21 settembre 2015

Sulle tracce di Carol, grazie ai giovani. Per un mese a Torino si scopre un “PanoRama” ispirato alla grande artista. Olga Gambari ci racconta il progetto

 

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Cosa lascia un artista alle generazioni future? Senz’altro un’eredità. Qualcuno poi ne saccheggia i tratti, per altri si tratta solo di ispirazione, per alcuni invece la vicinanza è quasi inconsapevole, ma permeata di tematiche simili a quelle sviluppate, magari decenni prima, dal Maestro. Perché questo preambolo? Perché in questa storia torinese (che inizia tra tre giorni) c’è la grande Carol Roma come monito, e una serie di giovani artisti che, appunto, sembrano essere pervasi della natura poetica – e non filologica – di questa grande artista, tanto da poterne costruire intorno un “PanoRama” contemporaneo. 
Ecco un progetto che, per un mese, porterà in sei gallerie (Burning Giraffe Art Gallery, Opere scelte, Pepe Fotografia, Van Der, Moitre, Nopxnel) quartiere Vanchiglia, Silvia Argiolas, Francesca Arri, Guglielmo Castelli, Lin De Mol, Michela Depetris, Greta Frau, Andrea Guerzoni, Liana Ghukasyan, Keetje Mans, Silvia Mei, Vittorio Mortarotti, Cristiana Palandri, Melania Yerka, Ann-Marie James, Mario Petriccione, Maya Quattropani, 108 nero e Alessandro Torri, a raccontare di un particolare sguardo verso le cose, di una modalità di narrare storie affini ed empatiche con il sentire, il fare e l’esprimersi di Carol Rama. Olga Gambari, curatrice del progetto, ci ha raccontato il suo sviluppo. 
Una mostra diffusa, un festival che ogni giovedì avrà un “intervento” differente, per conoscere da vicino il lavoro di alcuni partecipanti: come è nata l’idea di PanoRama?
«È nata da un gruppo di persone che idealmente Carol Rama ha raccolto attorno a sé, per empatia e affinità, per fascino, affetto, riconoscenza. Soprattutto per magia, credo. Andrea Guerzoni, un’artista vicino a Carol, ha lanciato questa idea di guardare la scena artistica contemporanea alla ricerca di tracce, di varia natura, di Carol Rama. Si è creato piano piano un gruppo costituito da critici, artisti, galleristi e altri figure. Tra cui, per fortuna, anche io. Il progetto sì è poi definito nel fare una mappatura né filologica né scientifica di artisti che hanno raccolto l’eredità di Carol inconsapevolmente, così come inconsapevole è sempre stato il pensiero e il fare poeticamente sovversivo e indipendente di Carol. Quindi, ci sono artisti internazionali molto diversi -a partire da Torino-, nel cui lavoro Carol c’è, senza mai didascalismi o in maniera dichiarata».
Carol Rama da sempre ispiratrice per le nuove generazioni, come quasi tutti gli artisti “scomodi”: in che cosa sono diversi i giovani selezionati rispetto alla grande artista torinese? Come e quanto sono cambiate le attitudini? 
«Non so se sia scomoda, di sicuro è libera e rivoluzionaria e alternativa al pensiero comune, ai manifesti, ai gruppi, alla figura dell’artista come ce la ci si aspetta. Questa sua visionarietà, che la rende capace di raccontare l’animo umano fatto di corpo e di spirito, senza finzioni ma attraverso la forma metaforica dell’arte, è una parola viva che continua a dialogare con il contemporaneo, che si fa sentire, che non tace. E sono tanti gli artisti che l’ascoltano, felici di averla incontrata. Mi hanno colpito le risposte degli artisti quando hanno ricevuto l’invito a partecipare alla mostra. Altre generazioni e nazionalità, ma la conoscevano tutti, alcuni l’avevano incontrata per caso, magari a una mostra, e da allora era rimasta nel loro cuore, di certo sotto pelle. E grande è l’ammirazione per lei, il rispetto anche, come qualcosa di estremamente fragile e prezioso. Nel suo lavoro si sta bene, ci si sente nudi e accolti insieme. Questi artisti differiscono da lei come ogni individuo da un altro, usano la pittura e il disegno come la scultura, il video, la fotografia. Forse, quello che accomuna tutti loro, e Carol, è un senso di profonda intimità che ne pervade i lavori».
Torino è sempre a fare da guida, all’orizzonte. In questo caso c’è il quartiere Vanchiglia ad essere coinvolto: come vedi lo stato di salute dell’arte in città? Cosa manca e cosa è invece a disposizione per la crescita non tanto culturale ma quanto professionale dei giovani?
«Lo stato dell’arte, rispetto all’arte contemporanea, è sempre potenzialmente potente e vitale, ma depresso. Meglio di tante altre città italiane, è vero, ma non basta. Ci vogliono progetti strutturati a lungo termine e interlocutori istituzionali che abbiano sguardo, progettualità e respiro di livello internazionale, che scelgano persone professioniste e di valore come collaboratori nei vari settori ‘artistici’. La mancanza di denaro non c’entra nulla con l’assenza di idee. Ma non ho più voglia di parlare di questo tema, che è complesso e riguarda ogni livello; sono anni che se ne discute e questo sfianca, oltre che annoiare. Quindi lavoro e faccio, cercando di attivare concretamente il concetto di network. Vanchiglia è il quartiere che ospita da sempre la vita quotidiana di Carol Rama -a pochi isolati da dove anche Carlo Mollino aveva una casa- ed è anche una bellissima zona di Torino, centro e borgata insieme, ancora intrisa, e salvaguardata, da un’origine produttiva legata a laboratori artigianali di varia natura. Qui, ancora, si pensa e si fa, con la testa e con le mani. Oggi ci sono tantissimi gallerie, atelier e studi di musica, fotografia, architettura, arte, design, cinema e poi locali dove andare, tutti particolari e carini, veri e non fighetti. E si continua a respirare un’atmosfera di città un po’ d’altri tempi, anche se Vanchiglia è attaccata a piazza Vittorio, con l’università che svetta di lato, allungata tra Porta Palazzo e il Po. Una fetta di città sana e creativa, in cui accadono molte pratiche, legate all’arte, che non si pongono il problema di questioni legate alla ‘crisi’, al ‘sistema’ etc, ma ne producono in serenità le alternative, gli anticorpi. E in questo riflettono, simbolicamente, la vera identità torinese».
Sopra: Carol Rama, Appassionata, 1940
Home page: Francesca Arri, Quando ti penso (foglie nere), tecnica mista su carta intelata, 143x173cm, 2014 ph Zeno Zotti

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