08 maggio 2015

Venezia/Padiglioni. L’Olanda celebra il suo maestro, Herman De Vries, tra natura, uomo e divenire

 

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Branca fondamentale e sistematizzante del sapere, la tassonomia è una tecnica di analisi che non può lasciare molto spazio all’immaginazione, perché il suo obbiettivo è ordinare la realtà definendola. Niente di più lontano da quell’oggetto del pensiero impossibile da determinare che è l’arte. Eppure, da più di mezzo secolo, Herman De Vries (1931) gioca visivamente con questo concetto, prelevando elementi dal regno della natura per isolarli come opere. Negli anni in cui Borges e Foucault stavano portando alla vertigine l’indagine sull’architettura della conoscenza, l’artista di Alkmar mostrava come la chiarezza profonda delle cose e la forma antropica dell’estetica potessero contaminarsi in un’enciclopedia armonicamente semplice.   
Così, per To be al ways to be – il padiglione olandese curato da Colin Huizing e Cees De Boer – De Vries, ancora una volta, mette in pratica il motto natura artis magistra, trasformando gli spazi di Rietveld in un laboratorio cristallizzato, nel quale steli essiccati, petali profumati, legni carbonizzati, pietre ruvide e sfumate polveri terrose, sono accordati in una euritmia sensoriale che pone l’esistente nella categoria della purezza. Nulla di nuovo o di destabilizzante, siamo lontani dalla narrazione frammentaria e di impatto enigmatico di Mark Manders, l’artista scelto dal Mondriaan Fund per la precedente Biennale. Ciò che interessa a De Vries, però, è il materiale dell’esistente di per sé, disposto con raffinatezza visiva ed eleganza formale. 84 tableau di altrettante terre raccolte in diverse parti del mondo e sfregate su carta, tronchi bruciati, pietre dalla conformazione articolata, un tappeto circolare di rose damascene, esemplari di flora prelevata dalla laguna veneta, una distesa di falcetti da raccolta, strumento ancestrale del rapporto uomo e natura, creano un habitat più che un percorso espositivo, nel quale l’atmosfera percettiva è limpida, nuda. Tra l’odore dolciastro dei fiori e le venature secche del carbone, si diffondono le tracce della presenza di una materia ancora vivente che, sezionata dall’operazione artistica, si rivela come parte di una storia in divenire. (Mario Francesco Simeone)

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