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Mercoledì 5 ottobre è stata inaugurata la ventunesima edizione della rassegna Artecinema, il prestigioso evento napoletano promosso da Laura Trisorio e dedicato ai film sull’arte contemporanea. La serata di apertura al Teatro San Carlo ha visto protagonista il documentario Frame by Frame, incentrato sulla “rivoluzione fotografica” in Afghanistan avvenuta dopo il 2001. Il giorno seguente, si è tenuto un intenso incontro all’Accademia di Belle Arti di Napoli con la regista del film, Mo Scarpelli, e i fotografi afghani Massoud Hossaini e Farzana Wahidy, tra i protagonisti del film insieme a Najibullah Musafer e Wakil Kohsar. Le immagini, costruite in modo sapiente dalla giovane regista statunitense, raccontano la lenta riappropriazione del mezzo fotografico da parte del popolo afghano, medium interdetto durante gli anni del regime talebano. Ed è, quindi, la storia di un piccolo gruppo di coraggiosi fotogiornalisti a narrare la realtà vissuta in un paese lacerato da anni di guerra e di terrore, ma capace di tentare, tramite la ripresa della verità, il raggiungimento della libertà d’espressione. Con “Frame by Frame”, Artecinema conferma l’interesse verso i temi sociali, che inevitabilmente, negli ultimi anni, si intersecano con la sensibilità artistica.
Massoud Hossaini (Kabul, 1981) reporter per l’Agence France-Presse, ha vinto nel 2012 il Premio Pulitzer per una foto scattata durante un attentato suicida del 6 dicembre 2011, mentre si stava svolgendo la celebrazione dell’Ashura, a Kabul. Lo scatto vincitore mostra una ragazzina vestita di verde, Tarana, che prorompe in un urlo straziante attorniata dai corpi di bambini e adulti tramortiti dall’esplosione. È una fotografia ricca di pathos, di dolore, che sembra trasmettere ancora quel grido. Della stessa carica emotiva sono le immagini delle donne ritratte da Farzana Wahidy (Kandahar, 1984), da più di un decennio interessata alla condizione femminile in Afghanistan, nonostante le continue difficoltà che incontra sia in quanto fotogiornalista che come donna. I suoi reportage raccontano storie, per lo più drammatiche, di donne afghane spesso vittime di “autoimmolazione”, scusante improbabile imposta dalle menzogne dei loro carnefici: mariti, suoceri, padri e fratelli. Sono vite sempre a rischio, quelle dei fotoreporter in zone di guerra e di instabilità politica e nel film vengono ricordati, in particolare, il 2014 e il 2015 come gli anni più sanguinolenti per la categoria, anche se, durante l’incontro, è stato sottolineato come il 2016 abbia registrato un numero ancor maggiore di giornalisti assassinati. (Annapaola Di Maio)