03 ottobre 2017

Peccato di hybris o errore di valutazione?

 
Qualche domanda per l'intervento di Urs Fisher a Firenze. Tra gigantismo che tenta di "dialogare" con il glorioso passato e curiose circostanze

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Intervento molto discusso quello inaugurato in Piazza della Signoria a Firenze, l’ultimo di una serie che aveva visto collocare sculture contemporanee nella piazza-museo a cielo aperto più importante al mondo, dove si affacciano statue di Donatello, Michelangelo, Giambologna, Cellini, Baccio Bandinelli. Ultimo dopo quello azzeccatissimo pur se provocatorio di Jeff Koons, inefficace ma indolore di Jan Fabre.
Stavolta è toccato ad Urs Fisher, in un progetto ideato da Sergio Risaliti e Fabrizio Moretti (segretario generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato e proprietario dell’omonima Galleria di arte antica di Firenze) e curato in questo caso da Francesco Bonami.
Molti hanno evidenziato la circostanza, forse non fortuita o comunque poco opportuna, dell’appartenenza di Koons e Fisher alla stessa galleria (Gagosian), altri si sono chiesti quanto abbia speso il comune di Firenze a fronte del milione e passa di euro elargito da Moretti, altri ancora, fiorentini e turisti, non hanno gradito la forma scatologica dell’enorme scultura di alluminio al centro della piazza e via dicendo.
Tutto ciò è cronaca, rimane sullo sfondo e forse ha poca importanza.
Altre due cose paiono più interessanti da sottolineare.
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Urs Fisher a Firenze
La prima è un ricordo che ci ha lasciato Benvenuto Cellini quando nel 1554 collocò il Perseo proprio sotto la Loggia dei Lanzi in Piazza della Signoria, il quale scrisse nella sua autobiografia che Cosimo I de’ Medici, suo committente e Granduca di Firenze, non eminenza grigia della Repubblica fiorentina (come lo erano stati i suoi antenati Cosimo, Piero e Lorenzo nel XV secolo), si rivolse a lui in tal modo: “Con tutto che questa opera ci paia molto bella, ell’ha anche a piacere ai popoli: sì che, Benvenuto mio, innanzi che tu gli dia la ultima sua fine io vorrei che per amor mio tu aprissi un poco questa parte dinanzi, per un mezzo giorno, alla mia Piazza, per vedere quel che ne dice ‘l popolo”. Tra i tanti che affissero biglietti di commento sul Perseo, molto positivi, ci furono Pontormo e Bronzino. Il successo fu assicurato e la statua fu inaugurata ufficialmente.
Se si fa cenno a questa storia non è perché una statua di Fisher, anzi tre se si contano le due in cera poste tra Donatello e Michelangelo, sia stata posizionata nella celebre piazza. Bensì perché nel 1587 Ferdinando I, figlio di Cosimo I, fu primo e l’unico nel far  raffigurare a Firenze in pubblica piazza un Medici nelle vesti di capo di stato: per la precisione nel monumento equestre di Giambologna dedicato a Cosimo I, che è lì accanto. Insomma fu un Granduca ad arrivare a tanta imperiale magniloquenza (mentre un altro si era posto prima di lui il problema dell’accoglienza dell’opera da parte dei cittadini), non avendo mai osato tanto Lorenzo che pure è passato alla storia come Il Magnifico. Oggi è un altro “mecenate” (o “committente” che dir si voglia), con a fianco il suo “consigliere”, a ripetere e riattualizzare un primato da Granduca, anche se stavolta non è un figlio a commissionare l’immagine del padre, ma è il mecenate a celebrare se stesso con il suo consigliere.
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Urs Fisher a Firenze
