21 dicembre 2018

La rivoluzione degli invisibili. Il progetto Basaglia al Teatro Franco Parenti di Milano

 

di

Il Progetto Basaglia, al Teatro Franco Parenti di Milano, è stata una preziosa occasione per conoscere meglio una storia coraggiosa che non finisce mai di sorprendere. Sotto questo cappello troviamo: Tutti non ci sono, di e con Dario D’Ambrosi, e (Tra Parentesi. La storia di un’impensabile liberazione), quest’ultimo spettacolo portato in scena dal Prof. Peppe dell’Acqua, allievo di Basaglia, e Massimo Cirri, psicologo e giornalista. I due, seduti su una panchina rossa, raccontano il lungo percorso che ha portato alla chiusura dei manicomi, grazie alla Legge 180: la “Legge Basaglia”. 
Era il 1961 quando un medico di 38 anni entra nel manicomio di Gorizia, ai confini tra Italia e Jugoslavia, tra mondo comunista e Occidente, per portare avanti una rivoluzione, una sorta di “impensabile liberazione” che continua anche oggi. Il medico viene dalla Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Padova e si chiama Franco Basaglia. Nei manicomi, Basaglia vede qualcosa che nessuno aveva visto prima: «Qui ci sono corpi, ma non c’è nessuno, sono diventati tutti invisibili!», confessa durante quel periodo. Capisce che bisogna fare qualcosa di urgente, bisogna aprire le porte lì dove non c’è più una dimensione umana. Bisogna restituire la libertà! Basaglia vuole conoscere ognuno dei suoi 650 pazienti. Inizia a parlare con loro: Gorizia diventa un luogo dove si sentono tantissime parole. 
Peppe dell’Acqua, giovane e promettente medico, legge per la prima volta il saggio di Basaglia L’istituzione negata e capisce che anche lui può fare qualcosa di grande. «Nella mia clinica non si deve basagliare», dicevano i direttori dei centri dove dell’Acqua prova ad andare prima di trasferirsi a Gorizia. «Negli altri centri i pazienti coltivavano la malattia – racconta dell’Acqua – erano come dei pupazzi di cera chiusi in un castello». 
Ma nel centro di Basaglia le cose sono diverse, si lavora senza camice bianco. Si fanno tante assemblee, si guarda da vicino il paziente per non farlo scomparire. Si comincia a vedere una nuova strada, una nuova cura: anche i matti possono guarire se c’è qualcuno che li ascolta. 
Ma come si fa la rivoluzione? Cosa significa fare una riforma? Per il centro di Gorizia significa trasformare il buio in luce, aprire porte blindate, riempire il vuoto di gioia e di cose inaspettate. Sarà l’arte a restituire un valore lì dove è stato distrutto. In particolare, vengono chiamati due grandi artisti, Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia, che insieme a tutto il centro, realizzano Marco Cavallo: un’enorme scultura di legno e cartapesta, a forma di cavallo, piena di sogni e desideri, che nel 1973 sfonderà un muro che non poteva più stare in piedi. Ma per la gente chiudere i manicomi significava svuotare miseria per le strade. 
Michele Zanetti e Basaglia durante un’intervista dicono: «la pericolosità si risolve sostituendo i sistemi che conosciamo oggi con nuove cure, modalità creative e nuove tecniche». Rovesciare tutto quindi, senza più tornare indietro. Perché la sfiducia, il cinismo, in fondo, non salvano nessuno; mentre i sogni e l’utopia, almeno fanno dei tentativi. Lo dimostra il caso Basaglia che non solo tentò “un’impensabile” rivoluzione, ma creò una vera “liberazione”. 
A portare il lieto fine a questa storia, contribuì moltissimo l’Art. 32 della Costituzione che dobbiamo in gran parte ad Aldo Moro. In sostanza l’articolo afferma che nessuno è obbligato a nessun trattamento senza il proprio consenso. Tuttavia, anche nei casi più gravi, per i quali certi trattamenti sanitari obbligatori risultano salvifici, nessuno dovrebbe mai diventare invisibile. (Alessandra Quintavalla)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui