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Non sono solo i migliori ad andarsene, sono anche i più dolci, i più discreti, a volte i più dotati. Ieri notte, mentre era a casa della madre a Spezzano Albanese, in Calabria, se ne è andato Paolo Aita. Difficile presentare Paolo a chi non lo conosceva perché è difficile raccontarne in poche righe la versatilità e il temperamento. Paolo era una persona mite, quasi timido, eppure particolarmente colto e soprattutto particolarmente capace in tanti linguaggi diversi. “Leggero come una nuvola, profondo come un pozzo”, recita un post su facebook alla notizia della sua morte che ha cominciato a circolare fin da stamane tra gli amici. «Ho un udito finissimo per questo mi mandano tanti dischi da ascoltare in anteprima, riesco a sentire se c’è qualche errore, mi accorgo della più piccola imperfezione», mi aveva raccontato un giorno. E da quell’orecchio la sensibilità si trasferiva all’occhio: quando vedeva una mostra, gli bastavano pochi minuti per capire se era buona o no, se ne valeva la pena scriverne o meno e decidere su che cosa concentrarsi. Senza bisogno di prendere appunti, come riescono a fare solo persone che conoscono bene ciò di cui trattano e che hanno le proprie idee – non aprioristiche, ma un solido apparato teorico – che mettono a confronto con ciò che vedono.
Ricordo una sera a casa mia, avevo chiesto a Paolo di scrivere su Hidetoshi Nagasawa, artista certo non riducibile in poche battute, ogni tanto Paolo collaborava con Exibart: «Chiamami quando vuoi, ogni volta che ne hai bisogno», mi aveva detto tempo prima con la sua consueta gentilezza. Eravamo a cena, ad un certo punto Paolo e Hidetoshi si erano allontanati su un divano e avevano cominciato a chiacchierare fitto fra di loro. Finita la serata, avevo chiesto a Paolo se era stato contento di rivedere Hidetoshi e che poi, caspita, avrebbe avuto un sacco di materiale per scrivere, vista la lunghezza della conversazione e i tanti appunti che –immaginavo – aveva preso. Mi rispose candidamente che era la prima volta che lo incontrava e che non aveva scritto proprio niente. «Ho tutto in testa, non scrivo mai, faccio sempre così», mi disse indicandomi con aria quasi birichina il cervello.
Aveva una sensibilità e un’intelligenza non comuni, Paolo, sia che scrivesse di musica, di arte che di letteratura, poesia o filosofia, sono tantissime le collaborazioni che aveva in piedi o che aveva avuto in anni precedenti. Perché era un intellettuale a tutto tondo, uno di quelli che ce ne è sempre meno. Un uomo colto del Sud, mi viene da dire, anche se poi il suo sud, la sua Calabria, l’avevano fatto penare non poco dandogli solo recentemente un insegnamento, a lungo e invano cercato, in Accademia a Catanzaro.
Ciao Paolo, te ne sei andato in punta di piedi, allo stesso modo come quando arrivavi da qualche parte, senza farti notare, sapendo che se qualcuno ti voleva cercare sapeva dove trovarti e sapeva soprattutto di trovare la tua disponibilità.
Che il viaggio ti sia lieve. Adriana