19 maggio 2012

Il corpo contemporaneo dell’Ucraina

 
Dopo la cortina di ferro, l'isolamento e la vicinanza con Mosca hanno offuscato per diversi anni la realtà artistica e sociale dell'Ucraina. Ma oggi Kiev sta vivendo la sua nuova primavera con la prima Biennale che debutterà il 24 maggio. Ma forse, più che della singola manifestazione che s'iscrive nell'elenco delle “biennali politiche”, è utile parlare del clima che l'ha generata. Tra censure e voglia di riscatto [di Matteo Bergamini]

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Il Centro di Visual Culture Research dell’Università e Accademia Mohyla di Kiev, aveva messo in scena nello scorso mese di febbraio  la mostra “Ucraina Body”, una dissertazione sull’utilizzo del corpo nel contemporaneo in rapporto al Paese e alla politica dell’Est.                                                                            Alcuni pezzi non erano proprio politically correct: fotografie di donne svestite, alcuni disegni di uomini nudi di Anatoliy Byelov e una videoinstallazione di Mykola Ridnyi che mixava, in loop, le immagini di una vagina e del Parlamento ucraino, chiedendo al pubblico quale delle due icone fosse più irritante. 
Tre giorni dopo l’opening il presidente dell’Accademia, Serhiy Kvit, ha visitato la mostra. Tornandovi poche ore dopo e iniziando a spegnere video e a smontare installazioni.
Vasyl Cherepanyn, direttore del Centro aveva raccontato: «Ho chiesto a Kvit cosa stesse facendo,  e lui mi ha risposto con un insulto, dicendo che non si trattava di una mostra». Dal canto suo Kvit, ai media, che in Ucraina hanno dimostrato profondo interesse per la vicenda, ha risposto: «La mostra non è chiusa, è solo stata bloccata».

Fatto sta che l’esposizione non è più stata aperta, se non per alcuni giornalisti che hanno chiesto di entrare, e ha innescato un acceso dibattito sul tema della censura.
Una petizione di protesta contro queste azioni era stata firmata dal filosofo Slavoj Zizek e da artisti tra cui Artur Zmijewski (il curatore della Biennale di Berlino) e Sara Goodman, nonché dal mondo istituzionale, con Eric Fassin e John-Paul Himka che hanno rivendicato una «restaurazione della libertà accademica e artistica». 
«Credo che la chiusura di questa mostra sia la cosa più importante che è successa nell’arte contemporanea in Ucraina in questi ultimi anni» ha detto Kateryna Botanova, direttore del Center Foundation for Contemporary Art di Kiev, aggiungendo che la vicenda «dimostra che l’arte contemporanea non è sempre bella e glamour,  ma può essere sovversiva, luogo di incontro e discussione».

Ma la Botanova un po’ gongola, perché in Ucraina l’arte sta facendo passi da gigante e negli ultimi anni sono nate nuove istituzioni, commerciali e non, che hanno contribuito a portare avanti il panorama del contemporaneo. A partire proprio dall’Arsenal Mystetskyi, l’ex caserma che ospiterà la prima Biennale di  contemporaneo di Kiev, curata dal britannico David Elliott. Quattro sezioni, dallo “Spirito dell’inquietudine” a “Carne”, da “Il sogno agitato” a “Nel nome dell’ordine”, che formeranno il tema comune intitolato “Arsenal”, dove forse il riferimento a Venezia appare abbastanza chiaro. 
Ma c’è anche l’oligarca Victor Pinchuck, che nel 2006 ha aperto il Pinchuck Art Center e ha portato in città nomi che difficilmente si erano visti prima in Ucraina, da Gary Hume a Jeff Wall, dando spazio anche a giovani artisti locali. Parallelamente c’è stato lo sviluppo di una serie di testate e magazine sull’arte contemporanea, sorti in poco tempo, ma che già segnano il passo nel Paese: il sito web Korydor, gestito dalla stessa Fondazione per l’arte contemporanea (CCA) di Kateryna Botanova, e la rivista “Art Ucraina”, politicamente e culturalmente impegnati con il supporto di giovani artisti e curatori.
«Il nostro Paese non ha ancora una sorta di “marchio internazionale”, ma credo sia solo questione di tempo. D’altronde ci sono una miriade di artisti e situazioni interessanti in Ucraina» ha detto Pavlo Gudimov, ex membro della popolare rock band Okean Elzy e attualmente proprietario della Galleria Ya a Kiev.

