21 ottobre 2017

Alla Fondazione Bussolera di Casteggio, la principessa senza lieto fine di Elena Von Hessen

 

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In questi giorni, una mostra fa riemergere il dramma collettivo della storia di Mafalda di Savoia, figlia dell’ultimo Re d’Italia, principessa morta nel campo di concentramento di Buchenwald. A incorniciare il ricordo, è la nipote e artista Elena von Hessen presso le sale del centro culturale di Villa Raina della Fondazione Bussolera Branca, a Casteggio, a cura di Martina Corgnati. In effetti il titolo scelto per la mostra è “Al fondo della storia” e il percorso è un viaggio nel duplice inconscio dell’artista che recupera la propria memoria che è al tempo stesso personale e collettiva. Mafalda di Savoia, la principessa senza lieto fine, strappata ai suoi figli, ostaggio sacrificale dello scontro tra nazisti e Casa Savoia: internata in un campo di concentramento nel ’43, straziata da un bombardamento, il 24 agosto del ’44 è lasciata morire tra le sofferenze. 
Acquerelli, disegni, fotografie, una video-perfomance, installazioni e assemblaggi, l’identità dell’artista è espressa attraverso la sua dispersione, la non integrità apparente del suo stile è il suo stile. Come disse lei stessa in occasione di una mostra in Germania: «Sono io – non significa percepirsi come intero; ma significa sentirsi sperduti, soggetti a un’immagine organizzata non attraverso una forma ma attraverso l’informe. È la forza investita da un processo di desublimazione». D’altronde, come potremmo mai trovare un che di sublime guardando dentro noi stessi? Ogni sguardo interno è rivolto all’ombra della luce, ogni cosa, ogni ricordo, ogni visione, lì si distorce e si modifica senza mai mostrarsi chiara. Oggetti recuperati, come Senza titolo del 2010, sono di colore nero, giacché come lo stesso colore assorbe ogni gradazione, essi assorbono i ricordi dell’artista e sono installati lì come spugne per assorbire anche i ricordi altrui. Sono come oggetti magici, dei feticci di memoria. 
Nel catalogo della mostra c’è spazio anche per l’amico e psicanalista Giovanni Castaldi, che sottolinea come l’albero, nell’immaginario di von Hessen, è simbolo genitoriale. Comparso come materiale nelle sue opere dalla morte del padre, che così libero dalla carne e intriso di ricordo, può rivivere nell’immaginario dell’artista come puro desiderio. Utilizzato direttamente come materiale di fondo che accoglie le sue figure, o richiamato in forma dagli acquarelli o rievocato nel contorcimento di pantaloni e lana (forse gli stessi pantaloni utilizzati per vagare nel bosco?) come nell’opera Tronco blu del 2017. Poi seguono i lavori con la pelle, in particolare Grotta dei Misteri. Qui il lattice sta per la pelle stessa dell’opera che è poi la pelle dell’artista. Al di sotto ci sono dei disegni che restano tuttavia celati sotto lo strato di lattice. Forse l’opera in sé non ha nulla da mostrare o, meglio, mostra ciò che non è in mostra: l’intimità, lo spazio privato, il segreto. Tutti i lavori mettono in luce, di volta in volta, un lato dell’artista, parlando di lei o per lei, al punto che l’intera esposizione potrebbe avere per titolo: “Autoritratto”, ma ha invece “Al Fondo della storia” perché è vero che l’artista parla di sé, ma di riflesso dice di noi, di come siamo, di ciò cui aneliamo, a metà strada fra la contingenza e la spiritualità, da cui la società contemporanea sembra essersi allontanata. Un percorso, quello di Elena von Hessen, che esce dalla linea ufficiale dell’arte, per porsi in posizione outsider. (Marcello Francolini
In home: Elena von Hessen, Otto colori diversi
In alto: Elena von Hessen, Grotta dei desideri

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