17 ottobre 2015

Ma esiste l’Arte Africana?

 
Mettere insieme tutti gli artisti non funziona più. Molti hanno studiato all’estero, altri ci sono andati per ragioni di mercato. Ecco un focus su un mondo ancora da conoscere

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Il festival “Contaminafro: Identità in evoluzione” che si è svolto a settembre presso La Fabbrica del Vapore di Milano pone una domanda: ha ancora senso parlare di arte africana? Ora che il mondo è sempre più globale e interconnesso e che le migrazioni sono all’ordine del giorno, non ha più senso parlare di artisti di origine africana? Molti di questi sono nati in Africa ma, per motivi di studio o altro, si sono trasferiti nelle città più interessanti per il mercato dell’arte: Londra, New York, e a seguire nelle altre capitali europee e americane. Inoltre, Faycal Zaouali, artista e Art Director di origine tunisina, ci ricorda che è impossibile parlare di arte africana, così come è improprio parlare di arte europea o americana, perché, come l’Europa e l’America, l’Africa è un Continente. Quindi, si può parlare di affinità tra determinati Paesi limitrofi, come nel caso del Nord Africa o dell’Africa centro-occidentale, ma è un rischio rinchiuderla sotto un’unica definizione, scelta che risponde più a motivi di marketing che artistici.
Massinissa Selmani, From series A-t-on besoin des ombres pour se souvenir?, 2013/ 2015, Graphite on paper, 50 x 40 cm
Francesca Guerisoli, curatrice e docente di Arte, Architettura e Linguaggi della Fotografia presso l’Università Bicocca di Milano e presente come relatrice a Contaminafro, riflette su questi temi, specie dopo la visita alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia curata dal nigeriano Okwui Enwezor, dove innegabile è il maggior spazio lasciato agli artisti di origine africana (una ventina su 139) circa la metà dei quali si è formata e specializzata, o comunque ha deciso di vivere e lavorare tra Europa e Stati Uniti. Secondo Guerisoli in alcuni casi è difficile riconoscere in qualcuna di queste opere un’attinenza con il Continente africano (come per l’artista Massinissa Selmani, nato in Algeria, vive tra Francia e Algeria). E questo è uno dei risultati dei processi di globalizzazione che hanno determinato una maggiore vicinanza al linguaggio artistico “occidentale” e quindi una più rapida riconoscibilità da parte dello spettatore. Fatto che permette un immediato abbattimento delle barriere e l’assenza di una necessità di comprensione più approfondita. Tuttavia, quella metà di artisti che ha deciso di studiare e vivere nel Paese d’origine nelle loro opere affronta temi per lo più legati al loro vissuto, tra cui l’esplorazione delle culture in rapporto ai riti di passaggio, alle tradizioni orali e alla memoria conservata nelle forme più contemporanee della cultura urbana. È il caso per esempio di Fatou Kandé Senghor, nato e vive in Senegal. Presenti sono anche la storia del proprio Paese, la descrizione della propria città natale e delle sue contraddizioni (Karo Akpokiere, nato e vive a Lagos, Nigeria); la riflessione sul declino dell’Africa postcoloniale (Gonçalo Mabunda, nato e vive in Mozambico); l’analisi della violenza nelle carceri e nelle zone più povere di Johannesburg (Mikhael Subotzky, nato e vive in Sudafrica). Temi che attingono al Continente africano, lo analizzano e creano un forte legame con esso.
Fatou Kandé Senghor - Amon Nafi (Il fut un temps), 2010 - Vue de l'installation (MAI)
Ciò non vuol dire che bisogna creare uno spartiacque tra gli artisti citati e quelli migranti. Se per alcuni di questi ultimi i temi affrontati sono di natura più concettuale, come Philippe Parreno (nato in Algeria, vive a Parigi) che prende in esame la formazione delle immagini e le modalità di esporle, altri artisti come Wangechi Mutu (nata in Kenya, vive a New York) riflettono sui temi dell’ibridazione, dell’appropriazione culturale, della rappresentazione dei corpi africani come esotici, testimoniando una soggettività frammentata e globale. Così come (ma qui di “africana” è rimasta solo la nascita) Marlene Dumas, che è nata in Sudafrica, ma vive da molti anni in Amsterdam ed è considerata olandese a tutti gli effetti. Dumas fa una critica puntuale delle nostre percezioni di genere, razza ed etnia. 
Questi ultimi artisti fungono quindi da ponte tra le dinamiche della storia personale e quelle universali, tra il vissuto in patria e quello in un Paese straniero; come Adel Abdessemed (nato in Algeria, vive a Londra) che esplora i concetti di esilio ed esodo e i conflitti in campo politico, storico e religioso; e ancora Barthélémy Toguo (nato in Camerun, vive tra Francia, USA e Camerun) che vede la diaspora come un elemento fondamentale per la realtà contemporanea e affronta la logica delle politiche di confine sui migranti, ma anche situazioni di ingiustizia universali. 
Se il tratto stilistico può quindi confondersi, i temi rimangono legati al proprio vissuto. È il caso di Nidhal Chamekh (nato in Tunisia, vive tra Parigi e Tunisi) che unisce puntualmente le sue opere a episodi di natura storica legati soprattutto all’attivismo politico; e ancora Messinassi Selmani che affronta questioni politiche e sociali molto serie, mescolandovi però humor e ambiguità. 
Karo Akpokiere, Lagos Drawings 1

È proprio al superamento di questa contrapposizione che mirano molti artisti di origine africana incontrati anche in occasione di Contaminafro (come il senegalese Mor Talla Seck e i due toghensi Kikoko e Ako Atikossie), il cui desiderio è quello di essere considerati come semplici artisti e di essere riconosciuti tali a prescindere dal Paese di provenienza. L’arte non dovrebbe aver bisogno di nessuna traduzione o spiegazione, andando dritta allo scopo, colpendo l’emozione nel profondo, anche se ha sempre più bisogno di essere racchiusa all’interno di un sistema di significazione che non trascende la storia personale dell’artista, il periodo storico, i contatti con determinate correnti e quindi il Paese in cui tutto questo si è sviluppato. Non a caso circa la metà degli artisti di origine africana presenti alla Biennale 2015 hanno approfondito i loro studi o stanno frequentando dottorati nelle più celebri università europee o americane, acquisendo un bagaglio di nozioni e significazioni indispensabili per la comprensione del nostro sistema di valori e per introdursi con un linguaggio che possa essere, se non immediatamente comprensibile, per lo meno riconoscibile.
Senza dimenticare che l’arte è anche mercato e il mercato dell’arte si muove prevalentemente sull’asse Londra – New York, si basa sulla rete di gallerie, fiere, Biennali, ma soprattutto su un sistema politico-economico stabile e florido. Che purtroppo il Continente africano, al contrario di altri Paesi “non occidentali” come la Cina, non è ancora in grado di creare, salvo poche eccezioni. Ecco allora che in alcuni casi la migrazione sembra essere l’unica soluzione. Cosa resta di quelle origini nella produzione di questi artisti è uno degli aspetti più interessanti delle recenti indagini, e non tanto per la riconoscibilità che se ne può determinare, tanto per l’apporto di diversità e quindi di originalità che ognuno di essi può favorire.

Daniela Frigo

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