17 febbraio 2015

Una serata di coinvolgimento sensoriale: da AlbumArte “From here to Eternity”. Tre domande all’artista Chiara Mu

 

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Apre domani, da AlbumArte, la mostra “From Here to Eternity” di Chiara Mu.
Vi avevamo raccontato il progetto di crowdfunding, per la realizzazione dell’idea e di un web documentary per documentarne la concretizzazione, in un’opera che non è da toccare, ammirare e anche rivendere, ma qualcosa che ha un valore diverso: entrare in relazione diretta con l’artista, durante il processo di creazione. Ce lo racconta l’artista, e il consiglio è di non perdervi l’appuntamento.
Ci racconti come è nato il tuo progetto per AlbumArte, con l’idea della performance-personalizzata per il pubblico-donors?
«Il progetto per AlbumArte è nato seguendo l’impostazione che definisce la mia pratica artistica fin dalle origini, ovvero quella di produrre interventi site-specific in cui la considerazione dello spazio, le dinamiche del contesto e le eventuali richieste poste in essere da chi mi ospita sono alla base della produzione del lavoro. Cristina Dinello Cobianchi – presidente dell’Associazione, e Maria Rosa Sossai – direttrice artistica, mi hanno chiesto di produrre un progetto che fosse espressamente performativo e lavorando sullo spazio fisico di AlbumArte è nato “From Here to Eternity. Esercizi di visione per un visionario visitatore alla volta”. Cerco con questa mostra di rispondere a un mio quesito ricorrente: “Può uno spazio performare o possiamo noi performare uno spazio?” cercando di porre nel mio lavoro Architettura e Performance in costante dialogo. La mostra inaugurerà il 18 febbraio con un evento “corale” ma personale per divenire – fin dal giorno dopo – un intervento performativo relazionale per una persona alla volta, attivato da me ogni settimana dal mercoledì al sabato fino al 1 aprile. Pratico da anni una dimensione performativa dedicata a un fruitore alla volta, convinta che la relazione tra artista e viewer sia effettiva nel caso in cui si creino condizioni reali per un mutuo scambio e una mutua esposizione del sé. In questo modo permetto all’opera di cambiare nel suo divenire, proprio perché in grado di accogliere chi vi partecipa. Il progetto di crowdfunding “Esercizi di Visione” – da me fortemente voluto per sostenere una parte delle spese di post-produzione della mostra – vuole sottolineare l’aspetto “dedicato” che molti dei miei lavori sottintendono quando aperti ad una perfomatività relazionale. Ho creduto che fosse logico mettere al centro della campagna il fatto che in cambio di donazioni non si offrono oggetti ma, coerentemente con la mostra, si offrono tempo e spazio, ovvero la possibilità di osservare la realtà con altri occhi: i miei. Nel caso della mostra lo spazio che la ospita è il fulcro dell’osservazione, nel caso della campagna si tratta della città che ci accoglie».
Se dovessi ripensare agli ultimi step di “From here to Eternity” useresti ancora il metodo del crowdfunding? Quali sono i limiti e le possibilità che vedi come artista di questo sistema diventato più che popolare in un arco di tempo brevissimo? 
«L’idea di attivare la campagna di crowdfunding è nata da una pura esigenza materiale ma è divenuta, mentre la pensavo, una chiave di volta concettuale nella mia testa. Ho considerato quanto fosse rilevante per la mia ricerca poter associare al concetto di denaro/valore/scambio il concetto di performance/effimero/non riproducibilità/non collezionabilità dell’opera. Ho dunque inteso il crowdfunding come una possibilità orizzontale – per quanto si partecipi solo se in possesso di un account paypal – e diretta per investire sul paradosso di acquisire un’opera esperienziale ogni volta diversa che esiste solo in virtù della memoria e del racconto di chi la vive. Il 28 di gennaio scorso si è tenuta poi ad AlbumArte una tavola rotonda con esperti di Performance Art, collezionisti e responsabili preminenti dell’Arte Contemporanea romana al fine di conversare criticamente proprio su questa possibilità (o impossibilità?) a cui, a mio avviso, dovrebbe aprirsi il mercato dell’arte attuale. L’intento era riflettere su una reale valorizzazione del performativo nel suo accadere invece di contemplare esclusivamente l’usuale commercializzazione della documentazione da questo prodotta.
Riflettendo sul meccanismo del crowdfunding, è chiaro che questa modalità di finanziamento dal basso permetta una libertà reale nel proporsi, eppure comporta difficoltà inaspettate per i neofiti. Confrontarsi con i meccanismi comunicativi della rete non è semplice, reiterare sempre lo stesso messaggio cambiando ogni volta le forme – è imperativo attrarre visione costantemente – diviene un impegno continuo e meccanico senza risultati realmente commisurabili. Ma la chiave che ho adottato è tentare e imparare da ogni passaggio, accettando di assillare il prossimo anche quando ci si sente molto poco simpatici e davvero, ma davvero apprezzando tutti quelli che offrono un margine di attenzione. Quando donano poi l’emozione è indescrivibile»!
Puoi anticiparci cosa accadrà durante l’opening del 18? 
«L’opening del 18 prevede il tentativo di articolare un discorso “sensibile” intorno alla materia non organica. Ho preso come riferimento lo spazio di AlbumArte nella sua fenomenologia architettonica, con l’intento di evidenziarne le componenti salienti e di restituirle performativamente e poeticamente ai visitatori. Non esisterà foglio di sala, si chiede pertanto a chi entra di lasciarsi coinvolgere e permeare da ciò che accadrà, offrendo esercizi di visione e ascolto per circa tre ore, dalle 18.30 alle 21.30. L’invito è di farne tesoro e portare a casa con sé un’esperienza sensiva dello spazio».

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