19 dicembre 2017

Onirica Nalini Malani. La sacerdotessa dell’arte indiana al Pompidou e al Castello di Rivoli

 

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Nalini Malani è la prima artista indiana cui il Centre Pompidou dedica una retrospettiva. Questa iniziativa scaturisce dalla collaborazione con il Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea e la Galerie Lelong, curatrice della sua produzione per la Francia e gli USA. In programma anche una seconda sessione, che si svolgerà proprio al Castello di Rivoli dal 27 marzo al 22 luglio 2018. Questa mostra, e certamente anche la tappa in Italia, rende giustizia alla ricchezza creativa e alla complessità di forme di espressione che la Malani utilizza e governa fin dai primi anni di attività e che, in occidente, ha avuto la giusta diffusione solo dal 2007, anno della prima mostra monografica a lei dedicata dall’Irish Museum of Modern Art di Dublino. 
Nata nel 1946 a Karachi, Nalini Malani, subito dopo la separazione non indolore del Pakistan dall’India, dovette trasferirsi con la famiglia prima a Calcutta e poi a Bombay, dove ha studiato e vive ancora oggi. Ha esposto allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al Princeton University Art Museum del New Jersey, alla sede di Parigi della Galerie Lelong, all’Arario Gallery di New York, alla Sakshi Gallery di Bombay alla Rabindra Bhavan di New Delhi, alla 51ma Biennale di Venezia nel 2005 nel padiglione indiano, a Documenta nel 2012 e al MoMA nel 2015-2016. Ha ricevuto premi e onorificenze in Francia, India e Giappone. 
La retrospettiva presenta le opere di Malani con un’impostazione trasversale, sia nel percorso cronologico che tematico, affrontando tutti i temi presenti nel suo lavoro come l’utopia, la distopia, la sua visione dell’India e il ruolo delle donne nel mondo. Anche la divisione dell’India nel 1947, provocando gravi conseguenze per la famiglia dell’artista, è stata un elemento che ha avuto un’influenza profonda sulla sua produzione, segnata dall’esperienza traumatica di rifugiata. La riflessione sulla specificità della donna e la profonda condanna della violenza nelle sue forme subdole e manifeste, è un duro richiamo alla debolezza della condizione femminile e di larghe fasce di popolazione. Nel suo lavoro, l’artista pone l’accento su retaggi iconografici e stereotipi culturali. La sua è una cultura urbana, metropolitana e non rurale, internazionalista ma non globalizzante, spietata nella sua condanna del nazionalismo che cinicamente sfrutta le credenze popolari. 
La mostra raccoglie opere dall’intero suo percorso creativo e include, in anteprima, l’ultima serie di dipinti All We Imagine as Light, undici grandi pannelli in sequenza e sei tondi sospesi che si ispirano ai testi di un poeta originario del Kashmir. Il disegno murale Erasure Performance Traces, ritratti e figure a matita e carboncino sulla parete di ingresso, è un’opera in progress iniziata prima dell’inaugurazione e costantemente integrata. Momenti salienti della retrospettiva sono i film in b/n 16 mm del periodo 1969-76 e alcuni studi eseguiti utilizzando una fotocamera Bolex, recentemente ritrovati, che hanno avuto la loro anteprima mondiale a Parigi. I film Still Life (1969) e Onanism (1969) sono esplicitamente interessati alla specificità femminile. Still Life è un autoritratto di cinque minuti, in cui Malani trascina la cinepresa su oggetti personali, vestiti e libri mentre vengono rovesciati su un letto, mentre in Onanism, una ripresa inquadra un’amica in preda a contorsioni per un attacco isterico. Per la mostra l’artista ha anche riattivato il proprio video/teatro d’ombre Remembering Mad Meg (2007- 2017) appartenente alle collezioni del Centre Pompidou e già presentato all’Irish Museum of Modern Art a Dublino. In un vasto salone, alcuni video vengono proiettati attraverso molteplici cilindri Lexan trasparenti, sui quali Malani ha dipinto immagini che rimandano allo stile Kalighat praticato nel Bengala tra Otto e Novecento. La sua tecnica di pittura su superfici trasparenti fu ispirata dal genere della pittura a vetro rovesciata, portata in India nel XVIII secolo dai cinesi. 
La personalità di Nalini Malani che emerge dal complesso delle installazioni è quella di una sorta di sacerdotessa dell’arte indiana contemporanea e pioniera della video arte e della performance, una straordinaria figura di transizione tra arte moderna e arte contemporanea. (Giancarlo Ferulano)

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