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Per capire Caravaggio non basta certo uno sguardo superficiale. E per scoprire ciò che c’è dentro l’immagine, la composizione chimica dei pigmenti, la cronologia dei ripensamenti e delle aggiunte, il disegno preparatorio, servono tecnologie all’avanguardia e competenze altamente specializzate, scientifiche e storicoartistiche. Imaging multispettrale, riflettografia infrarossa, interpretazione degli esami scientifici e studio delle fonti letterarie, ricerche diagnostiche. E anche le tradizionali mani responsabili, perché il restauro è sempre una presa di posizione, un atto critico. In Italia, si segue la tradizione filologica, rispettosa dei segni del tempo, un metodo che in altri paesi non sempre prediligono, in favore di una resa più accattivante, per una lettura immediata dell’immagine. Comunque, se Caravaggio e tutti gli altri li vediamo così, è perché generazioni di restauratori hanno pensato e lavorato in un certo modo.
Ne parleranno oggi, alle 16, al Museo di Capodimonte di Napoli, Paola D’Alconzo, docente di Teoria e Storia del Restauro, e Angela Cerasuolo, storica dell’arte e restauratrice, per un appuntamento organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli Federico II, in collaborazione con il Museo e Real Bosco di Capodimonte e l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insieme a Marco Cardinali e Beatrice De Ruggeri, di Emmebi Diagnostica Artistica, sarà analizzata la tecnica pittorica del Merisi, con riferimento in particolare alla Flagellazione di Cristo, realizzata per una cappella della chiesa di San Domenico Maggiore nel 1607, durante il primo soggiorno napoletano del maestro lombardo, e custodita, dagli anni Settanta, al Museo di Capodimonte.