03 gennaio 2019

Vita e tragedia di un collezionista. A Roma, una doppia mostra per ricordare Ludwig Pollak

 

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Ludwig Pollak, nato a Praga nel 1868 e morto nei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau nel 1943, fu uno dei maggiori esperti di antichità della sua epoca. Oltre a essere un grande archeologo era abilissimo mercante d’arte e consulente dei più importanti collezionisti. La mostra a lui dedicata, ospitata fino al 5 maggio al Museo Barracco e al Museo Ebraico di Roma per la cura di Orietta Rossini e Olga Melasecchi, ha il merito di riportate in luce questo grande personaggio, ripercorrendone la storia professionale e personale: dalle sue origini nel ghetto di Praga, agli anni d’oro del collezionismo internazionale, fino alla sua tragica scomparsa. Passaggi importanti della sua vita fatti di rivelamenti, incontri, acquisti, vendite, amicizie, riportati minuziosamente sui suoi Diari, di cui 25 volumi sono custoditi al Museo Barracco e fanno da fil rouge all’esposizione. 
Tra le celebri scoperte di Pollak va citato il ritrovamento del braccio originale del Laocoonte. Era il 1903 quando, passeggiando sull’Esquilino nel corso di uno dei suoi consueti sopralluoghi tra scavi e rigattieri, lo sguardo attento di Pollak si posò su di un braccio marmoreo ripiegato, che gli veniva detto provenire da scavi effettuati sulla vicina via Labicana. Sebbene dopo l’acquisto venne da egli stesso donato al Vaticano e ciò gli valse il conferimento da parte di Pio X della “Croce alla Cultura”, unico ebreo non convertito ad essere in questo modo onorato dal Papa. Bisognerà aspettare la fine degli anni Cinquanta per procedere alla reintegrazione del pezzo mancante. Si devono a lui anche la ricomposizione del gruppo “Atena e Marsia” di Mirone, l’identificazione del guerriero ferito di Kresilas, oggi al Metropolitan di New York, e il riconoscimento della cosiddetta “Fanciulla di Anzio”, poi acquistata dallo Stato italiano. 
È sempre Pollak a realizzare uno dei primi cataloghi scientifici di oreficeria greca antica, per il grande collezionista russo Nelidow, e il primo catalogo di bronzi rinascimentali per la collezione di Alfredo Barsanti, oggi a Palazzo Venezia, lavoro per cui riceverà parole di riconoscenza dallo stesso Mussolini. Pollak così fisserà le sue impressioni di quell’incontro avvenuto nel gennaio del 1923: “Strano, terribili sono i suoi occhi”. 
Le oltre cento opere in mostra, tra dipinti, sculture antiche, vasi greci, acquerelli, libri rari, fotografie d’epoca e inediti documenti d’archivio, ripercorrono le tante storie che accompagnarono la vita del collezionista, partendo dai ritratti: quelli di Ludwig Pollak stesso, di sua moglie Julia Sussmann Pollak e del conte Grigorij Sergeevic Stroganoff; il cartone del Domenichino con Salomone e Betsabea e il Ritratto di Dorothea Denecke von Ramdohr con la figlia Lilli del 1819. In mostra anche le foto di viaggio realizzate all’inizio del Novecento, che testimoniano gli spostamenti di Pollak legati soprattutto alle sue ricerche, con immagini d’epoca dell’Oriente Mediterraneo, dalla Grecia all’Egitto, dalla Siria alla Palestina, fino all’Impero Ottomano. Ma Pollak si innamorò di Roma e dal 1893 decise di stabilirvisi: era la Roma della Belle Époque, in piena trasformazione urbanistica, con moltissimi ritrovamenti archeologici importanti. E a Roma ritorna anche dopo la parentesi della Grande Guerra, in cui è costretto a lasciare l’Italia. 
L’esposizione mette in luce anche le collezioni che Pollak portò avanti parallelamente: quella “pubblica”, la Goethiana che scandisce la sua biografia intellettuale, e quella “Judaica”, più intima e di cui egli stesso parla meno ma che esprime pienamente la sua appartenenza al mondo ebraico e al suo luogo di origine. A entrambe le collezioni Pollak dedicò tutta la sua vita, investendo lavoro, ricerca e passione. Tra i pezzi di judaica da lui collezionati c’è una Haggadah del XIV secolo che l’archeologo destinò dopo la sua tragica morte a David Prato, allora Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, con cui strinse una solida e sincera amicizia durante gli anni del suo lungo soggiorno romano. Pollak era l’esempio di ebreo intellettuale perfettamente integrato nella cultura occidentale, iscritto alla comunità ebraica di Roma, non si salvò dal tragico destino che lo accomunò ai sei milioni di ebrei uccisi dalla ferocia nazista, indistintamente dalla loro estrazione sociale, dal livello culturale o dal grado di osservanza alla religione. Così, il 16 ottobre 1943 fu prelevato dalla Gestapo nel suo appartamento di Palazzo Odescalchi e portato ad Auschwitz, da cui non fece più ritorno. La deportazione di Pollak e della sua famiglia sanciscono la fine di un sogno comune a molti intellettuali ebrei, che vedeva nelle radici della cultura europea il superamento del pregiudizio razziale. 
Visitando la mostra si evince anche il rapporto di amicizia e stima che Pollak strinse con alcuni importanti personaggi, a partire dal politico, intellettuale e mecenate Giovanni Barracco, tanto che dopo la sua morte Pollak diventerà il primo direttore del museo a lui intitolato. Ma è con Sigmund Freud che l’archeologo sviluppa una serie di affinità come la passione per l’archeologia (che fornirà al fondatore della psicoanalisi un paradigma scientifico), la cultura della Vienna di fine secolo, le origini ebraiche e l’antisemitismo. I due si incontrarono più volte a Vienna tra il 1917 e il 1918. La stima reciproca tra i due è testimoniata anche dalle opere provenienti dal Freud Museum di Londra, 16 maschere e applique in bronzo di soggetto vario e un volume a stampa con dedica autografa. Sempre in mostra, tra le altre foto, il dettaglio dell’appartamento di Freud a Vienna in cui Pollak catalogò la sua collezione nel 1917. Ancora nel febbraio 1917 sappiamo dai Diari che Pollak legge Il Mose’ di Michelangelo, saggio che Freud aveva da poco pubblicato in veste anonima su una rivista di psicologia, e che ne discutono a lungo. Si tratta di un colloquio importante per entrambi, dal momento che verte sulla figura leader del loro popolo, e sicuramente per Freud, che dedicherà proprio a Mosé e il monoteismo il suo ultimo controverso studio. 
Del resto, come affermò lo stesso Freud: “Eravamo entrambi ebrei e sapevamo che eravamo portatori di un qualcosa di misterioso che sfugge ad ogni analisi e definisce l’ebreo”. Il nome di Freud compare nei Diari di Pollak per l’ultima volta l’11 maggio 1933 in una frase che fa presagire il tragico epilogo: “Ieri a Berlino, in Piazza dell’Opera, gli hitleriani hanno bruciato 20.000 libri di, come dicono, marxisti ed ebrei (tra cui Freud, Schnitzler, Mann, Kerr, ecc.). Follia di massa!”. (Giorgia Calò
In home: Dettaglio dell’appartamento di Sigmund Freud a Vienna 
In alto: Fritz Werner, Ritratto di Ludwig Pollak, 1925. Museo di Roma

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