30 ottobre 2017

Sono tutta tua. Arte da prendere e lasciare all’Hangar Bicocca, per il progetto firmato Boltanski-Obrist

 

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Sarà sicuramente la mostra più apprezzata dal pubblico dell’autunno milanese. Perché? Perché potrete raccogliere le opere, portarvele a casa, indossarle, “disperderle” oltre le mura della Fondazione Pirelli HangarBicocca. Ma certo, stiamo parlando di “Take Me (I’m yours)”, presentata stamane alla stampa dal direttore di Hangar, Vicente Todolì, e dai curatori Hans Ulrich Obrist, Roberta Tenconi e Chiara Parisi. Concepita da Christian Boltanski nel 1993, in occasione del progetto parigino “Quai de la Gare”, dove il pubblico poteva portarsi via vestiti di seconda mano usando una busta che recava la scritta Dispersion, “Take me (I’m Yours)” fu allestita per la prima volta nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra e poi, interrottasi per diversi anni, è stata ripresa dal 2015 in versioni e città ogni volta diverse. Stavolta si tratta del capitolo più grande mai realizzato, con 56 artisti di generazioni molto differenti. 
Durante la presentazione di questa mattina, Roberta Tenconi ha parlato di una interazione tra opere e pubblico che è sempre differente: ci sono opere che ci si può portare via mentre in altre si possono lasciare i propri effetti personali, altre guardano al futuro, eventi disseminati che accadono nello Shed di Hangar, opere di scambio e «La parte del leone la fanno le opere astratte, ovvero quelle che si materializzano quando si arriva di fronte ai performer che compiono azioni». Romantico Obrist, che segue il pensiero di Boltanski, con il quale – dialogando – concepì questa formula nei primi anni ’90: «Questa mostra continua nelle case delle persone che portano via gli oggetti». Altra questione fondamentale è l’allestimento, a sua volta una installazione concepita dal designer Martino Gamper che ha interagito con gli artisti, che sono gli autentici autori del progetto, visto che nessun curatore ha stabilito i modi nel quali il pubblico può disporre dei vari oggetti ma tutto resta ad appannaggio delle volontà dei partecipanti. 
Ovviamente trattasi di un progetto che inverte l’idea di globalizzazione dell’arte, proprio perché si tratta di mostre non ripetibili: possono avere la stessa struttura ma ogni volta si rinnovano come uniche e portando con sé, per tutta la loro durata, una serie di eventi che si diffondono nel tempo e nello spazio, sommandosi alle esperienze dello spettatore. Che, ribadiamolo, può toccare, prendere, lasciare, «La generosità – dice Obrist – è un aspetto molto importante del progetto». Così come “realizzare i sogni degli artisti”, perché l’arte esca dai soliti circuiti e soliti meccanismi. Anche con una serie di opere molto piccole, da andare a cercare e da portarsi a casa infilandole in una borsa di carta che stavolta riporta: Boltanski “Take me I’m Yours”. Cioccolatini, spillette, biscotti della felicità, fotocopie e ritratti sono vostri. E in palio c’è anche una cena con Douglas Gordon. (Silvia Conta)

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