30 maggio 2015

Riaprite la moschea a Venezia! Ma la stampa si scaglia contro l’opera di Büchel, e Okwui Enwezor non prende posizione

 

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Venerdì scorso le autorità veneziane hanno chiuso la moschea di Christoph Büchel, realizzata dall’artista svizzero in una chiesa sconsacrata come progetto del Padiglione Islanda alla Biennale. Le motivazioni di questa decisione, preannunciata da prima della sua apertura, non sono ancora ben chiare: sembra infatti che l’originale installazione non avesse i permessi sufficienti per accogliere un così alto numero di visitatori.
Secondo molti in realtà la spiegazione è da rinvenirsi invece in una sempre più crescente islamofobia da parte del mondo occidentale. Nonostante queste premesse l’apertura della moschea, la prima della storia nel centro di Venezia, è stata rilassata e piacevole, con tanto di rappresentanti della comunità musulmana locale e islandese, a sottolineare l’importanza del progetto.
Büchel e gli organizzatori sostengono che, seppur con difficoltà, avevano fatto rispettare tutte le normative del caso, e hanno fatto appello contro la decisione delle autorità. La cosa veramente deprimente di tutta questa storia è stata la reazione della stampa e il silenzio assordante di Okwui Enwezor, che a parole aveva sempre difeso l’idealismo politico dell’arte. E adesso? Nemmeno un commento sulla chiusura dell’installazione. I media dal canto loro non ha risparmiato opinioni taglienti, qualcuno ha accusato l’iniziativa di essere banale e poco autentica, altri, come la fondatrice di The Art Newspaper Anna Somers Cox, hanno addirittura rincarato la dose affermando che Büchel “ha giocato con il fuoco”. Ma insomma, non è proprio questo il ruolo dell’arte?

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