07 febbraio 2014

La strana storia del Palladium e Romaeuropa. Ecco il resoconto della conferenza-fiume di oggi, all’Opificio Telecom di Roma

 

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un momento della conferenza di stamane, all'Opificio Telecom Italia
Ci sono tutti alla conferenza convocata dalla Fondazione Romaeuropa per chiarire la loro versione dei fatti sugli avvenimenti degli ultimi giorni del teatro Palladium. Tutti tranne i rappresentanti delle istituzioni locali.
Ma facciamo un breve riassunto: la storia tra Romaeuropa e Palladium inizia 10 anni fa, ad opera della Università Roma Tre, che gestisce il teatro, ma ne affida la direzione artistica alla Fondazione.
Portano in un piccolo spazio di quartiere artisti di fama internazionale, che affidano a Romaeuropa il proprio lavoro, perché si fidano di un’istituzione che da 28 anni dà lustro al panorama teatrale contemporaneo internazionale.
Tutte le 10 stagioni si sono create in stretto rapporto con le istituzioni e l’università, con la forte convinzione che «prima viene la programmazione artistica, il progetto culturale, che è fatto da diversi fili autonomi e che ogni volta vengono condivisi» come afferma il direttore di Romaeuropa, Fabrizio Grifasi.
Fili costituiti dalle diverse realtà che avevano trovato una casa nel teatro di Garbatella, come i progetti di Teatri di Vetro, Nufactory e Fondazione Bellonci, la scuola popolare di Musica di Testaccio ed altri progetti legati a Roma Tre e al Municipio che hanno usufruito del supporto tecnico, mediatico, nonché del personale della Fondazione.
Lo scorso ottobre la doccia fredda: non ci sono più soldi per il Palladium: senza garanzie di continuità, e di sostegno, la Fondazione si trova costretta ad attendere nuove, che arrivano il 30 gennaio. 
Dopo una serie di incontri, il Vice presidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio e l’assessore alla cultura di Roma Capitale, Flavia Barca, decidono di far tornare nelle mani dell’Università Roma Tre il teatro, e che questo verrà rilanciato attraverso un programma di formazione nel campo delle professioni dello spettacolo e della cultura. 
I dubbi e i timori di Monique Veaute, Presidente di Romaeuropa, sono a questo punto legittimi: quali sono stati gli elementi che hanno convinto le istituzioni ad intervenire in una operazione di rilancio, chiaramente non necessaria?
La Fondazione Romaeuropa come altre che operano sul territorio, è una fondazione privata, che ha però funzione di servizio pubblico, e che attraverso le centinaia di spettacoli ed eventi proposti negli anni ha fatto anche formazione. Insistere sul valore della cultura come motore di una nuova crescita è quello che si ripete in ogni dibattito, ma a Romaeuropa è realtà. 
Il festival ogni anno si autofinanzia per il 45 per cento della spesa, attraverso un modello esemplare di ricerca di partner e sponsor, che però non basta. Per sopravvivere e garantire stabilità alle persone che sono dietro le quinte è necessario che le istituzioni intervengano, ma le sovvenzioni devono essere volano per mettere in moto altre risorse.
Cosa succederà quindi? Intanto lo spettacolo di Emma Dante è sold out ogni sera, ma chiuderà il 9 febbraio. Il 12 la Fondazione deve riconsegnare il teatro a Roma Tre. A quel punto sarà stallo. C’è uno stato di confusione sospetta che aleggia intorno a questa storia. Il rischio è che il teatro rimanga chiuso, se non per sporadiche occasioni di intervento dell’università stessa, che per mancanza di fondi, personale e competenze, difficilmente potrà assicurare a tale spazio lo stesso splendore di queste 10 stagioni.
Il motivo di questa scelta è ancora meno chiaro, ma è facile ipotizzare che dietro la parola “formazione” si nascondano una serie di possibilità di fondi, donazioni e diverse tasche che vorranno appropriarsene, come già accaduto in altre regioni italiane. La formazione poi, in un Paese che non ha luoghi dove è possibile operare, crea solo altri disoccupati dal curriculum eccellente.
Ancora più facile fare il parallelo con quello che avviene da 9 mesi al MACRO, ed è proprio Bartolomeo Pietromarchi ad intervenire affermando che «la percezione è quella che non ci sia da parte della politica alcun progetto», o come si chiede Veaute: «Si preferisce ritornare a un modello dirigista dove tutto il controllo è esercitato dalla mano pubblica? Ma per quale politica culturale? Chi l’ha capito? Crediamo di aver contribuito, in questi 28 anni, alla crescita di una Roma viva, attenta al contemporaneo, creativa, forte dei suoi artisti e di un pubblico impegnato e curioso». 
Insomma, le istituzioni pubbliche non potrebbero permettersi di prendere del tempo, poiché ciò implica una danno incredibile in termini di perdita delle risorse, anche private che le sostengono. 
Di fronte alle rinnovate richieste di dimissioni della Barca, giunte da più parti e da grida di rivoluzione alla Occupiamo il Palladium, ci si interroga su quale potrà essere la soluzione dell’intreccio, sperando che per una volta la meritocrazia prevalga. (Roberta Pucci) 

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