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Era figlio di una famiglia di ebrei polacchi, ed era nato a Norimberga nel 1926. Si era rifugiato per fuggire all’Olocausto nel Regno Unito, ancora bambino, con la famiglia.
Parliamo di Gustav Metzger, 90 anni, aderente all’Azionismo e a Fluxus, voce contro il sistema, teorizzatore dell’”arte autodistruttiva”, che tra gli anni ’50 e ’60 aveva prestato il suo volto e le sue azioni in movimenti anticapitalisti, pacifisti e antinucleari.
Il potenziale distruttivo del secolo breve entrò infatti prepotentemente nella sua opera, che dalla fine degli anni ’50 sviluppò una forte attitudine alla critica del capitalismo e anche del sistema dell’arte: per questo, nel 1960, Metzger lanciò il “Manifest der autodestruktiven Kunst”, per cui spesso nulla restava dei “prodotti” dell’arte, ma le azioni che ne documentavano lo sfaldamento, la scomparsa, riflettendo sulla storia e l’economia. Dalla prima consacrazione all’ICA di Londra nel 1962, Metzger fu protagonista a Documenta 5 a Kassel, nel 1972, alla Biennale di Venezia, fino alla retrospettiva alla Tate Britain, nel 2004.