09 novembre 2016

L’America all’epoca di Trump

 
Riceviamo e pubblichiamo alcuni commenti da chi negli USA ci è andato a vivere. Credendo nell’American Dream. Ecco le storie di artisti, critici e curatori a poche ore dai risultati

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Alla fine è successo. Quello che per un anno si è scongiurato e non si credeva possibile è accaduto. L’elezione di Donald Trump alla presidenza del Paese più potente del mondo non è solo un serissimo problema per le politiche interne, ma anche per quelle rivolte all’estero, specie per il suo “amichevole” rapporto con Putin. E se giustamente oggi è anzitutto la politica a fare i conti con questa realtà inedita, non di meno la scena culturale americana, popolata da tanti stranieri, provenienti anche da quei Paesi non graditi a “The Donald”, e la scena culturale mondiale tutta possono avere pesanti ricadute da questa elezione. Abbiamo chiesto ad artisti e curatori, italiani e stranieri, che vivono negli Usa di dirci la loro, a caldo. 
Senza dimenticare – anche per sdrammatizzare un po’ – che noi italiani comunque vantiamo un primato. Perché, come circola da ore una battuta sui social: noi un miliardario puttaniere col parrucchino l’abbiamo già eletto.
Anita Glesta
Anita Glesta, artista.
Ho seguito le elezioni in tv ieri sera fino a mezzanotte, quando il Wisconsin stava vincendo e sapevo che era “finita”. A rischio di suonare melodrammatica, sono sopravvissuta all’11 settembre e la mia casa era a Ground Zero quando gli edifici esplosero e io ho visto gli arei entrare nelle Twin Towers. Quella volta, e forse soltanto un’altra in vita mia, ho sentito di vivere un incubo. Ricordo di essermi data un pizzico, nella speranza di svegliarmi. Odio dirlo, ma ieri sera il mio corpo si è gelato e ho provato le stesse sensazioni. 
Gli USA sono davvero una nazione divisa. Si sente ora alla radio, e lo abbiamo sentito per tutto il tempo sui media, che le persone vogliono un “cambiamento”. Credo che questo sia un luogo comune che è stato un coro cantato dagli ignoranti, perpetuato e ripetuto come un gioco da parte dei media. Temo il tipo di cambiamento che la gente ha votato e le ramificazioni della scelta pericolosamente superficiale a cui il mondo ora dovrà sopravvivere. 
Vincenzo De Bellis
Vincenzo De Bellis, curatore presso il Walker Art Center di Minneapolis.
La notte appena passata qui è stata davvero surreale.
Minneapolis é una città molto liberale. Tutti intorno a me votano democratico. Tutti i cartelli fuori dalle case nel mio quartiere erano pro-Clinton anche se qui alle primarie ha vinto Bernie Sanders, che era il più liberal e di sinistra di tutti e che in molti dicono avrebbe stracciato Trump qualora fosse stato lui il rappresentante dei democratici.
Io a dire il vero ero il più scettico. Un po’ perché lo sono per natura un po’ perché preoccupato, essendo straniero con un visto di soli due anni. Quindi pensavo agli scenari successivi, date le premesse dei discorsi, iper-protezionisti di Trump.
Scenario di oggi: silenzio intorno a me…4 su 7 colleghi del dipartimento non sono nemmeno venuti a lavoro! Sono tutti scioccati. Appuntamenti cancellati e riunioni rinviate. 
Ma io, a dire il vero, sono scioccato dal loro esserlo. Come è potuto succedere? Come dopo Brexit? Come hanno fatto a non accorgersene.
Dal mio punto di vista: Se tutto quello che Trump ha detto e fatto in campagna elettorale sarà ripetuto nelle sue politiche allora questo Paese che io amo e rispetto e che 8 anni fa mi ha cambiato la vita e ora mi dà questa grande opportunità, non sarà più quel Paese e non sarà più il posto dove vorrò vivere, lavorare e crescere mio figlio. Sarà un paese che non permetterà a tutti gli stranieri di lavorare e di esprimersi e non intendo solo gli stranieri di quei paesi da lui “odiati” ma di tutti, perché le distinzioni poi saranno molto complesse. Questo vale anche per artisti, curatori e sarà davvero un problema per il mondo dell’arte perché lo si voglia o no questo paese è stato il centro del mondo (anche dell’arte) e non vedevo come questo potesse cambiare…
Fino a stanotte.
Gian Maria Tosatti ©Maddalena Tartaro
Ganmaria Tosatti, artista.
Trump ha vinto per una semplice ragione: Clinton non è riuscita a stagliarsi come campione di libertà e democrazia sul panorama politico americano. Ed effettivamente non lo era.
La scelta era tra l’establishment ed un reazionario. In molti si sono turati il naso votando l’establishment e questo è stato il risultato. Questa sconfitta è tutta dei democratici. Ma non è una sconfitta di oggi, ha radici profonde. Le sofferenze di questo Paese hanno origine molto tempo fa. Nessuno se ne è fatto mai realmente carico. Ed oggi un Paese stremato risponde con un atto di follia. È una reazione quasi scontata. La politica americana non è in grado di governare da decenni ormai, da quando un Paese giovane è diventato un paese adulto. 
Ma non c’è da stupirsi, in Europa accade la stessa cosa. E la ragione è una soltanto: la Storia preme per cambiare il mondo e la politica, di destra o di sinistra che sia, sta facendo blocco compatto per impedire ogni cambiamento. E così la Storia falcia la politica permettendo a nuovi mostri di appropriarsi del potere. Se la politica fosse stata realista e capace di cambiare assieme alla Storia, oggi avremmo ancora dei leader e dei partiti credibili ad accompagnarci in questa complessa transizione verso il XXI secolo. 
Cecilia Alemani
Cecilia Alemani, direttrice del Public Art program di High Line e curatrice del prossimo Padiglione Italia alla Biennale di Venezia
Ero in viaggio ieri sera durante lo spoglio quindi non ho vissuto il momento o visto reazioni in prima persona. Ma direi che il commento più pertinente e a cui mi sento più vicina lo ha offerto Roberta Smith (via Jerry Saltz su Twitter), che ha detto “we are strangers in a strange land”.
Ludovica Capobianco
Ludovica Capobianco, curatrice e co-direttrice di The Others.
Come italiana che vive a NY ho vissuto da vicino i dibattiti e la campagna elettorale, entrambi già abbastanza preoccupanti. Sono veramente amareggiata da questo risultato, soprattutto per l’immagine dell’America che Trump rappresenta, ben diversa da quella che conosco e che mi è vicina. Non so che tipo di cambiamenti ci saranno nei prossimi quattro anni e se poi davvero ci saranno, ma credo che l’America abbia già perso a priori in termini di reputazione e credibilità, e che le conseguenze più grandi saranno sulla politica estera.
Bill Claps
Bill Claps, artista, filmmaker e scrittore.
Sono stato male tutta la notte e sto seriamente pensando di riconsegnare la mia cittadinanza americana, per fortuna da poco più di un anno ho acquisito quella italiana. È un risultato scioccante e deludente, ma manda un messaggio chiaro all’establishment politico americano: una grande parte del Paese è stanca dello status quo e pretende un cambiamento. Speriamo per il meglio.
JAŠA (Mrevlje-Pollak)
JAŠA (Mrevlje-Pollak),  artista.
New York stamattina si è svegliata in un silenzio imbarazzate. Però c’è da dire che la Grande Mela non rappresenta l’intera America. Anche ieri sera, durante il rito dell’Electron Day, che alla fine non è molto diverso dal Playoff di Baseball o Superbowl, dove ci si trova a bere e brindare nei bar, serpeggiava lo snobismo che dava per certo la sconfitta di Trump. Perché è questo il punto: la vittoria di Trump ha mostrato che è impossibile negare una realtà che esiste. Una realtà di cui  i sondaggi e la stampa americana ne hanno negato l’evidenza.  E’ l America arrabbiata che ha portato Trump alla vittoria.
Già gli ultimi due mesi di compagna elettorale dimostravano una realtà che era impossibile ignorare. L’establishment e i media hanno negato l’evidenza. Si capiva che gli otto anni della presidenza di Obama sono stati un miracolo, ma che in fondo non hanno cambiato nulla. L’elezione di Trump è una rivincita dell’America bianca, dell’America che grida. Un conto che Obama aveva lasciato aperto e che la Clinton ha pagato. 
Alterazioni Video
Andrea Masu (Alterazioni Video), artista.
  
