Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Grazie, grazie e ancora grazie. Pacato, accanto al Presidente Paolo Baratta, il direttore alla Biennale Okwui Enwez, inizia la sua conferenza di presentazione della 56esima Biennale parlando del «Priviliegio di lavorare qui, in una manifestazione che ha contribuito alla storia dell’arte e della curatela, e dove ogni curatore sogna di lavorare».
Solo alla fine dello speaking Enwezor ricorda i suoi “filtri” nella concezione della manifestazione, concepita come terreno per posizioni che traccino in maniera chiara le ombre della storia, il respiro della modernità seguendo le teorie di Walter Benjamin e di Karl Marx, con la lettura del Capitale nell’Arena, «spazio per un lavoro comune»; che sia riconciliazione tra il tempo dell’esposizione e il futuro dei progetti, e che mostri un grande numero di proposizioni, di lingue e linguaggi, per un’arte fisica.
Lo abbiamo visto, in effetti, partendo proprio ieri dall’Arsenale.
«La Biennale è platea dell’interpretazione e anche della contestazione di questo tempo; e l’arte un sistema di sogni, di analisi, di conoscenza», ricorda Enwezor.
E poi via: grazie a Paolo Baratta, per aver creduto nel progetto, all’incredibile team della Biennale, a David Adaje e dal suo “luminoso” contributo, a Chris Rehberger per il design del catalogo. E a chi gli chiede cosa si prova ad essere il primo curatore africano a Venezia? Semplicemente che «Sono 25 anni che la mia pratica critica si occupa di “possibilità». Di ogni colore e forma verrebbe da dire, e meno male. Buona Biennale a tutti.