24 febbraio 2016

L’Albero della Cuccagna cresce nel terreno della formazione e della cultura: ecco l’opera di Costas Varotsos. Un nuovo orizzonte per l’Università degli Studi di Salerno

 

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Di norma, ogni luogo dedito alla formazione viene concepito come culla di conoscenza e terreno fertile di ispirazione intellettuale. L’Università degli Studi di Salerno, situata dal 1998 nel campus di Fisciano, è un’istituzione che ha da sempre favorito un interesse verso l’arricchimento culturale di coloro che abitano o transitano nei suoi ambienti. Valorizzando un’esperienza di prossimità con l’arte contemporanea, l’ateneo salernitano ha accolto nel tempo una serie di opere che contribuiscono all’ambizione di costituire quello che il Rettore Aurelio Tommasetti ha definito «un museo a cielo aperto». Da Furia Selvaggia (1975) di Umberto Mastroianni, Mnemata (1991) di Pietro Lista, Legni Parlanti (2007) di Paolo Cibelli, fino al complesso del Chiostro della Pace (2005), opera architettonica di Ettore Sottsass Jr con sculture di Enzo Cucchi, il sodalizio viene ancora una volta rinnovato con l’installazione Orizzonte Due (2016) di Costas Varotsos. L’opera rientra nel progetto espositivo “L’Albero della Cuccagna. Nutrimenti dell’arte” curato da Achille Bonito Oliva – nella veste di “coltivatore diretto” dell’iniziativa – e promosso dall’Expo di Milano 2015, in un percorso che ha coinvolto 45 artisti e l’intero territorio nazionale. 
In questo contesto la scultura pensata da Varotsos si presenta in una forma sinuosa, curvilinea, orizzontale come i primi esempi di alberi della cuccagna e che incornicia e accarezza il paesaggio circostante. «Sono due orizzonti – spiega l’artista – ma anche due vasi comunicanti per trasportare la nozione, la cultura, da un elemento all’altro». Costituita da un «nastro in acciaio ondulato», come descrive il coordinatore scientifico del progetto Maria Passaro, dove le curve adagiate sul terreno accolgono strisce di vetro «come acqua nei vasi», la scultura contribuisce a creare «un orizzonte capace di collegare l’indeterminato e il determinato, il finito e l’infinito». In una sorta di lotta «greco-romana» – nei termini adoperati da Achille Bonito Oliva – tra la simmetria, l’armonia e la composizione del genio ellenico e la pondus/gravitas latina, la «curvatura che Costas Vatotsos ha impresso alla sua scultura ne fa una forma liquida, in movimento, dinamica, che dialoga con l’orizzonte in cui è collocata. Viene perpetuata, quindi, un’idea di movimento, di energia, nella quale l’uso del vetro implica un’inevitabile filtrazione della luce, metamorfosi indotta dal suo essere nell’ambiente, dal suo vivere nello spazio aperto. Viene così presentata come una scultura in progress, in una continua evoluzione che con la sua trasparenza e mobilità la sottrae all’ottusità del genere scultoreo». (Annapaola Di Maio)

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