13 luglio 2017

Innovare e diffondere. Così Torino fa Scuola. Ne parliamo con le responsabili del concorso, in occasione dell’annuncio dei vincitori

 

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Riqualificare l’edilizia scolastica e suggerire modelli di apprendimento innovativi, per fornire una piattaforma di conoscenze ed esperienze potenzialmente applicabile in tutto il Paese. È questo l’obiettivo di “Torino fa Scuola” bando promosso da Compagnia San Paolo e Fondazione Agnelli, in collaborazione con Città di Torino e Fondazione per la Scuola di Torino. Due le scuole medie torinesi oggetto del bando, la Enrico Fermi e la Giovanni Pascoli, scelte come case study, e 275 i progetti pervenuti. Tra questi, la giuria ha selezionato il progetto presentato da Alberto BotteroSimona Della Rocca, Maria Chiara Mondini, Andrea Galanti, Emanuela Saporito, Antonio Isoardi e Jacopo Toniolo, per la Fermi, e quello presentato da Silvia MinutoloMarco Giai Via, Alessio Lamarca, Alberto Perino, Michal Adam Wasielewski, Claudio Tortone, Domenico Racca e Simonetta Lingua, per la Pascoli. A partire dall’estate 2017 seguiranno lo sviluppo della fase progettuale e l’apertura dei cantieri, mentre la conclusione dei lavori è prevista per l’anno scolastico 2019/20. Entrambi i progetti hanno interpretato al meglio le mutate esigenze del contesto scolastico, pensando, tra le altre cose, a nuovi spazi per la relazione e la condivisione. Ne abbiamo parlato con Francesca Repetto, della Compagnia San Paolo, e Raffaella Valente, della Fondazione Agnelli, responsabili del progetto.
L’edilizia scolastica rappresenta una questione aperta, non solo in Italia, sia per quanto riguarda la ristrutturazione di complessi fatiscenti, magari di valore storico, che per la progettazione di spazi adatti ai nuovi contesti sociali, culturali e pedagogici. Bisogna contare, inoltre, che l’edificio e l’istituzione scolastica incidono anche sull’intera comunità del quartiere di riferimento. In che modo l’architettura contemporanea potrebbe coniugare queste esigenze? 
«L’edilizia scolastica in Italia presenta oggi numerose situazioni di emergenza, problemi gravi e molto urgenti, di competenza degli enti pubblici, ai diversi livelli. La prospettiva di “Torino fa scuola” è, però, diversa, perché guarda esplicitamente al di là dell’emergenza. Una delle idee portanti del progetto è, infatti, che la possibilità di soddisfare nel nostro Paese l’esigenza di creare nuovi ambienti di apprendimento, da un lato, favorevoli ai nuovi contesti sociali, culturali e pedagogici e, dall’altro, coerenti con la realtà dell’edilizia scolastica nazionale – nelle sue diverse declinazioni regionali – e con le risorse a disposizione, dipenda da un processo virtuoso, che ha origine dall’incontro di pedagogia, comunità scolastiche e architettura. In questo senso, tutti e tre gli attori sono necessari ma nessuno di per sé è sufficiente. La pedagogia deve suggerire obiettivi educativi e pratiche didattiche innovative, superando e arricchendo la tradizionale e univoca lezione frontale, senza necessariamente rottamarla. Le comunità scolastiche – insegnanti, dirigenti, genitori e anche le componenti istituzionali locali – devono sapere definire le proprie specifiche esigenze per domani e, con uno sforzo d’immaginazione e riflessione, anche per dopodomani. L’architettura, dal canto suo, deve sapere dare forma progettuale a queste e a quelle, per creare e rinnovare gli spazi scolastici, interpretando le indicazioni raccolte, dando loro un contenuto estetico, funzionale e tecnico di segno forte, tenendo ovviamente conto anche di altre esigenze oggi imprescindibili, come la sostenibilità energetica e ambientale. E pensandoli anche in modo tale da renderli adattabili a evoluzioni future, diciamo nell’arco di qualche decennio. 
