21 gennaio 2017

Il Leonardo della discordia. La mostra al Museo Diocesano di Napoli riaccende la discussione sull’incerta attribuzione del “Salvator Mundi”

 

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La mostra “Leonardo a Donnaregina – I Salvator Mundi per Napoli”, allestita al Museo Diocesano di Napoli e realizzata con la collaborazione della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, si propone tra i più importanti appuntamenti del capoluogo campano con l’arte classica. Ideata da Carlo Pedretti e curata da Giuseppe Barbatelli l’esposizione presenta al pubblico la discussa tavola del Salvator Mundi, nell’ex collezione del Marchese De Ganay, una famiglia nobile risalente al Trecento, capolavoro attribuito a Leonardo da Vinci e alla sua bottega. Presenti all’inaugurazione, il Cardinale Crescenzio Sepe e il Governatore della Regione Campania Vincenzo De Luca, che hanno evidenziato la contemporaneità del maestro toscano, ambasciatore di un tempo caratterizzato dal bisogno di rinascita, per uscire – oggi come allora – da un medioevo in cui la crisi dei valori stravolge il presente. La figura del Cristo, quindi, come immagine emblematica di salvezza e sacrificio a rappresentare la via per sorreggere il peso della società contemporanea e correggerne le storture. 
Interventi che forse hanno distolto l’attenzione dalla discussa attribuzione dell’opera, che solleva non pochi dubbi non solo tra gli addetti ai lavori ma anche tra il pubblico. «Questa mostra napoletana – spiega Barbatelli, direttore dell’Armand Hammer Center for Leonardo Studies presso l’Università della California e tra i maggiori studiosi vinciani – vuole rinverdire gli studi anche per capire se ci sono i termini per condividere questa attribuzione così importante». E così, per questa occasione, la celebre tavola al centro del dibattito internazionale è stata affiancata da dipinti quali il Cristo fanciullo del Salaì, giovane e controverso collaboratore di Leonardo, e il Cristo Benedicente, del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, per la prima volta presentato con un’attribuzione al pittore messinese Girolamo Alibrandi. Diverse le note dissonanti, a testimonianza di un’estrema cautela nell’affermare che l’opera possa essere attribuibile con certezza a Leonardo: dalle didascalie che sembrano sempre girare intorno a ipotesi e probabilità, al fatto che il Salvator Mundi è un’opera di tale bellezza da aver dato luogo a molte copie, facendo perdere nel tempo le tracce dell’originale. 
Il critico d’arte Vittorio Sgarbi, rispondendo a Il Velino, dichiara: «Credo sia della bottega e non della mano di Leonardo. Non si tratta di un falso ma sarà attribuibile a un allievo e non al maestro». Sottolineando, così, la tendenza di Carlo Pedretti nel miscelare volontariamente l’attribuzione di un’opera a suggestivi percorsi artistici senza mai dare di fatto una conferma ufficiale. «E’ chiaro – conclude Sgarbi – che il Cardinale Sepe e il Governatore De Luca presentino l’evento in pompa magna ma per consenso e rafforzamento della loro posizione più che per il valore artistico intrinseco». (Tiziano Manna)

Leonardo da Vinci e collaboratore, Cristo come Salvator Mundi, olio su tavola di noce (particolare)

1 commento

  1. Come lo specchio magico della matrigna di Biancaneve ci indica il più bello del reame, così il volto della Gioconda ci rimanda a quello di Leonardo da Vinci. Il volto femminile del dipinto conservato al Louvre è sovrapponibile all’Autoritratto di Leonardo conservato a Torino. Ma ancora più inconsciamente per il professore Mario Alinei, richiama l’immagine del lutto, tramite la rappresentazione di una giovane donna morta con gli occhi aperti come se fosse viva, nascosta dalla bellezza ancora presente della persona raffigurata. Per ultimo, un rimando subliminale al volto sindonico, come apparve nel negativo fotografato nel 1898 per la prima volta. Anch’esso somigliante con quello dell’Autoritratto di Leonardo da Vinci conservato a Torino. Dove la Sindone di Torino è l’Autoritratto o il ritratto di un Uomo vivo ritratto come morto. Questa sarebbero le ragioni profonde del fascino del dipinto e dell’iconoclastia a cui è stato sottoposto nello scorso secolo. L’immagine della Gioconda è diventata un’icona, quasi un volto archetipo. Ma di volto archetipo ne esiste solo Uno. Cfr. ebook/kindle. La Gioconda: uno specchio magico.

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