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L’urbanistica come l’abbiamo conosciuta non sarà più la stessa. Non potrà esserlo, perché la scienza che ha plasmato le nostre vite, facilitando le abitudini e suggerendo i ritmi, dal tempo in cui aspettiamo un autobus, alla strada che percorriamo per fare la spesa, si trova davanti a un bivio. Tutti quei grandi agglomerati di beni, servizi, strutture e persone diffusi nel mondo, manterranno il loro ruolo trainante nei sistemi di creatività oppure acuiranno i meccanismi di disuguaglianza sociale? Imboccheranno una svolta verso la sostenibilità o il decadimento? Insomma, le città esisteranno ancora (e noi con loro)? In quale forma?
A queste domande prova a rispondere la Biennale di Architettura e Urbanistica di Seoul, città simbolo di questi cambiamenti e di quelli dei prossimi anni, trasformata radicalmente dal “miracolo del fiume Han”, un prodigio più economico che mistico. Dal 1 settembre al 5 novembre, la Biennale proporrà la sua piattaforma sperimentale di incontro tra idee, progetti e proposte attuabili ma con un pizzico di visionarietà inevitabile, quando il quesito che si pone riguarda molto l’immaginazione di un futuro possibilmente non catastrofico. Su questa ipotesi, la Biennale è abbastanza schierata e parte da un presupposto magari anche condivisibile: così non si può andare avanti. L’integrazione di massa della produzione, dell’occupazione e del consumo, La separazione del lavoro, della dimora, del tempo libero e del trasporto, la divisione tra il naturale e l’artificiale, sono schemi di costruzione del pensiero ormai non molto efficaci, per affrontare le questioni più urgenti della contemporaneità che tutti viviamo in prima persona, nella dimensione privata e in quella pubblica, dal cambiamento climatico alla biodiversità, dall’inquinamento atmosferico alla la sicurezza alimentare, dall’automazione alla disoccupazione.
La Biennale si articolerà in esposizioni di progetti di studi internazionali, workshop, contest, open call, conferenze, proiezioni e mostre. Un ricco programma che unirà i quattro elementi di aria, acqua, fuoco e terra, con cinque tecnologie rispondenti alle azioni di fare, spostare, riciclare e percepire. E magari non finirà come aveva previsto Clifford Simak che, nel visionario romanzo City-Anni senza fine, pubblicato nel 1953, descriveva una Terra armonicamente abitata da cani intelligenti e robot, in cui le città sono scomparse e gli umani sono figure mitologiche. (MFS)