Gli americani hanno votato per il meno peggio e quasi certamente ci hanno preso. Ha vinto il candidato che come Obama 8 anni fa portava un cambiamento più radicale, lontano dai poteri forti di Washington, Hilary, oltre a rappresentare tutto l’establishment lobbista è una donna super odiata dalla popolazione, Michelle Obama avrebbe avuto molte più chance di lei di vincere. 
Se avesse vinto la Clinton sarebbe stata una grossa delusione per tutti noi progressisti pacifisti vedere poi lo scempio che avrebbe perpetrato durante il suo mandato. Non ci dobbiamo dimenticare che Trump è un razzista, sessista, bugiardo, ecc… ma sappiamo bene chi abbiamo di fronte, mentre la Clinton è una subdola guerrafondaia.
Oggi, molto probabilmente, abbiamo scampato la terza guerra mondiale.
Dario Lasagni
Dario Lasagni, fotografo.
È successo quello che qui tutti non volevano neanche pensare potesse succedere. È strana pure la città, o almeno sotto le mie finestre, dove c’è sempre traffico e rumore, stamattina è particolarmente tranquilla e silenziosa, come succede solo nei giorni di festa.
Vivo a New York da troppo poco tempo qui per capire cosa possa cambiare, ma posso dire che ieri sera parlavo con una giovane artista di origini indiano-pakistano dicendole che comunque alla fine anche se vinceva Trump non cambiava niente perché ci sono i controlli, la democrazia funziona e pur essendo presidente non gli lasciano fare follie. Lei mi ha risposto che per me che sono bianco e maschio forse non cambiava nulla, ma per lei, donna e colorata, sicuramente cambiava.
L’unica cosa da dire è che speriamo che quattro anni scorrano veloci e i Democratici tirino fuori qualcuno meglio di Hillary….e ci vuole poco!
Alessandro Facente
Alessandro Facente, curatore.
Con Donald Trump alla presidenza si è fatto certamente luce su ciò che di più oscuro si nasconde nelle maglie – o falle – della democrazia americana. E ciò non fa per nulla bene all’immagine che gli Stati Uniti stanno dando alla sua stessa gente, incoraggiandola a divisioni intestine. Questo lo si è potuto comprendere se si è prestato bene attenzione alle parole del commentatore politico Van Jones, che alla CNN ha definito la vittoria di Trump una “white-lash” – neologismo nato dal termine originale “backlash” (reazione, contraccolpo) -, una reazione a quella parte di paese che voleva il progresso in materia di diritti civili, e dunque il contraccolpo che la supremazia dei bianchi ha voluto sferrare ad un presidente nero. Ciò che in questa sede è importante capire, è che il pensiero di Van Jones incarna perfettamente quello spirito critico, e di analisi dei fenomeni relativi alla realtà, che appartiene a gran parte degli americani e che a sua volta permette loro di risollevarsi ad ogni crisi, ed ogni volta restituire del paese una nuova immagine progressiva. Insomma, l’opinione e il ruolo dell’individuo ricoprono sempre una posizione centrale in materia di costruzione o ricostruzione di ciò che a fasi storiche rischia sempre di distruggersi. Oggi dunque più che mai. Se gli americani sapranno mettere ancora in campo questo approccio, ci sarà sempre spazio per nuove forme di progresso dell’uomo e quindi di progettualità culturale.
IN ALTO: Francesco Vezzoli, Edizione speciale firmata e titolata “DEMOCRAZY 2016” dall’artista e con un collage realizzato appositamente per quest’unica edizione. Rizzoli International Publications, Inc. 2016, Numerata: 7/50. Foto Irene Esposito

