21 ottobre 2016

Parigi Art Week/ Jean-Luc Moulène scultore al Centre Pompidou con un progetto inedito che parla di intersezioni e lateralità, mentre la folla scalpita per Magritte

 

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In un Centre Pompidou preso d’assalto per l’esposizione di Magritte, con il pubblico in attesa anche di un’ora e mezza per accedere alle sale, c’è anche un’esposizione decisamente meno mainstream, e che tocca – forse meno magicamente del grande pittore – i nervi scoperti del nostro contemporaneo. Di certo non occupa uno spazio interstiziale Jean-Luc Moulène nella scena artistica globale: attivo fin dagli anni ’90, l’artista francese aveva già esposto al Centre Pompidou con un progetto speciale, in occasione della mostra “Air de Paris”, nel 2006. Oggi ritorna, invece, con un nuovo progetto appositamente concepito che ha inaugurato in questi giorni di FIAC. 
Interstiziale, invece, è la sua pratica: Non è di certo un personaggio facile da indagare; divenuto celebre per la sua fotografia, che mai ha escluso una componente “oggettuale” in fatto di fascinazione e di “convergenza” tra quotidiano e reportage poetico, Moulène stavolta si presenta con un corpus di trenta nuovissime sculture che dire particolari è poco. L’allestimento è ridotto all’osso nella Galleria 3 del Museo, per l’occasione completamente libera da pareti e con affaccio su Parigi. 
In scena, appunto, un avvicendarsi di pezzi che Moulène ha realizzato seguendo criteri di intersezione, lateralità, convergenza, con una tensione che muove dal pensiero intorno agli spazi comuni, alla “conversazione” tra oggetti e identità differenti. Non si tratta, in realtà, tanto di ibridi quanto di veri e propri nuovi corpi, “che qui devono trovare il loro spazio tra il caos dei desideri individuali, dei contrasti politici e delle convenzioni sociali”, si legge nello statement del progetto.
Ma avviciniamoci: Car & Girl, per esempio, è un pezzo di marmo la cui unica effigie riconoscibile è lo sportello di un’automobile e il lunotto posteriore, così come un accenno di cofano: è una scultura perfetta, anche tecnicamente, che intaglia nel materiale una serie di contingenze: forma e velocità, il glaciale di una carrozzeria, il piombo di vernici e idrocarburi e le curve di una donna. È forse questo l’emblema e la chiave di volta di una mostra che l’artista stesso descrive nata per indagare poeticamente arte, scienza (dei materiali) e tecnologia (per combinarli insieme).
Tra le altre anche Indexes, una scultura che associa tre statue funebri prese da cimiteri inglesi, legando anche famiglie di differente estrazione, unite unicamente solo dalla morte e in questo caso dall’arte, oppure Boubolina e Jeanne, pezzi di corpo che ricordano la celebre Poupée di Hans Bellmer. Completa la mostra un “giornale”, dove l’artista torna ai suoi assemblaggi su pellicola. Consigliata se avrete tempo di fermarvi un poco a riflettere… 

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