (in mostra a Venezia alla BLM) da Luhring Augustine, dove si vedono anche nuove polaroid di Crewdson ed un Cabinet di Rachel Whiteread. Il nostro Penone replica invece daEgon Schiele, Bildnis Mime van Osen (Portrait of Mime van Osen), 1910, cm. 43,8x31,4 (St. Etienne) Pauli.
Si propongono tanti lavori di Rosenquist (collage, foto e fiori anni ’80-’90) da Aquavella, il reportage dal museo delle cere di Sugimoto da Gray, il Mac (1999) di Erich Fischl da Jablonka.
Klüser ripercorre la storia di Beuys, dai disegni del ’52 alle sculture dell’’85, Shafrazi dedica una retrospettiva ai soli ritratti di Warhol, Artiaco si ripara sotto il tettuccio di Ann Veronica Jannssen. Recente la sua personale in galleria.
Big dealer si spartiscono artisti big: la belga Hufkens Hans Op De Beeck, Gagosian sceglie Richter (bello il dipinto anni ’60) e il Twombly più in forma, Spruth ha Scheibitz e Gursky con i nuovi lavori, per la verità un po’ troppo da colossal cinematografico, McKee l’ormai pienamente rivalutato Phipilp Guston, LgM l’installazione di Murakami (fotografatissima), Hauser & Wirth gli oggetti di Paul McCarthy. Il giro si chiude ammirando il grande trittico di Bacon da Marlborough e alla ricerca delle chicche storiche: spunta un Monet, un Munch del 1895-98 dalla danese Faurschou e lo Schiele di St. Etienne.

Unlimited

Un po’ deboluccia la sezione Unlimited di quest’anno: talvolta sono gli artisti, ossessionati dal mercato, a denunciare dei limiti sul grande formato: il caso eclatante è Chris Johansson, che non va oltre la trasformazione dei suoi classici dipinti in una sorta di ottusa segnaletica (eppure lo ricordiamo negli Statements, qualche anno fa, con un godibilissimo castello di cartone), ma non convince neppure Cao Fei. La conoscevamo per i Cosplayers e il global hip-hop, la ritroviamo con una cervellotica installazione dove fa la curatrice per suo padre. In altri casi i nomi sono celebri ma con opere vecchie o straviste, che starebbero più a loro agio nei musei. Il tappeto di Carl Andre sembra messo lì per fare un favore alla galleria di casa Tschudi. L’Ononimo (1973) di Alighiero e Boetti per contentare in un colpo solo Gladstone e Sprüth Magers, L’expédition scintillante di Pierre Huyghe sta girando da anni nei musei di mezzo mondo (in Italia s’è visto a Rivoli nel 2004) e infine, di Gregor Schneider: c’è qualcuno che ancora non ha visto un pezzo almeno della sua Haus ur?
Diciamolo subito che per la scelta del migliore non ci sono storie: la passeggiata tra la neve notturna nel parco giochi di Hans Op De Beck si giova di forti effetti di suggestione, amplificati dal chiassoso contesto.
Kara Walker, Burning African Village Play Set whith Big House and Lynching, 2006, acciaio verniciato tagliato al laser, dimensioni variabili (ed. 28) (dettaglio di 22 parti) (Sikkema Jenkins & Co.)
Provocatorio e divertente è il confessionale per artisti di Sam Keller ed efficace la Basketball Installation di David Hammons ma citiamo anche il lavoro di Tatiana Trouvé che ha fatto così l’accoppiata Biennale-Basel. Vive in Francia ma è nata a Cosenza. Un altro che ha fatto il bis è Sirous Namazi (Nordic Pavillion a Venezia), qui con un’ottusa struttura niente male.
Evocativa è l’opera a volo d’uccello dal titolo De Còmo la tierra se quiere parecer al cielo (II), del cubano Carlos Garaicoa, e riuscito è il progetto site specific Atomimage, di Katharina Grosse. Tra i video si segnala The Casting, di Omer Fast, lavoro in bilico tra memoria e film, amore e morte, routine e incidente.

Art Statements e Public Art Project

Localizzata quest’anno nel Padiglione rosa 1.0 dell’Unlimited, verso l’uscita, la sezione per i progetti monografici di giovani artisti ne guadagna in visibilità ma ne perde in fruizione. Troppo angusto lo spazio dedicato ai 26 progetti selezionati tra oltre 250 candidature; il piano dello studio basilese Steinmann & Schmid puntava alla flessibilità, il risultato è a dir poco labirintico.
Le italiane selezionate hanno fatto bene il compitino: T293 con Jordan Wolfson, ormai avviato ad una carriera importante, Francesca Minini, alla quale va il riconoscimento di essere riuscita a portare l’unico italiano Riccardo Previdi, e Fonti, che ha puntato sulle sculture elettrosonore di Delia Gonzales & Gavin Russom. Progetto interessante che però nel mercatone della fiera lo stand finisce per somigliare ad una boutique dell’Hi-Fi.
Grayson Perry, Mr & Mrs Perry, 2006, linocuts, cm. 45,5x36, (ed. 21) (Paragon Press)
Vince il Baloise Art Prize la galleria Wien per il lavoro di Heague Yang, una sorta di traslitterazione in negativo dell’arte degli origami. Cenno conclusivo per la sezione dei Public Art Project, di particolare qualità quest’anno. Le monumentali installazioni sono diventate un po’ l’immagine dell’edizione 2007 della Basel fair: dallo specchio Anish Kapoor (Lisson), allo gnomo gigante di Paul McCarthy (Hauser & Wirth) fino al tir a grandessa naturale di Wim Delvoye (Perrotin). Tra i personaggi meno noti al grande pubblico, hanno meritato attenzioni l’autobus di Mike Nelson (Noero) e il rifugio di Tadashi Kawamata (Annely Juda).

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alfredo sigolo

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