12 aprile 2018

Milano Art Week/10. High tech per l’arte, con Cinello e Let the Art Shine. Parla Franco Losi

 

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Da Carlo e Camilla in Segheria, splendido locale in zona Navigli a Milano, una serata speciale, all’insegna del sostegno e della valorizzazione del patrimonio italiano. Come? Riproducendo con altissima tecnologia i dipinti “inamovibili” dei più celebri musei. È la start up ideata da Franco Losi e John Blem (gruppo Cinello, innovazioni digitali) con l’associazione culturale Let the Art Shine, «Per sensibilizzare un pubblico di appassionati sulla necessità di salvaguardare e mantenere la cultura e allo stesso tempo divulgare nuove modalità di sostegno». 
Ad aderire al progetto, per ora, la Pilotta di Parma, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, Capodimonte, gli Uffizi, Brera, la Biblioteca Ambrosiana di Milano, Palazzo Pretorio a Prato, e fondazione Monte dei Paschi, con opere di Raffaello, Giorgione, Mantegna, o Filippino Lippi. E ovviamente, non trascurabile, anche il sostegno del Mibact. Perché Cinello e Let the Art Shine puntano molto in alto. Ne abbiamo parlato con l’ingegner Franco Losi. 
Da dov’è partita l’idea di creare questa start up? 
«La start up non nasce con l’obiettivo di fare soldi: io e il mio socio lavoriamo nell’hight tech da anni, ma io sono anche figlio di un pittore. Quando sono tornato in Europa, dopo aver vissuto per anni in California, ho avuto una sorta di flashback: occupandomi dell’eredità di mio padre volevo farlo conoscere più di quanto già non lo fosse in vita come litografo. E a quel punto ho pensato di sfruttare la mia competenza nelle tecnologie allo stesso modo in cui mio padre la sfruttava con la grafica, applicandola alla valorizzazione dell’arte». Quando nasce il progetto? 
«Ufficialmente nel 2015, e oggi siamo qui per annunciare a tutti la possibilità di “aiutare” il nostro patrimonio di valore inestimabile, che è anche un po’ una maledizione italiana. Ci siamo chiesti come metterlo a reddito, come fare il modo che si possa in parte auto-finanziare. Con le vendite dei DAW, Digital Art Works [nome tecnico di questi “monitor”n.d.r], vere e proprie “copie” autentiche e originali, il 50 per cento netto dell’importo sarà donato agli stessi musei che “presteranno” le loro icone per la riproduzione». 
C’è un rapporto ufficiale con il Mibact… 
«Abbiamo presentato il progetto, e al Ministro è piaciuto. Poi siamo andati in ogni singolo museo e ogni istituzione ci ha dato il proprio benestare. Per chi permette la riproduzione delle opere non ci sono fattori di rischi, e chi oggi ha veramente a cuore la cultura oggi ha lo strumento per aiutarla: comprando o realizzando mostre con DAW finanzia gli stessi musei. È una vera e propria promozione». 
Due curiosità: quanti quadri sono stati mappati finora? 
«Per ora c’è un catalogo in progress». 
La seconda curiosità: quanto costa un Caravaggio, per esempio? 
«Dipende dalla tiratura, ma si va in qualche decina di migliaia di euro. Noi abbiamo disegnato un campo, per ora. Adesso abbiamo bisogno di chi abbia voglia di mettersi in gioco».

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