31 ottobre 2016

La nascita dello spazio in un quadro

 
Gianni Asdrubali inaugura una mostra a Milano di cui Corà è il curatore. Che, a serata finita, dice che deve correre in albergo a scrivere. Ecco il risultato a caldo

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Per le ore 18,30 del 25 ottobre 2016 è annunciata una insolita iniziativa nella galleria Lampertico di Milano, dove ha luogo la mostra personale di Gianni Asdrubali. È l’apertura dell’evento con performance dell’artista e Matteo Lampertico mi invita a dire poche parole sul lavoro di Asdrubali. Lo faccio convinto che lui lo gradisca non senza considerare il rischio di parlare in pubblico, davanti alle opere, tradizionalmente discutibile o addirittura inopportuno. Parto evocando concetti e aspetti già individuati in occasione di alcune mie precedenti riflessioni, soprattutto incentrate nelle più recenti analisi del lavoro pittorico di Asdrubali. Sono presenti numerose persone interessate a vario titolo all’opera del pittore. Chiudo rapidamente il mio intervento sollecitando i presenti a tener d’occhio il bianco residuale nelle tele dipinte da Asdrubali, cioè quel che appare come vuoto, e insisto sulla sfericità del suo spazio pittorico, sull’infinito del suo processo significativo, senza soluzione di continuità. Una breve pausa consente ad Asdrubali di preparare un colore, il nero, per elaborare una superficie pronta all’uso. Ma mi accorgo che su alcuni cavalletti Asdrubali ha steso una seconda superficie, la quale sembra avere la funzione di piano d’appoggio alla tavola preparata. Già in altra circostanza avevo avuto la sensazione che egli, quando lavora, fosse come il torero con il toro in una corrida. E non mi sono sbagliato. Asdrubali irrompe nell’arena della sala con il barattolo del nero in mano e un pennello che impugna più come un coltello che non nell’uso canonico. Con gesto deciso ma misurato sposta due, tre volte sul piano d’appoggio il supporto messo in orizzontale cercando una posizione idonea all’inizio del rito. Gira attorno al supporto, lo studia, lo tira un po’ verso di sé. Poi partono  alcune ‘pugnalate’ col pennello, sferrate con un’intensità, una rapidità e un’energia visibilmente incisiva sul corpo del supporto. L’inizio considera una zona angolare della superficie. 
Gianni Asdrubali, vista della mostra, Lucrezia Tullia Iannelli
Il pubblico è piombato in un silenzio assoluto, lasciando percepire lo stridio delle setole e dell’acrilico steso da Aasdrubali sulla superficie. È iniziata la corrida. Gli occhi dei presenti, alla stregua di quelli dell’iniziato raffigurato nel dipinto del rito orfico della Villa dei Misteri a Pompei, sono aperti e pieni di attesa e stupore. Non è il dripping e la ‘danza’ di Pollock ciò a cui si assiste, ma qualcosa di diversamente flessuoso e assai più cruento: un corpo a corpo che procede con fendenti e pause durante le quali Asdrubali scosta il supporto dalla sua posizione primaria cercando nuove traiettorie da cui operare. Si è visto che nello stendere il colore sulla superficie con il gesto con cui si impugna un’arma, Asdrubali continua a eseguire le tracce anche oltre la superficie, sul foglio di legno bianco che funge da sostegno sottostante. L’azione continua con pause durante le quali Asdrubali, come se fosse in totale solitudine, esegue gesti nell’aria che anticipano i gesti e le azioni successive, quasi a simulare ciò che dopo qualche istante si decide a compiere sul supporto mediante il colore. 
Gianni Asdrubali, work in progress
La ‘corrida’ è implacabile: Asdrubali ruota con una mano – vestita da un guanto di caucciù che tuttavia lascia incurante alcune tracce di nero – il supporto già elaborato in alcune parti mentre ancora altre restano intoccate. Ma poi si porta su queste e traccia segni lunghi che sbordano dal supporto sulla tavola sottostante su cui pure si accanisce tracciando proiezioni che arrivano al suo bordo e anche fuori di esso. Alcuni schizzi di colore arrivano sul pavimento, vicino alle scarpe degli astanti che si ritraggono. Sembra di assistere a una lenta agonia del supporto e a un’altrettanto esaltante ed eccitante ‘scherma’ che suscita l’emergere di una stupefacente entità prima inesistente e imprevista. Ancora brevi e lunghi momenti di posizionamento del supporto già in parte investito dal colore. Asdrubali cerca un fianco dopo l’altro del supporto, per colpirlo e dal quale – ormai è chiaro – vuole liberare lo spazio, vuole estrarre l’anima, non dopo aver fatto esalare l’ultimo respiro al corpo resistente, taurino, del supporto sotto i suoi gesti, e i fendenti di quel pennello di cui ormai restano scompigliati ciuffi di setole. 
Gianni Asdrubali, vista della mostra, Lucrezia Tullia Iannelli

Asdrubali ha una respirazione alterata ed estatica mentre osserva dall’alto il supporto alle sue ginocchia, ne preavverte la ‘resa’, sferra ancora alcuni decisivi ‘colpi’ che tracciano e ricalcano zone già dipinte saturandone altre,  senza interrompere l’azione al di fuori del supporto, sul sostegno, che ormai è anch’esso pieno di tracce, di traiettorie di ‘fughe’ ed ‘entrate’ nella stupefacente superficie giunta a un equilibrio che custodisce uno spazio radioso. A questo punto si ferma. E’ inutile infierire su un corpo vinto. L’azione pittorica è giunta al termine. Asdrubali si china sulla spoglia dominata di una superficie resistente come sulla forza priva di pensiero dell’animale o del demone che nel soccombere libera lo spazio. Il dipinto – come tutta la sua liturgia – è compiuto. Lo lascia riposare pochi minuti perché l’acrilico non formi alcuno sgocciolamento, poi lo erge in verticale contro la parete. Una spontanea ovazione libera la tensione ancora forte nel cerchio dei numerosi presenti. Olé!
Bruno Corà
Milano, 26 ottobre 2016

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