Un riscatto che arriva oggi, dopo anni dalla fine della Guerra Fredda e dal crollo dell’Unione Sovietica: «A Mosca, la scena delle gallerie d’arte e il mercato del contemporaneo sono apparsi prima che a Kiev. I nostri migliori artisti, in passato, sono stati presentati a livello internazionale attraverso le gallerie russe», riferisce Oleksandr Soloviov, curatore capo e vice direttore del Mystetskyi Arsenal. E ancora oggi, in effetti, gli ucraini che si vendono a Basilea o a Dubai appartengono a gallerie moscovite.
Ma c’è speranza nel Paese dell’Est, eccome! Quando l’Arsenal  Mystetskyi sarà completamente aperto, nel 2014, avrà a disposizione oltre 60mila metri quadrati per diventare uno dei centri d’arte contemporanea più interessanti al mondo. Anche se i più critici già si chiedono però come iniziare una collezione, quali strategie usare per programmare la nuova vita dell’ex caserma. Ma di questo forse si potrà cominciare seriamente a parlare vedendo i numeri, e l’affluenza di pubblico, all’indomani della Biennale della città, che apre il prossimo 24 maggio.

Restando ancora sulle critiche, non si è risparmiato nemmeno il Pinchuk Art Center che, a detta dei detrattori, promuove mostre dedicate solo ad artisti internazionali e non effettua una “didattica dell’arte”: molti visitatori, digiuni di contemporaneo, frequentano l’istituzione, aperta nel 2006, solo perché “trendy”. 
Per gettare benzina sul fuoco vi basti sapere che due star della prima Biennale dell’Ucraina, un parterre totale di 100 artisti, saranno Yayoi Kusama e Paul McCarthy: l’artista giapponese presenterà una grande installazione a forma di tunnel, costellato di “dots” di colore rosa e nero, ispirata alle strutture degli anni Sessanta, mentre McCarthy presenterà The King (Il Re) 2006-2011, un autoritratto scultoreo senza veli, metafora del potere. Giusto per rimanere in tema censura.
Ma dove non accade che si presentino “masterpiece” universalmente riconosciuti? Il Direttore artistico del Pinchuk,  Eckhard Schneider, infatti, dissente: «La cosa più importante è condividere le opere. Il centro d’arte assegna anche un premio artistico aperto ad artisti di tutte le nazionalità». Lo scorso anno il vincitore era stato un giovane concettuale ucraino, Nikita Kadan, inserito anche in “Ucraina Body”, la mostra incriminata.

Dal canto suo Elliott ha costruito teoricamente la Biennale partendo dalla storia del Paese dell’est, dalla crisi del socialismo all’idea di spazio pubblico, mettendo in scena anche una contestazione dell’egemonico sistema occidentale che ha considerato la libertà, la democrazia e i diritti umani un’appendice del potere. Dunque, anche in questo caso una sorta di critica ai modelli fino a ieri (e forse ancora, nonostante tutto) di riferimento. Magari meno arrabbiata rispetto alla “Forget Fear” di Berlino e più mainstream, ma forse in Ucraina serve anche questo approccio. 
Per tenere alto l’ottimismo di un mood agguerrito ma non eccessivo, che sondi criticamente l’aspetto censorio che ancora affligge il Paese, come del resto molti stati dell’Ex Unione Sovietica, tra cui la protesta dei giovani cattolici a Cracovia per l’allontanamento dalla Polonia della “scandalosa” Katarzina Kozyra. Una scena artistica neonata, di cui i creativi sono i promotori più positivi: «Accadono davvero tante cose in questo momento. Naturalmente alcune sono criticabili, certo, ma l’importante è che si stia creando una piattaforma dove possano arrivare nuovi artisti e una scena che diventi attiva e produttiva per il contemporaneo ucraino». Parola di Alevtina Kakhidze. Naturalmente artista.

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