Così Moretti e Bonami sono lì a figura intera e pur se transeunti in quanto statue di cera che si consumano come candele, sono lì con le loro fattezze reali. Il primo incastonato con una riproduzione della sua statua preferita (un San Leonardo), il secondo girato di spalle, forse pudico per tanto protagonismo oppure consapevole di un peccato di hybris. Come dire: “Ci sono ma con riserva”. Certo c’è anche dell’ironia in ciò: tutto è destinato a sciogliersi e niente rimarrà, se non un grumo di cera squagliata che qualcuno comprerà. Ironia che non sappiamo se essere attenuante o sintomo del contemporaneo, destinato a durare il tempo di un evento per poi scomparire.
La seconda cosa che pare interessante di questa faccenda è il gigantismo a cui arriva la scultura in alluminio, Big Clay, che campeggia al centro della piazza. Fuori scala (vuole gareggiare con il David di Michelangelo? Con il Ratto delle Sabine? Con la torre di Palazzo Vecchio?), fatta senza pensare allo spazio ma all’oggetto in sé (non essendo altro che un ingrandimento di una sovrapposizione di pezzi di argilla).
Fuori scala, quindi ancora hybris e a questo punto non possiamo non immaginare che il prossimo potrebbe essere un vero intenditore di hybris e statue ciclopiche: Damien Hirst (anche lui scuderia Gagosian), il quale di questi tempi dentro Palazzo Grassi a Venezia espone una statua di ben 18 metri di altezza (6 in più di quella di Fisher) e che sarebbe il più adatto ad interpretare a pieno il senso contemporaneo di hybris.
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Urs Fisher a Firenze
Qualcuno a difesa di questa operazione ha affermato che è un bene quando l’arte contemporanea fa discutere. Sì, ma dipende dai motivi per cui si discute. Un conto è discuterne dentro il sistema dell’arte e della cultura contemporanea, un altro in quello di un contesto storico e architettonico di tale prestigio e stratificazione (anche Cosimo I che era Cosimo I aveva chiesto a Cellini di sentire cosa ne dicesse “il popolo”), dove il legittimo e salutare tema di discussione potrebbe risultare il fuori luogo.
Io stesso sono favorevole al confronto dell’antico e del contemporaneo, l’ho dimostrato quando tra 2013 e 2014 chiamai a realizzare opere e allestire mostre (eravamo nella Sala dei Giganti e in quella dei Cavalli di Palazzo Te a Mantova) artisti quali Fabrizio Plessi, Mimmo Paladino, Candida Höfer o Bill Viola. Mi presi tutti i rischi del caso facendo creare ad hoc videoinstallazioni, sculture monumentali e videoproiezioni. Tra critiche e plausi, ci si prefisse in quelle occasioni di non superare un limite, di non mettersi in contrasto, di non fare a cazzotti con gli spazi, ma porsi in continuità con gli affreschi e le architetture di Giulio Romano, di non utilizzare come attenuante l’ironia (che altro non sarebbe in questi casi che una forma di deresponsabilizzazione), ma di invitare artisti che lavorano seriamente, sentendosi parte di una storia e contemporanei ai loro antenati: che ricercano da decenni intorno al tema della rovina elettronica, di antiche biblioteche e palazzi d’epoca, di archetipi ancestrali e pittura del Rinascimento. Quindi non posso che difendere questo tipo di interventi, ma non in  astratto, bensì sul progetto, sull’utilità, sul senso, sulla misura, sul luogo.
Stavolta sono proprio questo contestuale dialogo, questo senso, questo limite, questo luogo a sfuggirmi… 
Marco Tonelli

1 commento

  1. Voi a Firenze dovreste ringraziare Iddio di avere Fischer. A Roma abbiamo avuto per un mese, e forse c’è ancora, una melograna gigante di Giuseppe Carta, che non è nemmeno un artista…
    La scultura di Fischer invece è interessante, sembra riflettere sullo step iniziale di ogni scultura, l’idea quando ancora c’è il blocco di materia informe da plasmare, step che vivono tutti gli scultori, persino il nostro amato Mickeylangelo

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