06 febbraio 2017

Esiste un business per l’arte immersiva?

 

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Cresce sempre di più da parte dei Musei e delle gallerie l’interesse per l’arte multimediale e immersiva, anche nel nostro paese spuntano festival o mostre collettive che indagano questa nuova ibridazione tra arte e tecnologia. E il mercato? Non resta a guardare e si ingegna per trovare soluzioni creative. Ma come si può monetizzare un’opera d’arte così complessa, che ha valore in quanto esperienza interattiva?
A Tokyo c’è un gruppo di artisti composto da circa 400 persone, il teamLab, uno dei più attivi collettivi che lavorano nel campo delle arti multimediali, con all’attivo moltissime mostre in alcune delle più grandi istituzioni internazionali. La Pace Gallery, galleria che rappresenta nomi come Donald Judd, Pablo Picasso, James Turrell, Sol LeWitt, Alexandre Calder, ha aperto da poco la terza mostra dedicata al gruppo di Tokyo nel giro di 3 anni. Questo a testimoniare quanto stia crescendo l’interesse per questo tipo di opere. Pare che siano già in molti i musei interessati ad acquistare le opere in mostra, la stanza con la pioggia virtuale è da poco entrata nella collezione del LACMA di Los Angeles. Ma questo non è l’unico modo per monetizzare questo tipo di arte, la cui produzione, molto sofisticata, costa moltissimo ad artisti e committenti. Il consiglio lo fornisce il presidente della Pace Gallery Marc Glimcher che racconta: «Crediamo fortemente che queo tipo di arte possa entrare a far parte del business dell’arte più isitituzionale, abbiamo ospitato un solo show del teamLab nello spazio nella Silicon Valley lo scorso anno, e abbiamo fissato un prezzo di 20 dollari ad ingresso. Il flusso di pubblico è stato incredibile, e alla fine della mostra avevamo ospitato 200mila spettatori». A differenza delle normali commissioni di vendita, la galleria ha guadagnato l’80 per cento per ogni biglietto. A conti fatti una cifra niente male. (RP)

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