06 luglio 2018

Recuperati reperti archeologici per 40 milioni di euro. Operazione record dei Carabinieri

 

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Tremila reperti archeologici ritrovati, per un valore di oltre 40 milioni di euro, e 23 arresti internazionali, con 250 carabinieri coinvolti. Sono i numeri dell’Operazione Demetra, portata avanti dal 2014 dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, con il coordinamento di Europol ed Eurojust e congiuntamente agli investigatori della Metropolitan Police di Londra, della Polizia Criminale del Baden-Württemberg e della Guardia Civil spagnola. 
I militari hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta, su richiesta della Procura della Repubblica nissena che ha coordinato le indagini, nei confronti di 23 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di far parte di un’associazione per delinquere transnazionale, dedita al traffico di reperti archeologici, provento di scavi clandestini in Sicilia. Contemporaneamente, in ambito europeo, sono stati eseguiti tre mandati di arresto nei confronti dei componenti dell’organizzazione, residenti a Londra, Ehingen e Barcellona. 
«L’operazione Demetra, del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, che ha permesso il recupero di reperti archeologici siciliani e sgominato un’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di reperti provenienti da scavi clandestini, conferma ancora una volta l’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo a questo reparto dei carabinieri specializzato nella tutela del patrimonio culturale e nel contrasto al traffico illecito di opere d’arte. Esprimo sincero apprezzamento per il lavoro svolto e ringrazio in particolare il Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale», ha commentato il ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli. 
L’indagine è stata avviata nell’estate del 2014 a seguito di un episodio di scavi clandestini nel territorio di Riesi, in provincia di Caltanissetta. I primi accertamenti hanno consentito di verificare che non si trattava di una vicenda isolata ma riconducibile a una sistematica aggressione al patrimonio archeologico siciliano. Grazie a una complessa rete estesa tra l’Italia, la Spagna e la Germania, l’organizzazione era in grado di trafficare considerevoli quantitativi di beni archeologici. I reperti, provento di scavi clandestini, venivano presi in consegna dai referenti locali dell’organizzazione e, quindi, affidati a corrieri che li esportavano clandestinamente in Germania. Giunti a destinazione, venivano ripuliti attraverso fittizie attestazioni di provenienza e immessi nel mercato legittimo dell’arte, attraverso case d’asta operanti a Monaco di Baviera. Per aumentare ulteriormente i profitti, l’organizzazione disponeva anche di falsari, la cui base logistica è stata individuata a Riesi.

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