27 giugno 2014

Manifesta con riserve

 
Boicottare Manifesta? Operazione inutile. Perché la stessa biennale non boicotterà nulla di quello che si ripromette. A poche ore dall’apertura al pubblico della mostra all’Ermitage riflettiamo sui motivi delle polemiche che hanno accompagnato questa decima edizione, con l’aiuto di due voci che alla “dissidenza” sono molto vicine, ma che stavolta hanno visioni un po’ contrastanti: Fabio Cavallucci e Marco Scotini

di

Ermitage, San Pietroburgo

Viene in mente il titolo di una vecchia Biennale di Venezia: “Sogni e conflitti. La dittatura dello spettatore”. Era il 2003, e la direzione era di Francesco Bonami. Si voleva mettere in scena il risultato tra il “sogno estetico e il documento del conflitto”.
Quello che accade oggi a San Pietroburgo, con l’opening della decima edizione di Manifesta, non sembra molto distante dalle parole che abbiamo appena menzionato, e il clima è acceso da mesi. Come ormai ben sappiamo l’annuncio di portare la biennale europea itinerante in territorio sovietico, all’Ermitage di San Pietroburgo, ha fatto storcere il naso a molti: perché portare l’arte, e dunque la “libertà”, in un Paese che di libertà non ne vuole sapere? Questo il messaggio sotteso dietro gli schieramenti che hanno condannato – giustamente – le politiche del regime di Putin, la mancanza anche solo di sensibilità nei confronti del tema dei diritti civili, le invasioni e il conflitto in Ucraina, solo per citare gli avvenimenti più recenti e senza passare per l’affaire Pussy Riot, per esempio, o nei pasticci diplomatici durante le olimpiadi di Sochi. 
Ma allora perché si fa questa “edizione speciale” all’Ermitage? Kaspar König, che in curriculum vanta -solo per dirne una – la creazione dello Skulpture Projekte di Müenster, aveva dichiarato: «Manifesta si farà all’Ermitage per difendere il territorio dell’arte, evitando provocazioni economiche e isterismi». Era primavera, e la notizia era il ritiro di alcuni partecipanti inizialmente “schierati” per questa edizione, che poi sono ritornati sui loro passi come per esempio il “dissidente” anni ’90, Oleg Kulik, diventato celebre nel mondo per la famosa performance a mo’ di cane, nudo e ringhioso. 
Oleg Kulik - Dog Hotel - 1999 - installazione video - m 12x3x2 - courtesy Galerie Rabouan Moussion, Parigi

«L’arte dovrebbe superare le barriere politiche, non essere uno strumento di ulteriore divisione. Per questo non sono d’accordo con quegli artisti che hanno firmato una petizione per boicottare Manifesta in Russia a causa delle vicende Ucraine. Una manifestazione artistica libera e indipendente dovrebbe servire a rilanciare le idee di libertà e di democrazia», spiega il neo direttore del Museo Pecci di Prato, Fabio Cavallucci, che nel board di Manifesta è stato dal 2006 al 2011. 
Mikhail Piotrovsky, direttore del museo di San Pietroburgo aveva invece ribadito che «quando l’arte contemporanea viene attaccata da tutte le parti, come è il caso della Russia di oggi, è giusto che venga messa in una “torre d’avorio”». Un canile di classe, quindi, paragonando la situazione con la vecchia performance di Kulik. «Pochi in Russia hanno accolto Manifesta: non sono le Olimpiadi, ma l’importanza di tenere questa biennale supera i rischi», aveva ribadito Piotrovsky. 
Fabio Cavallucci

Insomma, in apparenza può sembrare una biennale col bavaglio anche se di nuovo Cavallucci, su questo punto, è molto cauto: «Impossibile parlare dei contenuti di una mostra prima di averla vista. Spero che Manifesta non si sia fatta censurare. L’Ermitage è un luogo istituzionale, certamente, ma il suo direttore è persona molto determinata: la mostra dei Chapman brothers che aveva destato un largo scandalo è rimasta aperta per sua decisione. Ma potrò dire qualcosa di serio su questa Manifesta solo tra qualche giorno, dopo che sarò stato a San Pietroburgo».
Quel che è certo è che tra i nomi dei 57 partecipanti ci sono dozzine di big mondiali: Boris Mikhailov, le pittrici Marlene Dumas, Nicole Eisenman e Maria Lassnig, esposte nelle sale di Henri Matisse del Palazzo d’Inverno; Thomas Hirschhorn, Francis Alÿs, Paola Pivi, Lara Favaretto, Joseph Beuys, Bruce Nauman, Gerhard Richter, Ragnar Kjartansson, Alexandra Pirici, Emily Newman, Jonathan Platt, solo per citarne alcuni. E anche, appunto, La danza di Matisse. Molti hanno realizzato opere ad hoc, come la Dumas per esempio, che ha lavorato sulla tematica gay con disegni di famosi uomini omosessuali, allargata ad includere anche coloro che invece hanno paventato la loro eccessiva eterosessualità. Ma il Presidente, probabilmente, non lo saprà.
Marco Scotini

