13 maggio 2017

Venezia/16. Shirin Neshat al Museo Correr con ventisei ritratti dall’energia ipnotica

 

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 “The Home of My Eyes” è il titolo dell’emozionante mostra di Shirin Neshat (1957) commissionata dallo YART Art Center di Baku, a cura di Thomas Kellein ospitata al Museo Correr, nell’ampia Sala delle Quattro Porte: ventisei ritratti rigorosamente in bianco e nero frontali, ravvicinati, di uomini, donne e bambini di diverse età su sfondo scuro,  vestiti con abiti simili dove quasi tutti hanno le mani giunte. Questo dettaglio è un richiamo ai dipinti religiosi cristiani e in particolare a quelli di El Greco. La sequenza di immagini è stata selezionata da una serie di 55 ritratti realizzata dal 2014 al 2015, come una rappresentazione allegorica di sopravvissuti a traumi collettivi, antieroi di un’umanità sorprendente che riflettono nel loro sguardo stati psicologici ed emozionali contrastanti e tanto più si scrutano i loro occhi, tanto più ci coinvolgono empaticamente.
Neshat ha concepito la serie di ritratti di persone delle varie popolazioni dell’Azerbaijan, il Paese d’infanzia dell’artista iraniana come “specchio” collettivo di una nazione  che è stato crocevia di diverse etnie e lingue differenti. Nel corso della produzione l’artista ha conversato con i soggetti prescelti che hanno risposto a domande personali sulla loro identità culturale e il concetto di casa. Alcuni di loro hanno descritto casa come “la sensazione di avere legami”, mentre altri hanno detto che pur essendo stati invitati ad andare altrove, hanno preferito stare nella loro dimora. Anche in questa serie di fotografie, la presenza dell’artista è riconoscibile per eleganza formale e per i testi calligrafici scritti in inchiostro.
I testi dei ritratti di “The Home of my Eyes” sono anche tratti da poesie di Nizami Ganjavi, poeta iraniano del XII secolo che ha vissuto in Azerbaijan. Completa la mostra il video Roja (2016), intreccia ricordi personali dell’artista, intorno al tema dei sentimenti di migrazione e più in generale della nostalgia di legami di una donna iraniana investigati con una lente surrealista e una narrazione non lineare bensì poetica e più suggestionante in bilico tra realtà e finzione, dove si annulla la distanza tra passato e presente nel tempo scandito dalle immagini. (Jacqueline Ceresoli)

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