1 commento

  1. La vittoria di Donald Trump è abbastanza irrilevante e sul lungo periodo potrebbe portare tutte quelle cose che oggi chiedono i detrattori dello stesso Trump.

    Prima di tutto, per chiunque conosca minimamente il sistema politico americano, la politica reale del paese viene determinata soprattutto da organi come il parlamento e l’apparato istituzione e burocratico. Per non parlare delle dinamiche finanziarie internazionali che oggi influenzano gli stati moderni in modo trasversale a paesi e gruppi politici.

    Se in campagna elettorale Trump era un “cane sciolto e rabbioso” da oggi diventerà un “cane al guinzaglio”. Non verranno innalzati muri e probabilmente, nei prossimi mesi, come non mai, nasceranno negli Stati Uniti e nel mondo centinaia di associazione in favore delle donne e degli immigrati.

    Sul lungo periodo avremo “effetti progressisti” molto più forti di quelli che avrebbe potuto portare Hillary Clinton, che è un politico appannato e legato al conservatorismo delle politica americana degli ultimi anni. Ma non solo.

    La vincita di quello che è un vero outsider, spesso inviso al suo stesso partito, spingerà i partiti americani a un profondo esame di coscienza e rinnovamento. Un po’ come quando Renzi iniziava a copiare le frasi più belle del Movimento 5 Stelle.

    Il dato preoccupante è un altro: ci sono milioni di elettori, ossia di americani, che al posto di Trump sarebbero dei veri dittatori razzisti. Ossia persone che hanno votato Trump proprio perché incarnava e proponeva i peggiori valori dell’essere umano.

    Dovremo preoccuparci di costoro, che non vivono solo negli Stati Uniti ma che possono essere i nostri vicini di casa o i nostri vicini di scrivania. Per tanto siamo noi che nella nostra dimensione micro, locale e privata dobbiamo diventare “politici” e contrastare l’elettorato potenziale del prossimo Trump.

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