Di una mancata mission “eversiva” di Manifesta parla anche Marco Scotini, che da anni porta avanti una pratica curatoriale che indaga arte, attivismo politico e poetiche della “ribellione”: «Se mai Manifesta ne avesse avuta una, l’ha perduta a Cipro nel 2006. Sicuramente ha giocato molto del suo successo sulla retorica della trasformazione, dei network sociali, delle zone scisse verso cui voleva intervenire con la riunificazione. D’altra parte Manifesta vuole sorgere sulle ceneri del Muro di Berlino e della riunificazione tedesca e europea: ne vuole essere portavoce. Dopo di che se interviene nei Paesi Baschi il suo slogan è introspettivo (si chiede di chiudere gli occhi e guardarsi all’interno), se interviene a Cipro fallisce ed è costretta a cancellare l’edizione. Se interviene nel conflitto tra fiamminghi e francesi fa una mostra sul carbone. Che cosa aspettarsi dall’edizione russa? Non credo in questo caso ci sarà una mostra sul petrolio, e già è un segnale positivo. Che dire? Manifesta farebbe bene ad affermare che è interessata a estrarre economie dai bacini a cui può attingere di volta in volta. Questa è una mission totalmente opportunista e postfordista che la rispecchia in pieno». 
Chto delat? - The Songspiel Tryptich, Perestroika Songspiel. The Victory over the Coup - 2008 - still da film - 26’30’’ - courtesy gli artisti

Ma ancora König, sempre poche settimane fa, aveva messo un’altra pezza: «Non posso risolvere tutti i problemi del mondo così vicino all’apertura, devo proteggere tutti gli artisti che ho invitato e devo lavorare nell’interesse del pubblico. Ho subito detto di sì, ma non ero sicuro di vincere. Con Manifesta si vuole creare qualcosa che sia interessante per il futuro e che non riguardi il passato. È un’espressione di gratitudine». Il riferimento era, anche in questo caso all’abbandono, a marzo, del collettivo Chto Delat, artisti, critici e filosofi russi, usciti dalla Biennale insieme a Paweł Althamer.
E proprio sui Chto Delat è ancora Marco Scotini a raccontarci un aneddoto: «Nel 2005 Manifesta Foundation mi ha invitato a San Pietroburgo a parlare di Disobedience Archive per tre giorni. Allora erano con me gli amici del gruppo Chto Delat: adesso proprio loro si sono messi a boicottare Manifesta che accetta di partecipare: segno che qualcosa in questi 9 anni è mutato radicalmente in quella regione. Ma come si dice? The show must go on».
Henri Matisse - La Danza. Composizione n. I - 1909 - acquerello su carta - cm 21.9x32

E la storia che il potere abbia paura dell’arte, e per questo la censuri? Smentisce una volta per tutte Scotini: «Il potere ha sempre paura di chi lo smentisce, di chi lo insinua, ma non certo dell’arte. Tanto meno di quella proposta da Manifesta. Viviamo su una vecchia distorsione umanista che ci fa affermare che l’arte e la cultura stanno per statuto dalla parte buona. Entrambi invece hanno spesso come compito quello di mantenere lo status quo e legittimarlo. Basta vedere come si è posta Manifesta nel contesto russo: ha scelto un museo come l’Ermitage, un curatore super-mainstream. Ha accettato integralmente tutto quello che ha trovato. Potenzialmente tutti i territori per l’arte sono territori del conflitto quando questa è emancipativa e non decorativa. Dunque siamo chiamati continuamente a negoziare censure di tutti i tipi. Esistono però momenti in cui è necessario dire “No” per poter continuare a fare cultura attiva, e questi momenti fanno parte ormai della nostra quotidianità. Non c’è bisogno di finire sotto Putin per abiurare».
Dunque niente fucili schierati e mani sul fodero dei coltelli. Piuttosto appare evidente che la messa in scena della Biennale nell’oltrecortina di oggi appare come una sorta di passaggio obbligato per la sua “contemporaneità”. E l’alimentazione ideale per far crescere il suo grande successo, of course. Perché l’importante è che se ne parli, giusto?

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