Per questa ragione, nell’esperienza di “Torino fa scuola” al concorso di architettura che ha portato ai progetti di riqualificazione delle due scuole medie torinesi Fermi e Pascoli – e ai cantieri che seguiranno – abbiamo fatto precedere un lungo processo di preparazione. Un processo durato più di un anno e durante il quale Fondazione Agnelli e Compagnia di San Paolo hanno promosso e favorito un dialogo serrato fra pedagogisti, architetti, le comunità scolastiche e gli enti locali interessati. Si è trattato di un esercizio difficile, con talvolta il rischio di schiacciarsi, da un lato, sulle esigenze dell’immediato presente – prive di visione prospettica – e, dall’altro, di lasciarsi prendere dalla tentazione del “libro dei sogni”, quello dei progetti magari bellissimi, ma spesso unici e irripetibili. Siamo, però, convinti di essere stati capaci di mantenere un equilibrio fra eccesso di realismo ed eccesso di velleitarismo. E che i progetti che sono risultati vittoriosi rispecchino questo sforzo. Perché alla fine l’obiettivo è certo rinnovare bene due scuole torinesi, ma altrettanto importante è offrire idee e spunti che facciano discutere tutta la scuola italiana e siano – mutatis mutandis – replicabili nel resto del Paese. Non a caso le scuole Fermi e Pascoli, sulle quali interverremo, rappresentano due tipologie di edificio scolastico fra le più diffuse. 
Di cosa hanno bisogno i nostri edifici scolastici? Esiste un modello virtuoso da prendere come esempio? 
«Di che cosa abbiano bisogno i nostri edifici scolastici non devono essere Compagnia di San Paolo o Fondazione Agnelli a dirlo, anche se ovviamente riteniamo ci siano alcune linee generali o – meglio parole chiave – da cui oggi non si può prescindere. Ad esempio e senza la pretesa di essere esaurienti: spazi ed edifici scolastici aperti, sostenibili, flessibili, modulari, inclusivi, accessibili e certamente più accoglienti. Ma queste parole chiave vanno riempite di contenuti specifici e questi contenuti non possono che nascere – ogni volta e in ogni luogo dove si voglia ripensare una scuola, così come è avvenuto per scuola Fermi e scuola Pascoli – da quel lungo dialogo fra pedagogia, architettura e comunità di cui dicevamo prima. Certo, a livello internazionale e in alcuni casi anche in Italia ci sono decine di esperienze e progetti interessantissimi, da cui apprendere e prendere spunto. Alcune soluzioni architettoniche possono poi anche offrire esempi replicabili, sempre però da adattare al contesto e alle reali esigenze della comunità scolastica. In definitiva, Torino fa Scuola non ha un modello architettonico o progettuale da abbracciare e proporre meccanicamente. Semmai – lo ripetiamo – se c’è un modello che ci sentiamo di suggerire a chi vorrà intraprendere azioni analoghe in Italia è quello del processo partecipato attraverso il quale siamo arrivati ai progetti di riqualificazione delle due scuole a Torino. Così come riteniamo inedito, innovativo e replicabile il modello di collaborazione fra pubblico e privato che ha caratterizzato “Torino fa Scuola”.» 
La conformazione di un luogo quanto può influire nel processo di formazione degli studenti più giovani? A nuove strutture possono corrispondere anche programmi scolastici e percorsi formativi diversi? 
«Gli ambienti e gli spazi scolastici influiscono– e profondamente – non solo nei processi educativi e di socializzazione degli studenti, dai più piccoli ai più grandi, favorendoli quando ben pensati e progettati, penalizzandoli quando inadeguati, soffocanti, rigidi e incapaci di rinnovarsi. La scuola deve essere un luogo accogliente e stimolante non soltanto per loro, ma per tutti coloro che ci lavorano e passano del tempo. Pensiamo agli insegnanti, i cui spazi a scuola a volte sono spesso ancora più sacrificati di quelli degli allievi. Spesso il loro spazio si limita alla cattedra in aula e all’armadietto in sala professori. Sappiamo che oggi in Italia molto si discute sull’esigenza di modificare il monte ore e gli stili di lavoro dei docenti, magari prolungandone la propria permanenza a scuola e non solo per i momenti di lezione, ma per tante altre attività che sono necessarie in un sistema d’istruzione moderno. Come pensare di chiedere questo agli insegnanti, senza dare loro anche propri spazi funzionali e confortevoli? Inoltre, oggi la scuola non funziona più secondo la logica dei vecchi programmi, più o meno uguali per tutti. Non può più esistere un modello “fordista” di scuola. L’autonomia scolastica – anche in Italia – dà giustamente ampio margine di manovra, nell’ambito delle indicazioni nazionali e dei traguardi di competenze da raggiungere, a una progettazione didattica più articolata e plurale, con una propria identità specifica, diversa da istituto a istituto. E allora diventa ancora più importante immaginare ambienti di apprendimento che sappiano interpretare queste differenze e dare anche forma spaziale all’identità di ciascuna scuola.»
In home: render del progetto vincitore per la Scuola Media Enrico Fermi
In alto: render del progetto vincitore per la Scuola Media Giovanni Pascoli

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