22 gennaio 2009

ÉLITALY, BELLEZZA

 
di anita pepe

Spuntature, è proprio il caso di dirlo, nei cento passi che dividono il Lingotto, sede di Artissima, e l’ex fabbrica Carpano, sede di Eataly. Per scovarvi affinità e divergenze, fra stand artistici e gastronomici. Dove la fame impazza, reale o metaforica...

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I cento passi, o suppergiù. Senz’altro nessuno, nei giorni di Artissima, s’è preso la briga di misurare la distanza tra la Fiera e l’ex Carpano, dove non pochi si saranno concessi un break. Perché, dal gennaio 2007, in questa storica fabbrica di vermouth abita Eataly: Bengodi per Luculli postmoderni, affollato tempio del Buon Mangiare in un Bel Paese costretto a tirare la cinghia già prima della famigerata terza settimana. Paese dove il cibo è più che mai status symbol: i borghesi piccoli piccoli e i nuovi poveri si saziano col prosciutto cinese “resuscitato”, i radical chic del consumo intelligente e responsabile si scelgono una a una le lenticchie di Castelluccio e gentilmente le irrorano d’“olio bòno”, fieri d’aver riscoperto i sani, genuini sapori d’una volta, rigorosamente controllati e locali.
Paradossale e utopistico, in un mondo sommerso di merda da cielo, terra e mare. Anacronistico, in un’economia globale e geneticamente mortificata, e in un’Italia che, anche quando si tratta di salvare il palato nazionale, non esita a batterci la lingua straniera. Eppur coerente in tempi di Grande Crisi, al riaffacciarsi non tanto dell’indigenza reale, quanto del suo, più inquietante e ancestrale, spettro.
In fondo, per esorcizzare la fame, cosa c’è di meglio che stuzzicare l’appetito?
Il cibo diventa così ubiquo, in primis chez Sua Maestà la TV, dai canali monotematici alla rubrica culinaria cui ormai nessun tg rinuncia. Cibo mediatico, simbolico, incorporeo: non più masticato, insalivato, digerito, defecato, ma ammirato, annusato, degustato, esperito insomma con tutti i sensi, proprio come l’arte contemporanea; Davide Scabincaricato di orpelli estetici e di benefici medici, ma depurato del banale, plebeo principio di necessità e travestito da educazione alimentare per rimarcare le differenze di classe: da un lato, i benestanti istruiti e magri, che si nutrono correttamente senza lesinare sulla qualità; dall’altro, i poveri ignoranti e obesi, che mangiano male trangugiando porcherie discountate.
Cosa accadeva, dunque, nei giorni di Artissima, a quei cento passi o suppergiù di distanza? Accadeva che andavano in scena due facce di uno stesso elitarismo. I collezionisti cacciavano il tesoro tra i box delle gallerie, i ghiottoni lo inseguivano tra i “ristorantini” e le scansie di Eataly. Luoghi dove non si può arrancare con la sportina della massaia neorealista, ma occorre incedere col carrello cromato. Luoghi dove trionfa l’abbuffata, ma bisogna ostentare un affettato e beninformato less is more. Ricercatezza, non ricerca, tra gli scaffali come negli stand.
E poi non è forse vero che oggi i grandi cuochi sono star a molti zeri come i loro “colleghi” artisti? E che non s’apre museo senza caffé-ristorante interno pavesato di Stelle e Forchette e Cappelli? E non sono curiose le analogie tra il forbito pour parler della critica d’arte e la retorica enogastronomica?
Pazienza se in tanti, in quei cento passi o suppergiù al Lingotto si sono accontentati di leccare le vetrine, illusori affittuari di un benessere da sniffare, paghi d’aver trovato un altro non luogo (ma quanto più esclusivo e culturale del solito centro commerciale!) in cui trascorrere la giornata, soppesando la merce ben confezionata ed esposta dalle sirene del lusso, col pedigree vantato dall’etichetta (la prosapia della carota come le Biennali e i Turner Prize in curriculum) ma dalla filiera non sempre rintracciabile.
Luigi Ghirri - Lucerna - 1971 - courtesy Galleria Enrico Fornello, Prato
È già tanto se, con questi chiari di luna, qualcuno è tornato a casa con la scatoletta di bottarga. O con la foto cinquanta sessanta su forex, quella che, tutto sommato, poteva essere anche venduta senza le altre del trittico originale.

anita pepe


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 54. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

12 Commenti

  1. Capisco, l’importante è … esagerare, ma mai, ho letto in un “colpo” solo tante sciocchezze -diciamo così- su eataly. Domanda, semplice, semplice: ma l’autore (autrice), un “giro” ad eataly, l’ha mai fatto? Non sono un “radical chic” o chissà quale “ghiottone” ma un normale impiegato che ha scoperto che molti prodotti costano meno da eataly che in molti negozi di torino. Dimenticavo, i carrelli NON sono cromati, ma di plastica. Ricliclata.
    Saluti

  2. Cara Anita,
    ho letto tutto d’un fiato il tuo brillante articolo, e, fatta eccezione per qualche coloritura di troppo, che ci sta per carità, trovo che tu abbia colto perfettamente nel segno!
    Trovo che sia infelice, in un paese dove il 5% delle famiglie non ha soldi per il cibo, “pubblicizzare” in modo così eccessivo il valore della buona tavola.
    Amo la buona cucina, w la buona cucina, ma ricordiamoci che il cibo serve anche, e non ultimo, a NUTRIRSI per vivere. saluti.
    Monica

  3. Infatti, ma Anita è mai stata ad Eataly? Credo proprio di no, altrimenti non scriveresti certe cose. Li dentro ci trovi Marchionne ma anche il pensionato come il ragazzino che va a mangiarsi la pizza a euro 4.50.Certo che bisogna ‘nutrirsi’ ma se ci nutriamo anche di cose sane e magari rinunciamo all ‘iphone, forse è meglio. E non spendiamo molto di più. ciao

  4. Forse ci ammaliamo anche (e dico anche) perchè mangiamo porcherie o no? Io preferisco spendere 1 euro in più per un pacco di pasta, come di io, che mangiarmi certe “pennette” vetrificate…

  5. Eataly non è il paradiso terrestre, ma è la cosa che io abbia visto che più gli si avvicina. Anita, che te possino!!!

    PS. e basta con sta retorica delle famiglie che non arrivano alla quarta settimana, vedo famiglie spendere centinaia di euro al mese per mangiare pessimamente, vedo famiglie andare in oscene pizzerie da 25 euro a persona. Da Eataly si spende il giusto e la pizzeria costa la metà, ma è una delle migliori pizze d’Italia. Temo che oltre a molte persone con pochi soldi da spendere, ce ne siano altrettante con poca, pochissima, capacità di saperli spendere decentemente.

  6. bravissima anita! hai fatto centro come al solito! annaspando per dare a tutti i costi un ritorno commerciale alle nobili arti colte, spesso si smarrisce il senso del ridicolo e ogni collegamento con la realtà in cui viviamo

  7. Anita, non hai centrato proprio nulla…
    Ma NON hai risposto a questa domanda: CI SEI MAI STATA AD EATALY????
    O FORSE SI FANNO “RECENSIONI” A DISTANZA??

  8. Hello anita pepper! Your words are very nice and cute, io addoro spagheti, botarga, sopresata, carasau bread, ascolian oliva, aniello, pepperonata, parmiggiana, lasanie, buffalo mozarela, pizza, oh my god, pizza every time for me.
    E il vino, italian wine, OH MY GOD! Brunello, Morello, Vermentino, Barolo, Grignolino, Chianti, Dolcetto, hic
    And Italian Artist, THE BEST, Michelangiolo, Lionardo.
    E donne italianee, ooohhhh donne italiane, I LOVE ALL THEM, Loren, Lollobrigida, Cardinale, Magnani, Cucinotta.
    But italians solo un piccolo difetto, one little mistake my little Anita, mangiare troppo, too much fat! Of course they stop a terza setimana.
    Competition in life needs to be slim and fast!
    Italians, on a diet!!
    Kiss and hug from an American fan.
    Ted

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